Borussia, Bartra torna sull'attentato: "Non perdono"

Bundesliga
Marc Bartra festeggia dopo la vittoria della Coppa di Germania (Getty)
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Il giocatore del Borussia ricorda quei terribili momenti in cui ha rischiato la vita: "Non si può capire cosa abbiamo vissuto, ho pensato di non riaprire più gli occhi. Non voglio perdonare l'attentatore"

Sono passati quasi due mesi da quell’11 aprile, giorno in cui Marc Bartra ha rischiato di perdere la vita sul pullman del Borussia Dortmund diretto al Signal Iduna Park, in vista dell’andata dei quarti di finale di Champions League contro il Monaco.

"Non capivo cosa fosse successo"

Tre ordigni progettati dalla mente criminale dell’esperto di elettronica Sergej W., esplosi vicini al bus dei giocatori tedeschi. La finalità? Esclusivamente economica, come riportato da Der Spiegel, perché l’attentatore avrebbe tentato di guadagnare circa quattro milioni di euro sterminando l’intera squadra, causandone di conseguenza il crollo del titolo in Borsa. Per fortuna i suoi piani sono falliti, anche se Bartra ne ha pagato comunque le conseguenze riportando un braccio rotto. Ma sarebbe potuta finire molto peggio. E’ lo stesso giocatore del Borussia a riferirlo, raccontando la sua esperienza a Sky Deutschand e al talk show spagnolo El Hormiguero: “Ero al cellulare quando all'improvviso è spuntato tantissimo fumo - racconta Bartra - faceva un caldo tremendo, specialmente in faccia. Il cellulare mi cadde dalla mano, ebbi la sensazione di esser stato colpito da uno sparo. Poi vidi le facce dei miei compagni e mi venne tanta paura. Non avevamo idea di cosa fosse successo. D’istinto ci buttammo a terra e la testa mi faceva male, ma soprattutto il braccio. Terribilmente male, e mi fischiavano anche le orecchie”.

"Non si può capire quello che abbiamo vissuto"

Da quel momento è cominciato l’incubo per Bartra, che sul pullman del Borussia ha quasi perso i sensi. “Volevo addormentarmi – continua il calciatore –, ma la nostra fisioterapista iniziò a prendermi a schiaffi. Lei piangeva, ma intanto mi urlava di non addormentarmi. Capii che se avessi chiuso gli occhi forse non li avrei più riaperti. Cominciai a pensare a mia figlia e alla mia fidanzata, e questo mi diede forza. Allora mi imposi di restare cosciente: sapevo che avevano ancora bisogno di me. Ho perso molto sangue, ma quando finalmente è arrivata l’ambulanza mi sono detto che se anche mi avessero dovuto amputare il braccio l’importante era che fossi vivo. Non auguro a nessuno il dolore che abbiamo provato – aggiunge Bartra –, nemmeno alla persona più cattiva del mondo. Le persone non possono capire cosa abbiamo vissuto. Tutti i miei compagni sono degli eroi”.

"L'attentatore? Non lo voglio vedere"

Però Bartra non riesce a perdonare Sergej W., l’attentatore che per poco non lo ha ucciso insieme ai suoi compagni di squadra: “Quando lo hanno arrestato per me è si è trattato di un grande sollievo. Non voglio incontrarlo, perché non merita nemmeno un secondo della mia vita”.