"Milano chiama, Napoli risponde": parola di Luigi Necco, tra Maradona e l'arte di Totò

Serie A

Alfredo Corallo

Il giornalista napoletano Luigi Necco nel suo celebre saluto in collegamento a 90°Minuto
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Si è spento a 83 anni il celebre volto di 90° Minuto, che raccontò in un modo del tutto originale gli anni d'oro del Napoli di Maradona. Un intellettuale con la passione per l'archeologia, un giornalista coraggioso: storica la sua inchiesta sul Totonero, gambizzato dalla Camorra dopo aver raccontato di un incontro tra il presidente dell'Avellino Sibilia e il boss Raffaele Cutolo

ADDIO NECCO, CANTORE DI NAPOLI E DEL NAPOLI

È MORTO LUIGI NECCO, VOLTO STORICO DI NAPOLI A 90° MINUTO

"Dicemmo l'altra volta «l'Inter chiama, Napoli risponde», oggi il Napoli ha chiamato, ma l'Inter non ha risposto...". Luigi Necco era uno di quei personaggi che sembrava uscito da un romanzo di Luciano De Crescenzo, l'avremmo visto bene a filosofeggiare con il suo Bellavista, lui che distingueva l'umanità in "uomini d'amore" (i napoletani) e "uomini di libertà", che erano i milanesi come il dottor Cazzaniga, uno che "malgrado" fosse il direttore del personale dell'Alfasud voleva "comunque" andare al lavoro in perfetto orario ("cose 'e pazzi"). Diceva Bellavista: "La doccia è milanese perché ci si lava meglio, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo. Il bagno invece è napoletano: un incontro con i pensieri". Pensieri poetici, il pane quotidiano di uno degli amici del professore: "San Genna', non ti crucciare, tu lo sai che ti voglio bene. Ma 'na finta 'e Maradona squaglia 'o sanghe dint' 'e vvene!".

Mano de Dios o la cabeza de Maradona? "Las dos"

Il linguaggio espressivo e le metafore che Necco utilizzava per chiudere il suo più classico dei servizi a 90° Minuto s'inserivano perfettamente nel contesto culturale e sociale di quegli anni, a metà tra De Crescenzo, Maradona e Massimo Troisi, perché la sua era poesia applicata al calcio, sublimata dall'arte tutta partenopea di condensare gestualità, sberleffo e scaramanzia, non per niente era nato tra i vicoli del rione Sanità, come Totò. Necco, quel vocione inconfondibile, si circondava di tifosi, salutava con la mano, nessuno degli inviati si congedava dallo studio e dal conduttore Paolo Valenti - che ammiccava, icastico - in quella maniera così teatrale. A volte esagerava, ma sempre bonariamente, mimando anche il numero dei gol, e ne indicò due quel pomeriggio del 22 ottobre 1989, con il Napoli che al San Paolo aveva battuto 2-0 l'Inter campione d'Italia e si lanciava alla conquista dello scudetto (sempre numero 2), trovando una spalla d'eccezione in questo continuo giuoco delle parti: "Maradona, da questa distanza si vede lo scudetto?". "No, ancora no, ancora è buio...". Le prove generali le avevano fatte qualche anno prima a Città del Messico, quando alla solare "mano de Dios" Necco preferì "la cabeza de Maradona", assecondato da Dieguito come nella migliore scuola dei "compari" del Principe De Curtis: "Las dos", tutt'e due...

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È andata via la corrente al Nord

Luigi Necco è morto all'Ospedale Cardarelli all'età di 83 anni, per una crisi respitoria. Nella smorfia l'83 rappresenta 'o maletiempo, che prima ancora di essere una condizione meteorologica esprime uno stato d'animo, si sta sospesi come le nuvole, in attesa di un raggio di sole. Ma una specie di "blackout" per una città come Napoli. E nell'ottobre precedente a quel Napoli-Inter - con i campani reduci da una stagione più "nera" che azzurra, sorpassati nel finale di campionato dal Milan di Sacchi - Maradona e compagni avevano strapazzato il Pescara di Galeone per 8-2 (uno dei rigori degli abruzzesi lo segnò peraltro Gian Piero Gasperini, l'attuale allenatore dell'Atalanta), e al giornalista la "visione" del Pibe si palesò come un fascio di luce dopo la sua assenza nella partita persa a Lecce, tanto più che l'Inter di Trapattoni aveva compiuto un mezzo passo falso a Verona. "Oggi è andata via la corrente al Nord, domenica scorsa era mancata al Sud...".

Era tornato a splendere il sole a Napoli. E gli azzurri potevano concentrarsi serenamente sulla trasferta di Coppa Uefa (che poi vinceranno). "Il Napoli temeva molto di andare a Lipsia mercoledì prossimo, i tedeschi hanno sconfitto la loro avversaria 7-2, ma il Napoli 8-2. Può stare tranquillo...".

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Juary, il Super Boss e l'inchiesta sul Totonero

Il faccione simpatico di Luigi Necco era già diventato familiare agli italiani nei primissimi anni '80 con le imprese dell'Avellino di Antonio Sibilia, capace di rimanere in Serie A per 10 stagioni consecutive: erano i "Lupi" dei mitici Barbadillo, Ramón Díaz, Dirceu, Schachner, e Juary. Durante uno dei tanti collegamenti con 90° Minuto raccontò della visita del presidente Sibilia a Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, durante una delle udienze del processo per cui era imputato. Necco riferisce di tre baci di Sibilia sulle guance di Cutolo, e di una medaglietta consegnata proprio attraverso il calciatore brasiliano Juary al super boss. Una medaglietta con dedica: "A Raffaele Cutolo dall'Avellino calcio". Sibilia trovò come giustificarsi: "Cutolo è un supertifoso dell'Avellino, il dono della medaglia non è una mia iniziativa, è una decisione adottata dal consiglio di amministrazione".

Il 29 novembre 1981 il giornalista viene ferito alle gambe, colpito in un ristorante di Avellino per mano di tre uomini di Vincenzo Casillo, detto 'O Nirone, luogotenente di Cutolo fuori dal carcere. Per Necco, d'altronde, non c'era differenza tra sport, arte o cronaca nera: "per me è tutto cronaca" sosteneva. Celebre la sua inchiesta sul Totonero, un modo di fare giornalismo ereditato da Zavoli, Pasolini, e da cui in futuro saranno in tanti a trarre ispirazione.  

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Il tesoro di Necco

E di arte e soprattutto di archeologia si occupò fin da giovanissimo, aveva cominciato a scrivere sul Corriere di Napoli da studente universitario dell'Orientale, realizzando da grande il suo vero sogno: individuare il nascondiglio del tesoro che Heinrich Schliemann aveva scovato a Troia nel 1873 e che i tedeschi consideravano ufficialmente distrutto dai bombardamenti allo Zoo di Berlino del 1945. Il tesoro verrà esposto nel Museo Puškin delle belle arti di Mosca e su questa avventura il giornalista scriverà un libro, intitolato "Giallo di Troia" e pubblicato nel 1993 per l'editore Pironti. Appena un anno fa, intervistato dal quotidiano online Agora24, tracciò un bilancio della sua esistenza: "Mi sono divertito abbastanza, non sempre, ma ho avuto una vita divertente. Siccome sono nato in un vicolo del quartiere Sanità a Napoli, non pensavo di fare il giornalista, non c'erano i presupposti, ma è andata bene". Negli ultimi anni si è mostrato sempre più insofferente alle ingiustizie sociali, denunciate sulle tv locali con indignazione, non è più andato allo stadio se non in rare eccezioni, ma il calcio - e il Napoli - sono rimasti nel suo cuore: "Nella mia carriera ho scritto un po’ di tutto, dalla malavita all’archeologia, però niente è stato più bello del calcio"

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