G-men 2, altri grandi colpi del mercato di gennaio

Calciomercato

Guido Barucco (GDM)

Da Recoba a Barzagli: il nuovo capitolo di G-men, gli eroi del mercato di gennaio [illustrazione di KAPA]
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Cavani, Nakata, Recoba, Icardi e Barzagli: sono i nostri secondi 5 G-men, supereroi del mercato di gennaio. A modo loro, in inverno hanno cambiato la propria storia o quella delle società che hanno puntato su di loro: viaggio nel tempo e nella storia del calciomercato invernale

La storia insegna che anche a gennaio si può cambiare il proprio destino. Nella scorsa puntata abbiamo ricordato cinque “mutanti”. Cinque che hanno “mutato” maglia a gennaio cambiando anche le sorti della stagione dei club che hanno puntato su di loro a gennaio. Davids alla Juventus, dopo esser stato meteora al Milan, e Stankovic all’Inter. Balotelli in rossonero, con il ritorno in Italia che portò Allegri in Champions League a suon di gol ed assist, e Nainggolan in giallorosso. Fino a Salah, stella della Fiorentina soltanto per sei mesi ma abbastanza per lasciare, eccome, il segno in viola. Eravamo rimasti qui, con i nostri G-men scoperti uno ad uno. E ripartiamo da qui. Altro giro, altra corsa. Altri mutanti. Da Cavani che iniziò a scrivere la propria storia italiana al Palermo a Nakata che disse sì alla Roma, primo giapponese nella Capitale. Da Recoba che prese sulle spalle il Venezia ad Icardi che sbarcò a Genova (sponda Samp) senza probabilmente sapere che sarebbe diventato così forte in Italia. Fino a Barzagli, rinato alla Juventus dopo l’esodo in Germania al Wolfsburg. Sì, anche a gennaio si può essere decisivi in qualche modo.

EDINSON CAVANI | DA: DANUBIO A: PALERMO DATA: GENNAIO 2007 PREZZO: 5MLN €

 

“Un mostro, un mostro”. E tutti capiscono subito. Lo è sempre stato, anche quando aveva 15 anni e segnava già valanghe di gol in Uruguay. Alto e secco, uno spilungone agilissimo e con un senso del gol fuori dal comune. Edinson Cavani: nome e cognome chiarissimi. Ora. Perché quando è arrivato in Italia, per mesi tutti sbagliavano. Edinson o Edison? Mistero. Non importava più di tanto, però. Perché il cognome era facile da ricordare e non ci volle molto per impararlo. Gol all’esordio contro la Fiorentina. Di rapina? Macché. Al volo di destro da fuori area. Golazo. Biglietto da visita migliore del mondo. E Palermo che ci mise poco ad innamorarsi. Ragazzone semplice e sempre sorridente, centravanti definitivo. Potenza, agilità e gol. Perfetto. Nato a Salto, come Suarez. Città che evidentemente di attaccanti se ne intende. Origini italiane, come il passaporto. Merito di un nonno di Maranello. Per questo, forse, la velocità gli è sempre appartenuta. Perché nonostante i 184cm di altezza, Cavani ha sempre sfrecciato via veloce. E negli anni, ci ha messo poco a togliersi di dosso il soprannome di Botija, termine dialettale uruguaiano con cui si indicano i bambini per via dei suoi lineamenti infantili e del fisico fragile ed esile, e prendersi a suon di gol quello di Matador.

Il Danubio, il Torneo di Viareggio e quel sì al Palermo - Basterebbero le parole di Pierpaolo Triulzi, da sempre più di un agente per Edinson, per capire tutto. L’uomo che ha scoperto e portato in Italia anche Dybala (e che quindi evidentemente di talenti un po' se ne intende) ha parlato spesso, in passato, di come ha portato Cavani in rosanero. Cambiando la sua vita, e quella del centravanti: “Sì, tutto cominciò con Edi - come lo chiama lui. Un mio collaboratore in Uruguay mi parlò benissimo di lui: lo andai a vedere a 16 anni nel Danubio - la sua squadra -, era ancora uno spilungone magro magro. Ma già segnava tanto. Tantissimo. In Italia venne con i suoi compagni per fare il Torneo di Viareggio e rimase per un provino con il Chievo. Andò bene, ma i 500mila dollari di clausola che erano stati fissati sul suo contratto erano troppi per il club gialloblù. Ci provò negli stessi anche il Torino, ma neanche loro riuscirono a prenderlo. E allora niente: Edi è tornato in Uruguay, ma si capiva che l’Europa era già nel suo destino. Nel 2007 con l’Uruguay partecipa al Mondiale Sub 20 e si innamorarono tutti di lui e del brasiliano Pato. Si scatenò il finimondo per Cavani: Fiorentina, Real Madrid, Juve… lo volevano tutti. Davvero. E noi scegliemmo il Palermo”, racconta Triulzi. Così la vita di Edinson si tinse di rosanero. Ma… perché il Palermo e non il Real? “E’ semplice, in queste situazioni si fanno delle valutazioni serene. O almeno ci si prova. Vado a memoria perché è passato un po' di tempo ma in quel Real Madrid mi pare ci fossero almeno Robben, Raul, Robinho, Van Nistelrooy, Higuain e Saviola. Un attacco stellare e super affollato. Edinson era giovanissimo, cosa ci andava a fare a Madrid? E poi Rino Foschi fu un dirigente molto abile ad anticipare tutti. E quello conta moltissimo in queste occasioni”. Fu così che Cavani disse addio al Danubio, una delle dodici squadre della sua città con la quale era cresciuto e si era fatto conoscere al grande calcio. E disse sì al Palermo. Curioso per uno che col Danubio, a Viareggio, aveva segnato al Messina. In rosanero arrivò per 5 milioni di euro, spiccioli in confronto al rendimento e al valore cresciuto poi negli anni successivi.

L'Italia, la sua Palermo, l’esplosione di un predestinato - Il 31 gennaio 2007 la firma e l’ufficialità, l’11 marzo - a 20 anni - l’esordio. In A: Palermo-Fiorentina, al Barbera. Finisce 1-1, gol di Cavani. E’ il primo squillo di un predestinato. L’anno dopo deve lottare con Amauri per un posto in attacco, finisce per adattarsi ad esterno. E ne risente il numero di gol a fine stagione: appena 5. Ma nei due anni successi cambia tutto: 15 gol a stagione, un ruolo sempre più da protagonista. E ci mettono poco ad arrivare (di nuovo) gli interessi dei grandi club per lui. L’addio al Palermo arriva tre anni e mezzo dopo lo sbarco in Sicilia: estate 2010, il Napoli versa 17 milioni di euro nelle casse rosanero per portarlo al San Paolo. Il resto è storia: in azzurro si consacra e diventa uno dei bomber più forti e prolifici al mondo. I gol in Italia e in Europa, le notti di Champions da protagonista ed il Napoli di Mazzarri che vive per lui. E lui che ricambia con cuore, sudore, corsa, grinta e reti. E’ straordinario. Non è un caso che in tre il valore si moltiplica ed il PSG, nel 2013, è costretto a pagare la clausola rescissoria sul suo contratto per strapparlo al Napoli e portarlo in Ligue 1: 64 milioni di euro. E tutto era cominciato con un sì al Palermo e 5 milioni di Zamparini che sembravano una follia e che, invece, erano soltanto spiccioli.

HIDETOSHI NAKATA | DA: PERUGIA A: ROMA DATA: GENNAIO 2000 PREZZO: 32MLD ₤

 
Un giapponese nella Capitale. A Roma. E non è un turista. Fa il calciatore, è seguito da un gruppo infinito di connazionali. Ed è anche piuttosto bravino. Giocava al Perugia. E si chiama Hidetoshi Nakata. In Umbria ci arriva per tre milioni e mezzo di dollari, merito di Sabatino Durante e del presidente Gaucci che ha l’occhio lungo per gli affari. E Nakata lo è in tutti sensi, in campo e fuori. Non un bluff alla Miura, tutt’altro. Giapponese un po’ per caso, calciatore enigmatico e misterioso. Non parla mai, su di lui si rincorrono miti e leggende. Ma col pallone tra i piedi ci sa fare eccome. Un uomo-business, anche. Con tanto di azienda personale, la Sunny Side Up, cresciuta con i suoi guadagni ed i suoi tanti affari. Storia italiana, spirito giapponese. Samurai di qualità. I primi calci a 9 anni, in una terra dove trionfavano sumo e baseball. A 15 anni la storia si fa seria ed il calcio non è più soltanto un gioco. Dalla rappresentativa scolastica passa al Bellmare Hiratsuka: è il primo, vero club. Quattro stagioni e sedici gol, a 19 anni partecipa alle Olimpiadi con l’Under 20 nipponica. E su di lui si accendono i riflettori del calcio mondiale. Nel ’96 ci prova la Juventus, Nakata fa un provino per i bianconeri. Infreddolito, eppure scaldato dal clima del calcio italiano. Conosce i grandi della storia della Juve e partecipa anche al Viareggio, ma non va oltre. E’ ancora troppo presto. Nel ’97 ecco la Dynasty Cup, torneo amichevole tutto asiatico. Cina, Corea del Sud, Hong Kong ed il suo Giappone. Il Guerin Sportivo titola: “E’ nata una stella”. Previsione azzeccata. Hide è il miglior giocatore del torneo, basta attendere un anno per rivederlo in Europa. E’ il ’98, su di lui piomba appunto il Perugia di Gaucci, Una trattativa infinita, una lunghissima stesura dei contratti: i dirigenti del Perugia accompagnati da commercialisti e avvocati partono per il Giappone per buttare giù il contratto. Articolato e pieno di cavilli. Ma alla fine la firma arriva, ed anche l’Italia. Ci mette 47 presenze e 12 gol per far capire che non è soltanto un affare economico. Ma anche tecnico.

La Roma, Totti e quella gara da scudetto contro la Juventus - La leggenda narra che Capello, in un ristorante di Chianciano Terme all’alba del nuovo millennio, per convincere Nakata a dire sì alla Roma avesse spezzato in 11 pezzi un grissino sul tavolo e con in mano una briciola avesse detto al giapponese: “Questo sei tu, e giocherai qui. Nel ruolo di Falcao”. A Sensi, per strapparlo al Perugia e bruciare tutta la concorrenza, servì molto di più. Trenta miliardi di lire, più l’intero cartellino di Dmitrij Alenicev. E fu così che Nakata sbarcò nella Capitale, spostando così tutti i turisti giapponesi che avevano fatto la fortuna dell’Umbria nei diciotto mesi della sua esperienza in biancorosso. Quella stagione, quindi, Hide la concluse alla Roma: quindici presenze, tre gol. Ed un macigno come Totti a fargli concorrenza nel suo ruolo. Per Nakata non era un problema, lo spirito giapponese da samurai gli permise di adattarsi anche in un ruolo non suo e di mettersi a disposizione della Roma. Poche occasioni, comunque, ma alla fine dell’esperienza giallorossa le presenze furono comunque non pochissime. Sessantasette, per l’esattezza. Di cui una indelebile nei ricordi dei tifosi della Roma. Maggio 2001, rush finale per lo scudetto. A Torino, la squadra di Capello sfida la Juventus. E va sotto 0-2. Cambio: esce un impalpabile Totti ed entra proprio Nakata. Due lampi, due bolidi per accendere la Roma e cambiare volto alla partita. Prima il gol che dimezzò lo svantaggio, poi un tiro imparabile per Van Der Sar che propiziò il tap-in vincente di Montella. Finì 2-2, la Roma di lì a poco sarebbe diventata campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. Anche grazie a quello spezzone da divo di Nakata al Delle Alpi. Il timbro più indelebile del giapponese sulla sua storia in giallorosso.

Il Parma, le ultime avventure ed un presente da giramondo - Nel 2001, Tanzi lo porta al Parma: 28 milioni di euro. Poi il giro iniziato nel 2004 a Bologna e proseguito tra Firenze e l’Inghilterra. Un anno al Bolton, quindi il ritiro dal calcio giocato. E dalla Nazionale, dopo 77 presenze ed 11 gol. Ma il giro prosegue, stavolta è quello del mondo. In quattro anni. "Quando ero calciatore - raccontò in un’intervista all’Equipe - ho viaggiato molto, ma ho visto solo hotel, stadi, aeroporti. Avevo voglia di partire da solo alla scoperta di paesi e popoli che mi affascinano. Ho voglia di vedere da me il mondo, non attraverso i giornali o la tv”. E così Nakata partì zaino in spalla tra Asia e Medio Oriente. Lontanissimo dall’icona da divo che lo aveva caratterizzato. Via le meches ed i capelli firmati, dentro barba incolta e capello lunghissimo. Da backpacker. Con la stessa passione, il pallone. “Per me è altrettanto piacevole giocare a piedi nudi per strada o in uno stadio mitico. E poi giocare una partitella è il modo migliore per farsi degli amici, viaggiare, scoprire il mondo vero. Il calcio è uno sport incredibile, praticato ovunque, amato in ogni paese che ho visitato”. Amante dell’arte, a tutto tondo. Dal design ai vini. Imprenditore, businessman affascinato ancora dall’Italia. Come l’Italia lo è sempre stata di lui.

ALVARO RECOBA | DA: INTER A: VENEZIA DATA: GENNAIO 1999 PREZZO: PRESTITO

 
Gennaio 1999. Cronache da Venezia. Veneti apparentemente già condannati alla retrocessione, serve un miracolo sportivo per la salvezza. Oppure un genio. Un talento. Un fenomeno. Che Zamparini trova in nerazzurro: Alvaro Recoba. Un uruguaiano nell’Inter, arrivato dal Nacional nell’estate del ’97 per 7 miliardi di lire. Ne parlano tutti benissimo, per molti è un fenomeno totale. Uno di quelli da top 10 mondiale. O anche più su. Però a Milano non trova tanto spazio, nonostante un talento cristallino: 9 presenze in un anno e mezzo, tre gol. E solo perle. Doppietta all’esordio per rimontare il Brescia, rivoltare la partita e condurre l’Inter alla vittoria. E poi una magia da centrocampo contro l’Empoli. Lampi da fenomeno. Ma non bastano, perché il feeling con Simoni rasenta lo zero e le presenze, l’anno dopo, si riducono a… una soltanto. Uno spreco. (Anche) per questo Zamparini ci credeva. E bussò alle porte dell’Inter: “Non è che ce lo date in prestito?”. Detto, fatto. Sacrificando per fargli posto l’uomo della promozione, Stefan Schwoch. Direzione Napoli. Intanto a Venezia fanno in fretta a dimenticarlo e il Penzo si illumina, dai primi allenamenti la sensazione è già chiara: è arrivato l’uomo della salvezza e quello della speranza, messi insieme. In un unico piede, il mancino del Chino. E nonostante una classifica difficilissima, a Venezia iniziarono subito a credere che l’impresa potesse essere diventata di colpo possibile. Forse, addirittura probabile.

La coppia-nostalgia con Maniero, la salvezza del Venezia e il ritorno all’Inter - Bastano le parole del suo partner d’attacco in quei mesi sulla laguna per spiegare cos’è stato Recoba per il Venezia e quanto abbia pesato sulle fortune di quella squadra: “Era come se fosse arrivato Maradona. E a lui il fatto di essere visto come il più bravo non dispiaceva affatto”. Se poi si aggiunge un impatto mostruoso in campo… il dado è tratto. Esordio il 17 gennaio contro la Juventus: un pari, primo punto. Contro l’Empoli, nel recupero, vittoria 3-2 in rimonta al Penzo. E’ il 20 gennaio, nasce la coppia Maniero-Recoba. “Eravamo sotto 2-0, poi 2-1 perché segnò Valtolina. E poi due miei reti, entrambe su pennellate del Chino”. Retrocessione per chi? In molti iniziavano a sussurrarlo. Recoba mette le ali al Venezia, arrivano 15 punti in otto partite: battute Roma, Udinese e Fiorentina al Penzo (con tripletta di Recoba), superato anche il Perugia. “Era il tipico simpaticone… - continua Maniero -. E gli piaceva scherzare.. Noi lo prendevamo in giro perché agli allenamenti non era proprio puntualissimo e gli regalammo per il suo compleanno un bell'orologio, grande due metri da mettere alla parete”. Ma il regalo più bello lo aveva già fatto la Befana al Venezia, portando il Chino in prestito. Ne arriveranno altri di gol, di perle e di reti pesante. Alla fine dell’anno saranno undici in totale, con gioia personale anche contro l’Inter. Sei mesi da record, una cavalcata spinta dal talento del Chino che mise le ali al Venezia: dalla zona retrocessione ai margini di quella europea. Quarantadue punti e salvezza più che tranquilla. Valeva quanto uno scudetto. In estate tornerà all’Inter, il Venezia l’anno dopo tornerà in B. Ancora innamorata, e grata, al genio (a tratti incompreso) di un uruguaiano arrivato nella laguna per salvare una città intera con il proprio talento. Missione compiuta.

Gli anni nerazzurri, il Torino, la Grecia e il ritorno in Sud America - I sei mesi al Venezia sfumano via presto. C’è l’Inter ad attendere il Chino, e in nerazzurro Recoba resta fino al 2007. Vince 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe e 2 scudetti, e rimase nel cuore di molti tifosi nerazzurri. Uno in particolare: Massimo Moratti. Per lui, Recoba è stato il suo giocatore preferito. Al Torino non trovò grandi fortune, poi è arrivata la Grecia (Panionios). Un anno e di nuovo via, verso il suo Sud America: Danubio e Nacional, la carriera di Recoba si chiude con le due squadre che lo hanno cresciuto e lanciato. Un ritorno alle origini, con l’Italia sempre nel cuore. Dove, un pezzettino, è ancora del Venezia. E lo sarà a vita.

MAURO ICARDI | DA: BARCELLONA A: SAMPDORIA DATA: GENNAIO 2011 PREZZO: PRESTITO + RICATTO A 400 MILA €

 

Se sei argentino, giochi nel Barcellona da quando avevi 15 anni e segni 38 gol in due stagioni… il futuro non si mette proprio male. Se però Pep Guardiola non stravede per te al punto da non farti mai aggregare alla prima squadra ed avallare la tua cessione… magari non sarai mai un campionissimo. Eppure, anche i migliori sbagliano. Perché i numeri di Mauro Icardi dicono che siamo di fronte ad uno degli attaccanti più forti del mondo. Leader giovanissimo, capitano a 23 anni, trascinatore di gol e di classe. L’Inter se lo gode, il Barcellona - se non lo rimpiange - un po’ lo guarda con malinconia. Ma i primi sprazzi di Italia sono tinti di blucerchiato. Genova, sponda Samp. La sua storia italiana è cominciata lì. Da “scaricato” di lusso blaugrana, da bomber. Di razza. Uno che a 5 anni già giocava (e segnava) nel Club Infantil Sarratea, nel nord della sua Rosario. Poi l’addio all’Argentina nel 2002, la famiglia Icardi che emigra in Spagna a cercar fortuna. Nelle Canarie, Las Palmas per l’esattezza. Le fortune le trova tutte Maurito, grazie al suo talento. Nel Vecindario si mette in mostra: 384 gol in sei stagioni. Un mostro che chiederà alla famiglia di trasferirsi a Barcellona, perché nel 2008 entra nelle giovanili blaugrana. Due anni, 38 gol. Come detto, però, non abbastanza per conquistare Guardiola. E allora addio Spagna. Altro giro, altra corsa, altro biglietto. Altra partenza: direzione Italia.

 

La Sampdoria, il gol nel derby e la Juventus nel mirino - Icardi e la Samp, storia di gol, veleni, polemiche e fischi. Rewind. Gennaio 2011, in blucerchiato Maurito arriva in prestito. Sei mesi, poi il riscatto per 400mila euro. Un affarone targato Pecini, la Samp ha in casa il bomber del futuro. In Primavera impressiona, alla prima stagione completa fa 19 reti. Decisivo, come pochi. E capocannonere. Poi si aprono le porte della prima squadra: il 12 maggio 2012 esordisce in B in trasferta a Castellammare contro la Juve Stabia. Dieci minuti, e gol. Decisivo per la vittoria finale e per i playoff che porteranno la Samp alla promozione. Segnali di un bomber predestinato. Poi la Serie A: esordio il 26 settembre nell’1-1 contro la Roma, primo gol nel derby del 18 novembre contro il Genoa. Non male per farsi amare dai tifosi blucerchiati. Arriverà anche un poker al Pescara, ma soprattutto tre reti alla Juventus fra andata e ritorno (entrambe le sfide vinte dalla Samp). I bianconeri sono già, e resteranno, la sua vittima preferita.

Le ricerche su Google e il ritorno al veleno - Che la Sampdoria potesse essere soltanto una parentesi per Icardi lo si poteva capire già dal principio. “Maurito, ti vuole la Samp”, e lui? “Conoscevo le squadre più importanti: Inter, Milan, Juventus e Roma. Sono andato su Google a vedere che squadra fosse la Sampdoria e che città rappresentasse. Era importante, in rosa c’erano due giocatori come Cassano e Pazzini. Mi sentivo gasato. Faceva un freddo esagerato, non ero abituato - ha raccontato Icardi nella sua biografia - Non facevo vita sociale, come unico svago dopo gli allenamenti andavo a pescare al porto con mio padre: una canna in carbonio super leggera, pesi per la pesca a fondo, una serie infinita di galleggianti”. E poi l’addio, la scelta di dire sì all’Inter e il ritorno a Marassi tra fischi e polemiche (con il caso Maxi Lopez mai risolto). Doppietta e provocazione ai tifosi della Samp, quelli che fino a poco prima erano stati i suoi tifosi: “Dopo il primo gol che ho segnato proprio sotto la curva dei tifosi blucerchiati (vi lascio immaginare la loro esplosione di rabbia) mi sono girato verso di loro, facendo segno di gridare più forte. Loro stavano già urlando a squarciagola, ma così li ho fatti incazzare ancora di più”. Finì 0-4, per l’Inter. Era l’alba di un campione, passato (anche lui) dal mercato di gennaio.

ANDREA BARZAGLI | DA: WOLFSBURG A: JUVENTUS DATA: GENNAIO 2011 PREZZO: 300MILA €

 

Si può rinascere a 30 anni? Se ti chiami Andrea Barzagli, sì. “E’ il difensore più sottovalutato al mondo”, dicono. E forse è davvero così. Per molti era semplicemente “finito” dopo l’esperienza in Germania. “In quel periodo sono diventato padre e sia per me che per mia moglie era la prima esperienza all'estero. Ero un'altra persona prima ed ero un giocatore "medio": giocavo nel Palermo, ma dopo il Mondiale pensavo che avrei potuto avere di più e andare in una grande squadra. Non me lo meritavo però e quando arrivò l'offerta del Wolfsburg, che per il giocatore che ero era eccessiva, accettai. Lì trovai un allenatore, un certo Felix Magath, che ha stravolto completamente la mia mentalità. Ogni volta che mi lamentavo mi diceva: "Sai perché non ti alleni bene? Perché non credi in quello che fai". Io in effetti in allenamento davo il 70, l'80% e non prendevo mai la palla... Lì è cambiato il mio modo di allenarmi. Da allora do sempre il 100%”, raccontò in un’intervista. E qui c’è tutto l’Andrea Barzagli che è tornato in Italia ed ha iniziato la sua seconda giovinezza in bianconero.

 

Il cambio di ruolo, il Palermo e i milioni del Wolfsburg - I primi calci alla Cattolica Virtus, squadra fiorentina al top a livello giovanile. Poi il salto nella Rondinella, con cui Barzagli mette le ali. Sono i primi anni tra i professionisti, Andrea fa ancora il centrocampista. Il cambio ruolo lo consacra: da difensore, passa all’Ascoli e poi al Chievo, ma è con il Palermo che diventa grande. 142 presenze, 3 gol e… un Mondiale vinto. Quello del 2006, indimenticabile. Arriva l’offerta della Fiorentina, potrebbe tornare nella sua Firenze. Ma sceglie i milioni di un Wolfsburg che in quegli anni, con Magath, lottava per lo scudetto. Estate 2008: il Palermo incassa 11,9 milioni di euro e Barzagli va in Germania con Zaccardo. Lì, dove erano diventati campioni del mondo. Il triennale si avvicina alla scadenza nel gennaio 2011, i tempi per il ritorno in Italia sono maturi. C’è la Juventus, su di lui i bianconeri vogliono ricostruire la difesa. Quella che vincerà 5 scudetti consecutivi. Appena 300.000 euro per salutare il Wolfsburg e tornare in Serie A: è uno dei più grandi affari di mercato della Juventus, visto il rendimento altissimo e continuo.

La seconda giovinezza - Sembrava in fase calante, è rinato in bianconero. A 30 anni. Diventa titolare inamovibile della Juve di Conte e della Nazionale Italiana. E Barzagli torna quello di un tempo. Anzi, meglio di quello di un tempo. E’ un altro giocatore, fortissimo e irrinunciabile. Vittorie, scudetti, record, gol. Una colonna portante della nuova Juventus. Costata appena 300mila euro: la dimostrazione che, anche a gennaio, si possono fare affari d’oro.

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