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NBA, Houston a razzo: D’Antoni, Harden e… Gordon

NBA
Non solo triple per Eric Gordon, pericoloso anche al ferro: l'ex Hoosier è una delle sorprese della stagione (Foto Getty)
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Gli Houston Rockets di coach Mike D'Antoni sono la squadra del momento: hanno dominato dicembre, cavalcano una striscia di 7 vittorie consecutvi e hanno in James Harden un candidato MVP. Eppure è venuto il momento di parlare anche di Eric Gordon

A fine novembre, un mese concluso con una secca sconfitta nello Utah 120-101, il record degli Houston Rockets era un accettabile 11 vinte 7 perse, buono per il terzo posto a Ovest, il sesto nella lega ma ancora lontano tanto da quello dei Golden State Warriors (16 a 2 a fine mese) che dei Cleveland Cavs nell’altro conference (13-3). Poi, a dicembre, i razzi texani sono realmente decollati. Hanno chiuso l’anno dominando la lega, vincendo 15 delle 17 gare disputate (Toronto è quella che ha fatto meglio alle loro spalle, 10-4) e quando la lega ha dovuto indicare i protagonisti del mese ha spedito i premi al 1510 di Polk Street, downtown Houston, indirizzo del Toyota Center. Una bella accoppiata, allenatore del mese e giocatore del mese, per una bella coppia — una tra le più attese di tutta la stagione — Mike D’Antoni e James Harden.

Di nuovo D’Antoni — Aveva prima incuriosito, poi entusiasmato e quindi preoccupato (gli avversari) ai tempi dei Phoenix Suns, a loro modo una squadra culto nella NBA moderna, capace di esaltare il gioco di Steve Nash fino a farlo diventare un due-volte MVP NBA e di imprimere al gioco un’accelerazione temporale (Seven Second Or Less) e una trasformazione spaziale, allargando il campo con una batteria di micidiali tiratori sull’arco. Nel 2005 viene votato il miglior allenatore dell’anno, mica del mese, ma il colpo d’anca di Robert Horry, le squalifiche, qualche sliding door beffarda e la favola dei Suns si spegne. Resta caldo invece il nome dell’ex playmaker dell’Olimpia Milano, che infatti va a sedersi prima sulla panchina di New York (preferendo i Knicks ai Bulls) e poi su quella dei Lakers, scelta più gradita dalla dirigenza rispetto a un certo Phil Jackson. Sono due disastri (semi) annunciati: 121-167 il record complessivo nella Grande Mela, 67-87 quello a L.A., dove D’Antoni presenta la sue (desiderate) dimissioni il 30 aprile 2014. Da allora esce dalla mappa delle panchine NBA, scompare dal radar, viene quasi dimenticato. Le sue occasioni le ha avute, i suoi soldi li ha fatti, l’opinione sussurrata da più parti è che la sua carriera in panchina possa anche dirsi conclusa. E invece… Invece Daryl Morey affida allo scienziato pazzo della West Virginia il suo Frankenstein barbuto, James Harden, convinto che i due possano andare d’accordo. I primi exit poll stagionali sembrano dargli ragione: il dicembre premiato ha visto i Rockets guidare la lega per punti segnati (120.9) e scarto medio nelle vittorie (+12.9) ma anche per Offensive Rating (115.4 punti per 100 possessi) e Net Rating (+12.5). Harden fa un Nash ancora più pericoloso in fase realizzativa e rispuntano tutti i tiratori sull’arco: Houston a dicembre segna 111 triple in più dei propri avversari, mandandone a segno la bellezza di 16.4 di media a sera. Ovviamente, un primato NBA.

James  Harden — E che dire del n°13 dei Rockets, tra i candidati più credibili — con Russell Westbrook, Kawhi Leonard e forse Kevin Durant — al premio di MVP di fine anno? Che sia incontenibile al ferro e una continua minaccia da tre punti — quindi, in pratica, un mal di testa senza soluzione per qualsiasi difensore — è risaputo. Ma il dicembre di Harden più che vederlo al quarto posto nella lega per punti realizzati (28.3 a sera), lo ha visto al primo tra i passatori (12 assist ad allacciata di scarpe), protagonista di ben cinque triple doppie e autore di un unicum NBA — la gara da almeno 50 punti, 15 assist e 15 rimbalzi (53+17+16 contro i Knicks la sera dell’ultimo dell’anno). Il tutto — e questo è il dato più sorprendente — con un’efficienza mai vista prima nel suo gioco e anzi, mai vista prima nella storia della lega. Per un giocatore coinvolto in almeno un terzo dei possessi della sua squadra, la percentuale reale di Harden (il 61.4%) è la più alta di sempre, davanti al sorprendente Isaiah Thomas versione 2016-17 e ai Michael Jordan e LeBron James delle loro migliori annate.

Eric Gordon?!? — La combo D’Antoni-Harden era, già ai nastri di partenza stagionali, uno dei motivi di interesse e curiosità più gettonati, attesa al varco da molti. In tanti — meno, certo, ma comunque un bel numero di osservatori — al varco aspettavano anche Eric Gordon, ma con intenti completamente diversi. Quei 53 milioni per 4 anni elargiti a un giocatore che a New Orleans aveva dovuto saltare per infortunio 173 delle 394 partite disputate sembrava una follia. Oggi, invece, sembra un grandissimo colpo di mercato. Se va avanti così il prodotto di Indiana University diventerà a fine anno l’unico giocatore oltre a Steph Curry capace di infrangere il muro delle 300 triple segnate in una stagione (attualmente ne mette 3.8 a sera, la proiezione lo porta attorno alle 310 totali). Su circa nove tentativi a sera, Gordon tira dall’arco con un ottimo 41.9% (neppure il suo dato migliore in carriera, visto il 44.8% sfoggiato due annate fa, ma su 5 tentativi a gara) e guida l’intera lega per produzione di punti (18.4 di media) dalla panchina. Anche in questo caso non si tratta della sua media punti più alta in assoluto (oltre i 22 l’ultimo anno ai Clippers, sopra i 20 il primo coi Pelicans), ma rimane comunque la migliore negli ultimi cinque anni e ancor più degna di menzione se considerata la presenza di un James Harden a roster. A differenza di un Ryan Anderson, che fa del tiro da fuori la sua unica arma offensiva, Gordon possiede invece un'insospettabile capacità di andare al ferro per guadagnarsi punti (5 penetrazioni di media per lui) e tiri liberi (è il secondo tra gli esterni - il quarto di squadra - per viaggi in lunetta, li realizza con oltre l'83%). Merito di un fiisco a cui non mancano i centimetri (193) ma soprattuto la forza, specialmente nella parte superiore del corpo (si ferma un paio di chili soltanto sotto i 100). Quello che colpisce, però, è più di tutto l'estrema fiducia con cui finalmente, dopo annate non facili, Gordon è tornato a giocare la sua pallacanestro, conseguenza diretta di quel semaforo verde idealmente acceso da D'Antoni fin dal suo primo giorno in panchina a tutti i suoi tiratori. Chiamato a Houston in estate proprio per questo (in coppia con Anderson) Gordon ha risposto come meglio non ci si poteva attendere, risuscitando una carriera che ora potrebbe regalargli le sue gioie più grandi.