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NBA, Silver e la soluzione alla "questione riposi"

NBA
Adam_Silver

Adam Silver è tornato ad affrontare l’argomento di maggiore attualità nel mondo NBA nelle ultime settimane: il riposo delle superstar (e non solo) durante la regular season

Al termine del consiglio amministrativo dell’NBA tenuto a Manhattan nelle scorse ore, Adam Silver è ritornato nuovamente sull’argomento più scottante delle ultime settimane: il riposo delle star durante la regular season per preservare le energie in vista dei playoff. “Non c’è un problema di maggiore rilevanza di questo all’interno del mondo NBA al momento, una preoccupazione che colpisce il cuore di quello che facciamo e mette in discussione la qualità del nostro prodotto. È un argomento su cui bisognerà spendere il tempo necessario”. Dopo le sfide in diretta nazionale con Warriors prima e Cavaliers poi prive dei loro All-Star, è necessario cercare di porre rimedio. A illustrare una possibile soluzione (almeno provvisoria) a cui sembrano essere giunti di comune accordo i proprietari delle 30 franchigie NBA, è lo stesso Silver: “Quello di cui abbiamo discusso con i proprietari è il senso di dovere che abbiamo nei confronti del gioco e quali siano i comportamenti da assumere per far sì che questo non venga mai meno. E la conclusione a cui siamo giunti tenendo ben presente questi obiettivi è quella di cercare, nel caso in cui il riposo sia necessario, di lasciare fuori dal match i giocatori nelle partite casalinghe, evitando di tenerne a riposo più di uno per volta. Il tutto con un’attenzione particolare alle partite di cartello. Con questi accorgimenti risolveremmo buona parte delle criticità”.

Le 82 partite non si toccano - Silver ha inoltre specificato che al momento non è in discussione l’opzione di ridurre il numero di partite della regular season, sottolineando come la decisione di iniziare la regular season con una settimana d’anticipo vada incontro anche a quel tipo di necessità. Il commissioner ha poi sottolineato che il problema resta anche la competitività di alcune squadre che per “ragioni di lottery” sembrano ben felici di perdere il più spesso possibile, soprattutto nelle ultime settimane di stagione. Una gara a chi fa peggio che deteriora il prodotto offerto: “Anche questa è una questione sul tavolo: in quel caso il “riposo” è dettato dal fatto che le squadre siano focalizzate sul rebuilding e lasciare fuori i giocatori di livello serve a perdere il più possibile. Non è certo una novità per la lega, ma bisognerà discuterne a fondo”. Mai però fare di tutta l’erba un fascio: “Bisogna comunque fare una distinzione rispetto ai casi in cui si cerca di dare minuti a giocatori da valutare, a prospetti a cui bisogna dare il tempo di crescere anche a costo di incassare delle sconfitte. Resta innegabile però che spesso e volentieri si punta solo ed esclusivamente al draft di giugno. Nella maggior parte dei casi le scelte sono protette e in alcuni si arriva addirittura ad avere una protezione fino alla Top-3 [ossia una scelta che resta a disposizione della squadra soltanto nel caso in cui la stessa ottenga una delle prime tre chiamate al draft, ndr]: questi sono punti su cui fare una riflessione e dei quali fare una rivisitazione in maniera olistica”. Il totale in sostanza non è somma delle parti, ma è figlio dei comportamenti delle singole squadre che di volta in volta sono motivati da ragioni diverse. L’idea è quella di rendere il più omogenee (e competitive) possibile queste intenzioni e rendere conveniente a tutti puntare al successo al termine dei 48 minuti.

Il confine tecnico tra proprietari e allenatori - “Io ho profondo rispetto per il lavoro fatto dagli allenatori e dai general manager - prosegue Siver -, intenzionati ognuno a modo proprio nel ricercare la strada più breve e redditizia per raggiungere il successo. Sono in particolare sintonia con i giocatori, che sono quelli che sopportano il peso di questi sforzi e che spesso non sono quelli che prendono le decisioni riguardo il loro utilizzo. La nostra funzione non è di certo quella di mettere bocca sulla decisioni tecniche, con presidenti che prendono il telefono e contattano i propri allenatori, dispensando consigli su quali siano i giocatori che devono scendere sul parquet. Allo stesso tempo però bisogna che ci sia un equilibrio tra le decisioni manageriali compiute all’interno della squadra e quelle di business”. Insomma, pur di provare a vincere tutto è lecito, tranne sminuire o ridimensionare la qualità del prodotto offerto: “È una questione complicata: nessuno può dare per scontato nulla e bisogna sempre tenere a mente che il Gioco è più importante di qualsiasi squadra o atleta che lo pratichi. Non bisogna dare per scontato il nostro pubblico, ma dobbiamo affrontare queste criticità per avere delle risposte che diano soddisfazione ai nostri fan”.