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NBA, Celtics-Wizards si decide (anche) sotto canestro

NBA

Stefano Salerno

A pesare sull’esito di gara-2 tra Boston e Washington non è soltanto la sfida tra Thomas e Wall, ma anche la copertura a rimbalzo che sapranno garantire Marcin Gortat da una parte e un Amir Johnson in cerca di riscatto dall'altra 

Guardare l’esito della sfida a rimbalzo è sempre un buon indicatore dello stato di salute dei Boston Celtics, travolti nei primi quattro minuti di gioco dal 16-0 degli Wizards in gara-1, prima di riprendere in mano le operazioni e dominare il secondo tempo grazie ai 19 canestri da tre punti e a una fluidità offensiva che Washington non è riuscita a limitare. La lotta sotto le plance si è conclusa in perfetta parità (38 vs. 38), nonostante il 12-2 incassato a inizio gara dai padroni di casa.  A pesare per i capitolini infatti è stata anche l’assenza forzata di Markieff Morris, in campo soltanto 11 minuti prima di essere costretto ad abbandonare il parquet a causa della distorsione alla caviglia che ne mette in dubbio la presenza in gara-2. Coach Brooks dovrà quindi affidarsi a Marcin Gortat, decisivo in un primo quarto da 9 punti e 3 rimbalzi e dominato nel finale da Al Horford, che ha scherzato con lui nelle fasi decisive della partita. “Sono l’unico rimasto, sono il solo lungo del roster. Per fortuna sono stato forgiato in Polonia, sono un duro!”, ironizza il diretto interessato. “Possiamo riderci su quanto vogliamo, ma la realtà dei fatti è che davvero non posso farmi male, altrimenti non c’è nessun altro da mandare in campo, non contando il rookie Ochefu che sta seduto in panchina. Questo vuol dire che sono “costretto” a giocare e soprattutto a performare al meglio”.

Marcin Gortat e la sfida con Al Horford

L’impressionante gara-1 di Al Horford ha però lasciato il segno e il polacco sa bene di non poter sottovalutare il suo avversario diretto: “È in grado davvero di fare di tutto in campo – racconta facendo riferimento ai 21 punti, 10 assist e 9 rimbalzi messi a referto dal numero 42 dei Celtics -. Nei primi due quarti e mezzo di partita è stato quasi invisibile. In realtà era in totale controllo della situazione, come poi si è visto quando ha iniziato a recuperare palloni, regalare assist e segnare da tre quando più contava. Ha messo in fila un sacco di giocate decisive e quando siamo tornati in panchina per il timeout mi sono reso conto che aveva messo a referto quasi una tripla doppia. Da dove diavolo aveva tirato fuori quelle cifre?”. Una domanda che gli ha rivolto anche Brooks in questi due giorni. “ Dovrò mettere molta più pressione su di lui, attaccandolo in difesa e cercando di caricarlo di falli. Lui è un ottimo giocatore e non mi sarei mai permesso di dire il contrario. Per me è uno stimolo in più per fare bene in questa lunga e affascinante serie”. Un problema da risolvere il prima possibile, soprattutto perché inseguire Horford sul perimetro vuol dire scoprirsi pericolosamente a rimbalzo, pagando dazio in quello che dovrebbe essere il proprio punto di forza.

Amir Johnson in attesa della sua occasione

Anche coach Stevens però ha i suoi grattacapi, costretto a panchinare in fretta e furia Gerald Green dopo il disastroso avvio del match d'apertura della serie, limitato a soli 7 minuti di gioco chiusi con zero tiri, zero punti e -13 di plus/minus. Ogni serie playoff ha una vita propria e dopo l’ingresso decisivo in quintetto nella sfida contro Chicago, l’ex giocatore dei Suns potrebbe tornare a riaccomodarsi in panchina per far spazio a Kelly Olynyk, unico in grado di tenere a galla Boston durante il disastroso primo quarto giocato dai Celtics. Altra alternativa invece potrebbe essere Amir Johnson, che dopo aver concluso la regular season da recordman per presenze (80) e gare da titolare (77), si è ritrovato in panchina dopo lo 0-2 incassato dai Bulls. È la dura legge dei playoff e lui lo sa bene: “Se le cose non vanno nel migliore dei modi, conviene iniziare a pensare a un diverso modo per affrontarle. Se la difesa avversaria ti concede il tiro da tre punti, devi lavorare affinché quei tiri inizino ad andare dentro con continuità”. Una chiave decisiva per la squadra di coach Stevens che con lui in campo ha chiuso con un convincente +8 di Net Rating la regular season; di gran lunga il migliore del roster, ma che in questi playoff ha visto precipitare il suo rendimento. Nei 41 minuti in cui è rimasto sul parquet infatti  la situazione è profondamente cambiata: -6.6 di Net Rating, che diventa +9.6 quando resta seduto in panchina.

L’esempio del veterano

Numeri che non cambiano la sostanza delle cose: “Non bisogna cambiare la natura del proprio gioco davanti alle difficoltà, pensare di dover strafare o di non giocare più con le proprie caratteristiche. Se sono in questa lega è perché ho quel determinato modo di giocare e l’unica cosa che posso fare è aggiungere altre caratteristiche per avere una chance di stare in campo, provando a dare un contributo extra”. Nessuno in fondo è preoccupato dall’impatto di queste scelte a livello emotivo sul rendimento del numero 90. “Amir sta vivendo la situazione con il giusto approccio mentale – racconta Smart -, continuando a dare indicazioni anche dalla panchina e facendo valere la sua esperienza con i giocatori più giovani, dispensando consigli a tutti”. Un esempio frutto della sua esperienza diretta nella lega, come lui stesso tiene a ricordare evocando quanto successo anni fa con i Pistons, in una partita in cui si ritrovò assieme agli altri ragazzi della second-unit in campo a inizio ripresa. Con il loro contributo Detroit rimontò nel punteggio quella sfida e il coach a quel punto decise di rimettere in campo i titolari; a insorgere però fu Antonio McDyess, uno dei veterani di quella squadra, che ci tenne a sottolineare come quei ragazzi avessero meritato di restare in campo anche nei minuti decisivi. Un uomo d'esperienza mette sempre l'interesse della squadra prima di quello personale: “Non ha davvero senso mettere ulteriore pressione sul coach. Arriverà anche il mio momento”.