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NBA Finals, tsunami Warriors: si salvi chi può quando arriva "l’onda"

NBA

Mauro Bevacqua

Nella lega c'è un detto che recita come segue: "It's the NBA, everybody makes a run". L'arte di infliggere parziali agli avversari, però, sembra sublimata da questa edizione dei Golden State Warriors. E il motivo va trovato nel loro stile di gioco

OAKLAND — Gara-1 era stata indicativa, gara-2 non ha fatto che confermarlo: contro questi Warriors è assolutamente vietato abbassare la guardia, distrarsi un attimo, allentare un solo minuto la concentrazione, che deve restare ai massimi livelli in ogni momento. Non farlo equivale quasi automaticamente a subire un parziale frastornante, un colpo da ko che rende spesso difficile, a volte impossibile rialzarsi e che comunque è di solito seguito da altri colpi ancora, un’ondata quasi continua di canestri che prima o poi sfianca la resistenza di qualsiasi difesa. Nella partita d’esordio della serie lo tsunami Warriors era iniziato nelll'ultimo minuto del secondo quarto per poi rompere definitivamente gli argini all’inizio del secondo tempo, con un 14-0 di parziale firmato da 4 punti di Durant e da 8 in 110 secondi di Curry. Gara-2, se ce n’era bisogno, lo ha ribadito meglio di mille parole. A più riprese infatti gli Warriors hanno stordito la difesa dei Cavs con una raffica di canestri in fila: prima un 13-2 in neppure tre minuti che dal 13-14 ha visto i californiani portarsi sul 26-16 nel primo quarto. Alla risposta di Cleveland, capace di chiudere fino al -5 all’inizio del secondo quarto (40-35), replica Golden State con un altro parziale di 10-3 in due minuti e mezzo, che riporta il vantaggio a 12 punti (50-38). Stessa cosa a inizio del secondo tempo, quando Durant e Curry — ancora loro — entrano in the zone: 6 punti e un rimbalzo per il primo, 7 punti, 2 assist e un rimbalzo per il secondo e l’ennesimo break di 16-7 in tre minuti è servito: “Eravamo sotto di tre all’intervallo [4 in realtà, ndr] — dice Kyrie Irving — ma ci sono saltati letteralmente addosso al via del secondo tempo. Dobbiamo essere più bravi a estendere il nostro sforzo sui 48 minuti, perché sappiamo quanto loro siano pericolosi: possono costruire un parziale di 8-0 in una manciata di secondi”. 

La chiave sono i parziali

Esattamente quello che accade nel terzo quarto, quando agli Warriors bastano 54 secondi per confezionare un altro 7-0 che li spinge sul 93-82. Anche il colpo del definitivo ko — da +11 a +20 — arriva nel giro di 140 secondi verso la metà dell’ultimo quarto, suggellando la vittoria in gara-2. “Anche noi abbiamo fatto dei parziali, riducendo il nostro svantaggio anche a 4 soli punti — argomenta LeBron James — ma poi loro hanno subito piazzato un break di 9 o 12-0. Sono capaci di farlo, anzi è proprio il loro modo di giocare. Appena fai un errore — e in questo caso l’ho commesso proprio io, perdendo un pallone — immediatamente si apre l’oblò e finisci per imbarcare acqua ovunque”. Il concetto è confermato anche da Kevin Love: “Sono una squadra a cui non si possono concedere parziali ma è molto più facile da dirsi che da farsi, lo so benissimo”, ammette sconsolato l’ala n°0. “I miglioramenti che possiamo fare tornati a Cleveland sono difensivi. Chiederò ai ragazzi una maggiore consapevolezza, peché non possiamo mai rilassarci, è vietato addormentarsi anche solo per un secondo perché il loro attacco è in costante movimento e richiede da parte nostra concentrazione assoluta. Appena perdiamo un uomo loro ce la fanno pagare immediatamente”. 

Movimento continuo, di uomini e palla

Lo stile di gioco offensivo degli Warriors funziona proprio per esporre prima o poi le difese avversarie a un breakdown difensivo, un cedimento quasi inevitabile che di solito coincide con un parziale assassino di Curry, Durant e compagni. Merito prima di tutto dell’insistenza predicata dal coaching staff di Golden State sul continuo movimento degli uomini in campo, tanto sul lato forte quanto (ancora di più) su quello debole, dove i giocatori sono costantemente incoraggiati a effettuare tagli piuttosto che blocchi. Ecco allora che gli Warriors in attacco si muovono per 9.41 miglia a partita contro le 8.80 dei Cavs, che invece difensivamente — spesso in affanno, spesso fuori posizione, costretti a ricorrere a closeout di emergenza — coprono una distanza superiore alla squadra allenata da coach Kerr (8.09 contro 7.62 sempre dopo le prime due gare), con relativo maggior dispendio energetico. L’altro cardine dell’attacco targato Dubs è il movimento di palla: 31 assist di Golden State contro 15 in gara-1 cui si sommano altri 8 assist secondari contro solo 2, per un totale di 50 tiri non contestati contro i 38 concessi all’attacco dei Cavs. Tendenza confermata anche in gara-2, con 36 assist su 43 canestri segnati e altri 9 assist secondari, contro i 27+5 per LeBron James e compagni. Sono in totale 448 i tocchi dei giocatori di Golden State dopo le prime due gare contro i 391 (57 in meno) di quelli di Cleveland, ma la palla nelle mani degli Warriors si ferma meno (2.57 secondi contro i 2.93 per i Cavs) e meno viene anche messa per terra (1.93 contro 2.32 palleggi per tocco). Un flipper organizzato che prima o poi sfianca la difesa avversaria e permette agli Warriors i parziali devastanti che finora — tra gara-1 e gara-2 — sono stati una parte determinante delle loro vittorie.