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NBA Finals, James: “Orgoglioso di Durant e della scelta che ha fatto”

NBA

Mauro Bevacqua

JamesDurant_Warriors_NBA

La superstar di Cleveland non ha che parole di ammirazione per il suo rivale di finale, anche se ci tiene a precisare: "La sua scelta di firmare con gli Warriors è stata completamente diversa da quella che ho fatto io andando a Miami" (e spiega il perché). "Giusto? Sono le regola del gioco", dice

CLEVELAND — Si sono affrontati in finale NBA già nel 2012. Si sono allenati assieme le estati passate. Hanno giocato uno al fianco dell’altro per la nazionale USA. Normale quindi che LeBron James e Kevin Durant abbiano costruito un rapporto, ma forse un po’ meno scontato che proprio il giorno dopo gara-3 — quando un tiro di Durant sembra avere definitivamente affossato ogni speranza di titolo per “King” James — il n°23 dei Cavs abbia solo parole dolcissime per il suo avversario in campo: “Sono sempre stato orgoglioso di tutto quello che Kevin è stato capace di fare nella sua carriera, non certo da oggi, e ho sempre segugi con grande entusiasmo la sua crescita in tutti questi anni”, ha esordito la superstar di Cleveland. “Ammiro il fatto che sia stato disposto a sacrificare parte del suo gioco scegliendo di andare a Golden State — prendersi meno tiri, avere meno il pallone in mano — accettando quindi in un certo senso di cambiare in parte il suo stile di gioco”. Il passaggio agli Warriors, gioco forza, è ormai da tutti considerato lo spartiacque della carriera di Durant, ma con James il ricordo non può che andare alla scelta da lui effettuata nell’estate del 2010 di lasciare Cleveland per andare a Miami. “Non credo che le nostre scelte di carriera siano paragonabili — eccepisce LeBron James — perché lui scegliendo gli Warriors ha scelto di inserirsi in una squadra già formata, che aveva bisogno di lui per le caratteristiche che avrebbe potuto portare sul tavolo — e che infatti sta mettendo in campo — ma che già aveva una propria identità e un proprio nucleo ben definito. A Miami per me è stato completamente diverso. Lì abbiamo dovuto ricostruire quasi da zero una squadra, prendendo otto-nove giocatori nuovi. E lo stesso si può dire per quando sono tornato qui a Cleveland”.

Gli Warriors non sono gli Heat

Le differenze per James non si fermano a una questione di personale ma originano anche dal diverso processo di costruzione di cui sono state protagoniste Warriors e Heat. “A Golden State hanno sostanzialmente scelto al Draft tre dei loro giocatori più forti — Steph [Curry], Klay [Thompson] e Draymond [Green] — cosa che gli ha permesso e gli permette di tener assieme questo nucleo più a lungo, con meno problemi, potendo sfruttare quei Bird rights previsti dal contratto collettivo che permettono a una società di fare a un giocatore già in squadra la miglior offerta possibile. Così, con loro tre già a bordo, gli è bastato rinunciare a Harrison Barnes e non confermare i contratti di Andrew Bogut e Leandro Barbosa per poter arrivare ad aggiungere un pezzo come KD. A Miami per noi è stato completamente diverso, perché gli unici giocatori con Bird rights erano D-Wade e UD [Udonis Haslem] ma per il resto è stato necessario liberare tantissimo spazio salariale per permettere a me e a Chris [Bosh] di poter essere firmati e poi c’è voluta la nostra disponibilità a rinunciare al nostro massimo contrattuale per poter aggiungere giocatori come Mike Miller e altri. Si tratta di due situazioni molto, molto diverse”. 

Sono le regole del gioco, baby

Come all’opinione pubblica piacque poco la scelta di LeBron nel 2010 di abbandonare Cleveland per cercare in Dwyane Wade (e poi Chris Bosh) a Miami l’aiuto necessario per arrivare al titolo, così l’estate 2016 ha visto più di un critico scagliarsi contro la decisione di Durant di scegliere Golden State su Oklahoma City. “Non è giusto”, hanno gridato in molti, in nome di una parità competitiva o di un equilibrio della lega che dovrebbe impedire alle squadre già forti (gli Warriors campioni nel 2015, sconfitti solo in gara-7 alle finali 2016) di poter aggiungere una delle più grandi superstar NBA. “Giusto, non giusto? Non mi importa — liquida in fretta la domanda LeBron James — finché viene fatto nel rispetto delle regole. Se le regole del gioco lo permettono, non ho niente in contrario. La nostra lega è amata da tutti, produce soldi come non ha mai fatto prima, gli ascolti sono ai massimi, lo spettacolo è sempre più bello: va bene così, chi sono io per dire se è giusto o no? Era giusto che i New York Yankees negli anni ’90 aggiungessero a una squadra già super grandi giocatori ogni anno? Era gisuto che i Dallas Cowboys potessero firmare un campione come Deion Sanders? Se le regole te lo permettono perhcè no?”, si domanda un LeBron James — verrebbe proprio da dire, giocando sul suo soprannome — più realista del Re. Anche perché poi avverte: “Se mai dovessi diventare proprietario di una franchigia, un giorno, cercherò di firmare più campioni possibili, vi avverto”. E col sorriso se ne va, verso gara-4.