Volley, caso Zaytsev: quando tra la star e il team c'è lo sponsor

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Domenico Motisi

Ronaldo, Zaytsev e Jordan, tre campioni decisamente ambiti dagli sponsor (Getty)
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Lo Zar è stato escluso dal ritiro azzurro a causa di una diatriba con la Federazione per questioni di sponsor. Lo schiacciatore, infatti, ha rinunciato ad indossare le scarpe fornite dalla nazionale nonostante un periodo di prova in cui non ha trovato il giusto feeling con le calzature. Non è la prima volta però che un marchio divide un campione e la sua squadra  

La questione sembrava risolta dopo una prima riunione tra il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, il Segretario Generale, Roberto Fabbricini, il Vice Segretario Generale e Responsabile della Preparazione Olimpica, Carlo Mornati e lo stesso Ivan Zaytsev. Ma a ciel sereno è arrivata la notizia che ha sconvolto il mondo della pallavolo: lo Zar lascia il ritiro della nazionale, escluso per la vicenda dello sponsor. Il caso era nato nei primi giorni di luglio quando viene fatto notare allo schiacciatore che le sue scarpe erano sponsorizzate da un marchio diverso rispetto a quello che fornisce le calzature a tutti gli atleti della selezione azzurra. Zaytsev, infatti, ha firmato un contratto con Adidas che fornisce allo schiacciatore le scarpe per il campionato e la Champions League. Peccato, però, che la nazionale (che si prepara per l’Europeo del 24 agosto in Polonia) abbia come sponsor tecnico Mizuno il quale – in base agli accordi stabiliti con la Federazione – è fornitore unico dei ragazzi allenati da Chicco Blengini. Dopo una prima incomprensione, Fipav e giocatore erano giunti ad un accordo: Zaystev avrebbe indossato le Mizuno ma lo sponsor della nazionale ne avrebbe prodotte un paio personalizzate. Tutto sembrava risolto ma nei giorni successivi l'atleta non ha trovato il giusto feeling con le nuove calzature. Ogni tipo di alternativa è stata scartata fino ad arrivare alla clamorosa esclusione dello Zar dalla nazionale.

CR7-Real Madrid: "guerra" di sponsor

Il "caso Zaytsev" non è il primo (e probabilmente neppure l’ultimo) in cui lo sponsor personale di un atleta e quello della squadra per cui gioca entrano in conflitto. Ne sanno qualcosa Cristiano Ronaldo – notoriamente volto e immagine della Nike che ha addirittura coniato il marchio CR7 con una linea personalizzata dedicata al portoghese – e il Real Madrid il cui sponsor tecnico è invece il brand rivale per eccellenza: Adidas. Sono addirittura tre i casi in cui il fuoriclasse portoghese ha fatto infuriare lo sponsor della sua squadra, il quale ha poi richiamato Florentino Pérez (o chi per lui) a causa di situazioni poco gradite. La prima risale alla finale di Champions League del 2016: Cristiano Ronaldo si presenta sul dischetto per battere il rigore decisivo, spiazza Oblak e regala la coppa al Real Madrid. Tutti i flash, le telecamere, gli occhi del mondo sono su di lui il quale pensa bene di gettar via la maglia e dunque togliere visibilità allo sponsor tedesco di blancos. Cristiano, tra l’altro, era recidivo in quanto anche durante la finale di Lisbona del 2014 (quella dell’agognata Décima) segnò un calcio di rigore all’ultimo minuto dei supplementari ma preferì mostrare gli addominali scolpiti piuttosto che tenersi addosso la camiseta blanca. Che ci sia un suggerimento diabolico dello sponsor personale? In molti l’hanno malignamente pensato. 

Gli occhiali misteriosi di Ronaldo

Non c’è due senza tre, è proprio il caso di dirlo. Qualsiasi cosa faccia o indossi, qualsiasi foto pubblichi, Cristiano Ronaldo viene scannerizzato dal ciuffo alla suola delle scarpe. Ovviamente non poteva fare eccezione l’evento organizzato dal Real Madrid in occasione del suo faraonico rinnovo: la Tv ufficiale del club che trasmetteva in diretta la firma e i media di tutto il mondo erano pronti ad immortalare l’ufficializzazione del contratto milionario. A nessuno sarà sfuggito che il fuoriclasse portoghese indossava un insolito (per lui che non ne ha mai portati) paio di occhiali da vista. Timore di non vedere il foglio da firmare? No, CR7 portava un esclusivo modello di lenti creato appositamente dal suo sponsor tecnico. Il campione aveva però dimenticato (chissà quanto volutamente) che tutti i tesserati del Real Madrid non possono – da contratto – indossare accessori chiaramente riconducibili a marchi diversi da quello della società. Risultato? Altro richiamo al club più titolato di Spagna e multa per il Pallone d’oro. 

Le gaffe di Mario 

Nell’infinta sfida tra i principali marchi dei colossi sportivi non poteva mancare l’incredibile gaffe del tedesco Mario Götze. Nel 2013, il talento del Borussia lascia Dortmund per il Bayern Monaco poco dopo la finale di Champions League che aveva visto trionfare proprio i bavaresi contro i gialloneri. Era l’acquisto dell’anno, quello che ha fatto più discutere l’intera Germania. Il giorno della sua presentazione, il fantasista ha la felice idea di andare in conferenza stampa con una maglia in cui era visibile a caratteri cubitali la scritta (Nike) dello sponsor con tanto di marchio. Piccolo dettaglio: il Bayern Monaco è legato ad Adidas e non ha per nulla gradito che il calciatore tedesco (come la casa di abbigliamento sportivo dei campioni di Germania e della nazionale che lo stesso Götze porterà sul tetto del mondo nel 2014) sfoggiasse il brand americano. Non contento, qualche mese dopo, durante un evento promozionale del Bayern, Götze ha indossato una combo Nike-Adidas: casacca e pantaloni rossi griffati Adidas, ai piedi scarpe Nike. Nel primo e nel secondo caso, dal club arriverà una multa, con tanto di tirata d'orecchie della casa industriale.

Michael Jordan: un nome che diventa marchio

Nel 1984, quando ancora Michael Jordan non era il fuoriclasse che avrebbe rivoluzionato l’Nba e il marketing dello sport più seguito negli Stati Uniti, neppure la Nike era il colosso di oggi. Tuttavia, dopo le Olimpiadi di Los Angeles il talento del ragazzo nativo di Brooklyn, scelto dai Chicago Bulls al draft con la terza chiamata assoluta, fu palese a tutti e così la multinazionale guidata da Phil Knight non ebbe dubbi: bisognava investire su Michael. La prima chiamata fu quella fatta a David Falk, agente del cestita, ma le trattative non furono facili: primo perché durante la sua carriera collegiale in North Carolina (con cui aveva vinto il titolo Ncaa nel 1982), Jordan indossava, per via di un contratto con tanto di esclusiva, la marca Converse; secondo perché l’astro nascente del basket americano sognava un accordo con Adidas che però ritenne eccessive le richieste dell’atleta.  

La Nike aveva deciso di puntare decisamente su Jordan tanto da offrire un quinquennale da 2.5 milioni di dollari annui e la produzione di una linea di scarpe tutta sua. In questo modo non fu difficile convincerlo e fu siglato l'accordo che avrebbe cambiato per sempre il concetto di "sponsor tecnico personale". Tutto concluso? Non esattamente. L’anno successivo, fu l’Nba ad ostacolare l’ascesa (pubblicitaria) di MJ: a quel tempo, sulle calzature indossate dai giocatori, la lega aveva adottato una politica piuttosto rigida e le scarpe ufficiali dovevano essere di colore bianco. Dunque, le “Air Jordan” di colore rosso e nero furono proibite alla stella dei Bulls, pena una sanzione di 5 mila dollari ogni volta che scendeva in campo con calzature diverse da quelle imposte. Problema che però Nike decide di risolvere alla base pagando senza dubitare un attimo ogni multa ricevuta dal pupillo. Inoltre, i ricavi derivanti dalla vendita di quelle scarpe "proibite" stavano portando l’azienda a livelli mai raggiunti. Così, la Nba si vide costretta al compromesso, limitandosi ad imporre una variante in bianco della scarpa in questione.