Addio a Philip Roth. L'ultimo "fuoricampo" dello scrittore americano 85enne

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Paolo Pagani

Roth è morto a 85 anni: autore di quasi 30 romanzi, è stato più volte tra i favoriti per il Nobel senza mai ottenerlo. Nel 2010 l'ultima opera, "Nemesis". Nel 1973 pubblicò il "Grande romanzo americano" in cui narra la storia americana attraverso lo sport nazionale, il baseball

La prima cosa che viene in mente associando il nome gigantesco di Philip Roth alle avventure dello sport, un mondo che adorava, è una bella frase di Joe Louis, il campione del mondo nero dei massimi fra gli anni ‘30 e ‘40: I did the best I could with what I had  (ho fatto del mio meglio con quello che avevo). Proposito ampiamente realizzato dal più grande scrittore contemporaneo, l’ebreo ateo di Newark, figlio di un venditore di polizze assicurative, che ci ha lasciati a 85 anni. Roth prediligeva due sport, il baseball e il sesso. Il primo da spettatore incantato, come tutti gli intellettuali chic di New York, quell’altro da praticante con molti sensi di colpa. “Amo scrivere di sesso, è un argomento importante” ripeteva con ironia. Fu allora Il lamento di Portnoy del 1969 a scandalizzare i benpensanti per l’abbondanza di contenuti scabrosi.

Ma è stato Il Grande Romanzo Americano del 1973 a parlare di baseball, il famoso passatempo nazionale yankee, come nessun altro aveva mai fatto. Dove un giornalista sportivo ottantenne in pensione, Word Smith, inventa un complotto esilarante: la Patriot League, terza lega americana dopo l’American e la Nation, viene cancellata dagli annali perché è diventata un’organizzazione anti-americana. Protagonisti della storia sono i Mundys, condannati nel ’43 a giocare sempre e solo in trasferta, squadra immaginaria di ubriaconi con un battitore senza un braccio, un organico di nani e nella quale milita l’unico giocatore che abbia mai provato ad uccidere l’arbitro. Ieri l’ultimo fuori campo dell’ottuagenario Philip, l’intellettuale che ci aveva ammoniti: la vecchiaia non è una battaglia, è un massacro.