C'era una volta il bidone Renato: ecco chi è l'allenatore del Gremio

Calcio

Vanni Spinella

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Bidone di giorno, playboy di notte: il "fenomeno" Renato Portaluppi sbarcò a Roma nell'estate 1988 e ripartì dopo una stagione ricordata solo per le sue sparate. La storia, tra vizi ed eccessi, del "Pube de Oro", che oggi contende al Real Madrid il Mondiale per Club

ALTRI STORICI "BIDONI" DEL CALCIO ITALIANO

“A’ Renato, ridacce Cochi!”. L’impietoso striscione apparve nella primavera del 1989 dalle parti dell’Olimpico e lo accompagnerà per sempre, in ogni racconto che viene fatto delle sue imprese. Caratteri indelebili, che nemmeno una seconda vita da allenatore di successo, con una Libertadores in bacheca e una finale di Mondiale per club alle porte, è riuscita a cancellare. Renato Portaluppi, per noi italiani, resterà sempre il bidone Anni Ottanta per eccellenza. Poco importa che oggi sia uno stimato, e soprattutto vincente, allenatore, capace di portare il Gremio a duellare con il Real Madrid per arrampicarsi sul tetto del mondo. Lasciatecelo ricordare come piace a noi.

Renato con Andrade, altro apparente fenomeno approdato a Roma nell'estate 1988. Lui era arrivato come "Marajà", ripartì come "Er Moviola"

Fenomeno di autostima

Capello lungo, camicia sbottonata, vezzo a cui non riesce a rinunciare neanche oggi, in campo i calzettoni rigorosamente abbassati, da buona ala che ama il dribbling quasi come se stesso e che nelle sue giocate meravigliose si specchierebbe all’infinito. Sbarca così, a Roma, nell’estate 1988, pagato da Dino Viola 3 miliardi di lire, atterrando a Trigoria in elicottero tra lo stupore dei compagni convinti anche dall’impatto scenico che il presidente abbia acquistato un campione assoluto. I titoli, poi, sembrano dargli ragione: dall’altra parte del mondo, con il Gremio, ha vinto la Libertadores e l’Intercontinentale, decidendo la finale contro l’Amburgo con una doppietta, per non parlare della Seleçao, che se lo coccola come si fa solo con i grandissimi. Gli altri titoli, quelli sui giornali, si sprecano: inevitabile il gioco di parole “Re Nato”, che lo incorona miglior colpo del mercato.

Liedholm, che ne aveva caldeggiato l’acquisto e al quale viene affidato per l’addestramento tattico necessario a giocare in Italia, commenta: “È secondo solo a Gullit” (che, secondo altre versioni, diventa “È il Gullit bianco”), lui si affretta a correggerlo: “Sono più forte di Gullit e di Maradona”. Un tipo che ama spararle grosse, una specie di Zlatan Anni Ottanta in quanto ad autostima, con in più però una passione sfrenata per la bella vita e le belle donne. Tutt’altro che dicerie, da lui stesso confermate alla presentazione ufficiale con l’ennesima battuta da film: “Più che i terzini, dovranno essere le loro mogli a stare attente a me”.

Qui si va nella leggenda metropolitana, tramandata fino ai giorni nostri, con gli epici racconti del Renato che nella Capitale non si perdeva una festa e si vantava di aver avuto una donna per ogni gol di Pelè (inizialmente erano 1000, più di recente ha arrotondato – o magari solo aggiornato le statistiche – portandole a 5000); si dice anche che approfittasse della pausa tra le due sessioni di allenamento, mattutina e pomeridiana, per tenersi in allenamento anche da quell’altro punto di vista. “Una volta l’ho fatto anche in panchina”, puntualizzò lui.

Bello e vanitoso come pochi, prima del suo esordio all’Olimpico, contro il Lecce di Mazzone, si regalò una seduta extra dal parrucchiere, immortalata in una celebre foto pubblicata su Il Tempo. E poi ci lamentiamo dei ragazzi di oggi.

Amici miei

Sul campo, in campionato, nemmeno un gol in 23 presenze, cosa che lo rende indifendibile: titolare per le prime sei giornate di fila, poi le gerarchie cambiano e si ritrova in panchina, con Liedholm che trova il giusto assetto schierando la coppia Voeller-Rizzitelli in avanti. I tifosi iniziano a scaricarlo, con i compagni non va molto meglio. “Se mi chiamassi Rizzitellao...”, aveva commentato il buon Ruggiero che si sentiva penalizzato dal fascino che il calciatore brasiliano (in generale) esercitava sulle masse e sugli allenatori; per non dire della rissa con Massaro o del rapporto complicato con Giannini, che di quella Roma sta diventando Principe e che lui soffre terribilmente. Polemica mai spenta, se è vero che Renato è tornato all'attacco proprio pochi giorni fa ("A Roma mi ha rovinato Giannini: lui e Massaro non mi passavano la palla") e Giannini ha gettato alcol sul fuoco con la sua replica: "Arrivava ubriaco agli allenamenti".

Spettacolo a Norimberga

Il vero Renato, a Roma, lo vedono solo per una sera, il 12 ottobre 1988, nel ritorno dei trentaduesimi di Coppa Uefa contro il Norimberga: i giallorossi devono ribaltare l’1-2 dell’andata e in Germania sfoderano la partita perfetta, con Portaluppi protagonista assoluto nel bene e nel male. Zero mezze misure, come nel suo stile. Ai supplementari segna di testa il gol del 3-1 decisivo per la qualificazione, ciliegina su una prestazione infarcita di quelle giocate che tutta Italia si aspettava di vedere ogni domenica: peccato che, poco dopo, si faccia espellere per un fallaccio inutile dando vita a un altro show. Si dispera, se la prende con l’avversario, esce dal campo mandando a quel paese l’arbitro e poi, passando davanti ai microfoni a bordocampo, dimostra che l’italiano – o almeno quel poco che serve in certi casi – l’ha già imparato benissimo.

Al termine di una triste e fallimentare stagione torna in Patria, e lì si rivede il Renato che ci era stato descritto. Le sue qualità migliori emergono in particolare quando, con la maglia del Fluminense, decide la finale del campionato carioca contro il Flamengo segnando un gol che è entrato nella storia del calcio brasiliano. Intervenendo su un tiro proveniente dalla destra, la appoggia “de barriga”, con il basso ventre. Merito, forse, degli intensi allenamenti italiani.

Renato Portaluppi allenatore, scatenato nelle sue "danze" a bordocampo