Pablo Perez: "Boca al Monumental? Se vinciamo Libertadores ci uccidono"

Calcio

Il capitano del Boca confessa la paura di scendere in campo al Monumental dopo gli incidenti che hanno portato al rinvio della finale di Copa Libertadores: "Rischiamo di essere uccisi. Se perdo l'occhio non me lo restituisce nessuno"

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La lunga attesa per una giornata destinata a fare la storia, poi l’agguato subito e i vari incidenti che hanno portato la sfida a essere rimandata. Prima di un’ora, poi di due, poi di tre, fino ad arrivare a 24 e prendere la decisione di posticiparla a data da destinarsi. Per i giocatori del Boca, rimasti vittima del folle assalto a suon di pietre dei tifosi del River, non sarà più una partita come le altre. La paura, ma soprattutto i danni fisici ricevuti, hanno inciso profondamente sui ragazzi di Schelotto. Tutti, infatti, sono rimasti scioccati da quanto accaduto, ma ad un paio di loro è andata nettamente peggio: Pablo Perez e Gonzalo Lamardo hanno subito la lesione della cornea dopo esser stati colpiti dai vetri rotti del bus. Conseguenze gravi, dunque, per entrambi, con il capitano degli Xeneizes particolarmente colpito dalla vicenda e – almeno al momento – deciso a non giocare il match di ritorno contro i biancorossi: “Non posso giocare in un campo dove possono uccidermi – si è lamentato ai microfoni di Tyc Sports -. Come possiamo farlo se non c’è sicurezza? Se perdo l’occhio non me lo restituisce nessuno. Io ho una moglie e tre figli, quando sono tornato a casa la più grande di loro piangeva ed è venuta ad abbracciarmi”.

"Continuavano a tirarmi pietre mentre andavo all'ospedale"

Il 33enne di Rosario ha poi ripercorso quei terribili momenti: “Non mi sono reso conto di quanto stava succedendo, è stato tutti così assurdo – ha spiegato -. C’era gente ammassata da una parte che ci aspettava, sono stati tre minuti che non auguro a nessuno. È una tristezza per tutti e sono molto dispiaciuto, anche per quei tifosi del River che non c’entrano nulla. E poi la cosa incredibile è che mi hanno continuato a tirare pietre anche mentre andavo all’ospedale. Volevano farmi di nuovo male. Cosa sarebbe successo, dunque, se avessimo vinto? Ci avrebbero uccisi”. Le lamentele di Perez hanno, però, un preciso destinatario: la Conmebol. “Il medico non mi è mai venuto a vedere – ha concluso il centrocampista gialloblù -. Ha firmato un foglio dove diceva che ero in condizione di giocare, nonostante fossi costretto a tenere chiuso l’occhio sinistro perché mi lacrimava. Non vedevo nulla. È stata una vergogna. Schelotto mi ha chiamato al telefono quando ero in clinica, voleva che tornassi allo stadio perché volevano farci giocare a tutti i costi. Se si fosse giocato, sarei dovuto andare ugualmente in campo perché mi stavano obbligando, ma non ero certamente in condizione di farlo”.