L'Arsenal di Wenger è tornato in corsa

Premier League

Francesco Lisanti (in collaborazione con "l'Ultimo Uomo")

La convincente vittoria per 2 a 0 nel derby contro il Tottenham potrebbe aver rappresentato un punto di svolta nella stagione dei "Gunners", che hanno trovato nuove convinzioni e hanno accorciato in classifica

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Il derby tra Arsenal e Tottenham metteva in palio non solo la momentanea supremazia nel nord di Londra, ma anche punti importanti per la classifica. Il Tottenham aveva bisogno di vincere per mantenersi agganciato al treno di testa e per non perdere punti dal Manchester City; l'Arsenal, da parte sua, doveva vincere a tutti i costi se non voleva definitivamente staccarsi dal gruppo delle squadre che stanno comandando la Premier League.

L’intensità con cui l’Arsenal ha aggredito il primo possesso della partita ha imposto una precisa direzione ai successivi novanta minuti: i tre attaccanti sono saliti altissimi sui tre difensori del Tottenham, mentre Xhaka e Ramsey si posizionavano alle loro spalle, separando in due tronconi lo schieramento del Tottenham. Pressati in parità numerica, Vertonghen, Dier e Sánchez non trovavano altro sbocco al di fuori della circolazione orizzontale e del successivo lancio lungo, un tema ricorrente per tutta la partita.

La prestazione anonima di Alli e Kane ha indirizzato l’occhio di bue delle critiche verso di loro, ma al Tottenham è mancato soprattutto il centrocampo. Lo schieramento speculare delle due squadre, che ormai da un anno sposano stabilmente il 3-4-2-1, ha spostato l’inerzia della partita sul piano dei duelli individuali, e la mediana composta da Dembelé e Sissoko li ha sistematicamente persi. L’ingresso di Winks nella ripresa ha da subito ravvivato un centrocampo povero di ritmo e di idee, incerto di fronte al pressing dell’Arsenal, e troppo statico al momento di ostacolare le transizioni letali dei Gunners.

L’Arsenal ha giocato la carta delle marcature a uomo, il Tottenham ha pagato l’incapacità di Sissoko di creare una linea di passaggio supplementare.


Cosa ha funzionato meglio del solito

L’Arsenal, mai come in questa partita, ha dato l’impressione di essere una squadra in pieno controllo, lucida nel distribuire le risorse atletiche e nervose, travolgente nel coniugare qualità negli spazi stretti e velocità di esecuzione, mossa dall’intelligenza collettiva dei suoi campioni. In questo senso, è sorprendente notare come l’undici titolare schierato contro il Tottenham non fosse mai stato schierato in precedenza, oppure come fosse soltanto la terza occasione in cui Xhaka, Ramsey, Özil, Lacazette e Sánchez giocassero insieme dal primo minuto (e nelle altre due, l’Arsenal aveva sempre vinto).

Rispetto al recente passato, ha funzionato particolarmente bene l’inedita linea di difesa Koscielny-Mustafi-Monreal, aggressiva nelle uscite alte contro i trequartisti degli Spurs e sempre vincente nei duelli aerei. Come ha doverosamente sottolineato Wenger, «la qualità della nostra concentrazione è stata molto alta, neanche per un minuto si è avuta la sensazione che stessimo calando nell’attenzione». L’intervento in scivolata di Mustafi al novantaquattresimo, per bloccare con il corpo l’ultima occasione del Tottenham per accorciare le distanze, è un attestato esemplare della dedizione ossessiva con cui l’Arsenal ha approcciato la partita, dal primo all’ultimo possesso.

In transizione negativa, l’Arsenal indirizza il possesso verso Sissoko, che non ha il linguaggio del corpo di chi deve lanciare la ripartenza. Molto lucido Xhaka, che attacca Eriksen ma se ne tiene a debita distanza per non compromettere l’equilibrio strutturale.

 

Con questa vittoria, l’Arsenal ha definitivamente riagganciato il gruppo delle inseguitrici e una dignitosa posizione di classifica. Non era scontato che ci riuscisse così presto dopo la consueta falsa partenza, che accomuna tutte le ultimi stagioni della gestione Wenger (quest’anno soli 7 punti nelle prime 5 giornate), né che ci riuscisse attraverso una decisa affermazione in uno scontro diretto dopo aver nettamente perso quello contro il Manchester City, che aveva dominato nel possesso frustrando Wenger con i meccanismi di riaggressione. In mezzo alle due partite c’è stata la pausa Nazionali, c’è stato il reintegro tra i titolari di Lacazette, c’è stato il recupero della difesa a tre dopo il debole esperimento del 4-3-3, e infine il ritorno tra le mura amiche dell’Emirates Stadium, dove l’Arsenal vince ormai da 11 partite consecutive, un record dalla demolizione di Highbury ad oggi.

Un nuovo inizio?

Tuttavia questi fattori non restituiscono la misura della trasformazione, consumatasi nel giro di due settimane, da squadra passiva e insicura a squadra rocciosa e aggressiva. In parte, è vero che l’Arsenal è una squadra che si scopre strada facendo, ed è una considerazione valida tanto per gli spettatori quanto per gli interpreti in campo. In fase offensiva non dà mai l’impressione di attivare meccanismi consolidati, e questo in qualche modo giustifica le partenze difficoltose, così come i progressivi miglioramenti a cui si assiste in corso d’opera. La vittoria contro il Tottenham ha mostrato quale sia la miglior formazione titolare possibile, e da qui in avanti quei giocatori continueranno ad affinare la reciproca conoscenza in campo.

In assenza di una chiara divisione dei compiti e degli spazi, la squadra di Wenger riesce però a fare dell’imprevedibilità un punto di forza. La fluidità del gioco è a tratti penalizzata da una struttura piatta, senza linee di passaggio in profondità, ma è sufficiente un’intuizione del singolo ad accendere la scintilla delle combinazioni rapidissime, e ce ne sono diversi in grado di fare la differenza con i ripiegamenti e gli inserimenti nello spazio (Ramsey, Lacazette, Sánchez). Il cileno, in particolare, mette sempre in campo quell’agonismo prepotente con cui fa credere ai difensori di stare per muoversi in una direzione nel momento stesso in cui ha già accennato lo scatto verso la direzione opposta, e condivide con tutti i compagni di reparto la volontà di giocare a uno/due tocchi e muovere il più possibile il pallone.

La sincronia dell’attacco: con una leggera frenata, Özil blocca nel nulla la linea difensiva del Tottenham. Dier riesce nell’impresa di farsi passare davanti Lacazette prima e Sánchez poi.

 

In parte, poi, è vero che in questo tipo di partite è più facile trovare le opportune motivazioni. La posta in gioco, per Wenger, trascendeva i confini della rivalità cittadina o più banalmente l’opportunità di accorciare la classifica: il Tottenham di Pochettino era uscito imbattuto dagli ultimi sei North London derby, aveva interrotto la striscia di ventuno campionati consecutivi in cui l’Arsenal si posizionava più in alto in classifica (cancellando di conseguenza dal calendario la celebrazione del St. Totteringham's Day), e in una prospettiva più ampia - come ha scritto Jonathan Wilson - stava costruendo quel progetto di squadra giovane, divertente e ambiziosa che l’Arsenal sognava di realizzare.

La rivalità cittadina ha quindi tirato fuori il meglio dalla squadra di Wenger, che si è scoperta efficace anche senza il pallone, riuscendo sorprendentemente a concludere i novanta minuti senza quelle clamorose disattenzioni difensive che quest’anno l’avevano spesso portata sotto nel punteggio. Sarà una preziosa lezione da conservare per i futuri scontri diretti. In questo momento, alle spalle del Manchester City dominatore, ci sono le altre cinque grandi del calcio inglese raccolte in quattro punti, a contendersi i tre posti che garantiscono l’accesso alla prossima Champions League. L’Arsenal si è ripreso il nord di Londra, ora può ragionevolmente puntare a riprendersi l’Europa che conta.