Arrigo Sacchi compie 75 anni: la sua eredità è ancora viva

Calcio

Federico Aquè

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Guardiola, Klopp, Simeone: tutti i grandi allenatori di oggi hanno preso spunto dalle idee rivoluzionarie dell'ex tecnico di Milan e Nazionale

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La carriera di Arrigo Sacchi come allenatore è ormai finita da vent’anni. L’ultimo incarico, a gennaio del 2001 con il Parma, era durato poco più di venti giorni, ed era finito dopo una vittoria contro il Verona per il troppo stress accumulato. Sacchi ne ha anche parlato di recente: «Mi spaventai: non provai la minima gioia. Come bere un bicchiere d’acqua. Ero vuoto. Ero arrivato. Telefonai a mia moglie: “Torno a casa. Smetto”». Da quel momento Sacchi ha rivestito diversi ruoli: dirigente al Parma e al Real Madrid, coordinatore delle nazionali giovanili, opinionista in televisione e sui giornali, e anche se ha smesso di allenare da vent’anni le sue idee hanno continuato a circolare, a influenzare il dibattito e gli allenatori venuti dopo di lui.

 

C’è molto di Sacchi ad esempio nella scuola di allenatori tedesca, una delle migliori al mondo in questo momento - arriva dalla Germania la metà degli allenatori ai quarti di finale di questa Champions League. Dietro buona parte di loro c’è Ralf Rangnick, a sua volta letteralmente ossessionato dal Milan di Sacchi. L’ha rivelato lui stesso qualche mese fa, spiegando in sintesi le sue idee tattiche: «Calcio ad alta intensità. Proattivo. Pressing, gegenpressing a palla persa e verticalità. Ho ossessionato i miei calciatori con il gioco di Sacchi. “Altri filmati del Milan?”, mi chiedevano disperati».

 

Attraverso Rangnick, le idee di Sacchi sono quindi arrivate agli allenatori passati nelle squadre della galassia Red Bull (Nagelsmann, Schmidt, Rose, Hasenhüttl, per citarne alcuni) ma prima ancora hanno influenzato ad esempio Jürgen Klopp, uno dei più grandi innovatori dell’ultimo decennio con il suo gegenpressing, cioè il pressing portato subito dopo aver perso la palla. Anche Klopp è tra quelli che pensano che Sacchi abbia rivoluzionato il calcio: «Avevo una vaga idea di fare questo mestiere quando al Mainz venni allenato da Wolfgang Frank. Lui mi ha plasmato in maniera netta», ha raccontato Klopp. «Cominciò molto presto, e in maniera intensa, a esporci le idee di Sacchi. Lui ha rimpicciolito il campo con vari accorgimenti tattici. Quel che ha dato tatticamente al calcio è incredibile. Il passaggio dalla marcatura a uomo a quella a zona è stato interessante da osservare e studiare».

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È forse ancora più diretto e conosciuto il rapporto che lega Sacchi a un altro genio innovatore, Pep Guardiola. In molti hanno ispirato il catalano, da Cruijff, il suo maestro, a Bielsa e Juanma Lillo, che oggi è il suo vice al Manchester City, e tra questi c’è anche Sacchi, diventato negli anni un amico con cui parla di calcio e si scambia opinioni. Una delle ultime, detta da Sacchi a Guardiola lo scorso novembre in un momento critico per il catalano, era che il Manchester City non pressava più, una specie di fissazione per l’ex tecnico di Fusignano.

 

Tra gli italiani uno dei più vicini a Sacchi è di certo Maurizio Sarri, per le idee tattiche e l’approccio didattico al ruolo di allenatore, e per essere arrivato anche lui ad allenare ad alti livelli senza avere un grande passato da calciatore.

 

Ognuno ha reinterpretato a modo suo l’insegnamento di Sacchi, e non è strano che tracce di quelle idee siano presenti anche nel gioco di allenatori molto lontani come mentalità da Klopp, Guardiola e Sarri. Ad esempio Simeone, che ha cambiato la storia dell’Atlético Madrid con un 4-4-2 dall’ordine militaresco, che difende a zona e si muove seguendo il movimento della palla.

 

Sacchi d’altra parte curava in modo maniacale la fase difensiva ed è stato senza dubbio un maestro del pressing. La cura del pressing sfiorava l’ossessione, ed emerge anche nelle critiche avanzate da van Basten, che da giocatore mal sopportava i metodi di Sacchi e spesso è stato molto duro con il suo ex allenatore dopo il ritiro. «Per quel primo anno non ho visto nient’altro, se non due file da quattro di infallibili difensori», ha scritto van Basten nella sua autobiografia. «Tutti i giornali lodarono questo nuovo sistema di gioco per nulla italiano e rivoluzionario, la spettacolare “zona pressing”. La faccenda mi infastidiva, perché non lo era affatto, rivoluzionario, né era offensivo. Era difensivo, era la difesa che ci faceva vincere le partite».

Oggi nessuno può difendere come faceva il Milan di Sacchi. Comprimendo cioè lo spazio attorno alla palla con quasi tutta la squadra, stretta al massimo in una ventina di metri, alzando le linee con una velocità e una sincronia impressionanti, sicure di lasciare alle spalle almeno un avversario in fuorigioco. La regola nel frattempo è cambiata e nessuno cerca il fuorigioco in modo così spregiudicato. I principi che guidavano il Milan, però, si sono affermati e sono sempre più diffusi. Il pressing e la difesa alta sono tratti che definiscono le migliori squadre al mondo (ad esempio il Bayern Monaco, il Liverpool e il Manchester City), ma sono adottati con successo anche da realtà più piccole come l’Atalanta, il Sassuolo e lo Spezia, per restare in Serie A, pur con le ovvie differenze tra i loro stili.

 

Vicino al concetto di pressing c’è quello di intensità, che il Milan di Sacchi aveva alzato a livelli fuori scala per i suoi tempi. E non era intesa solo dal punto di vista fisico, ma anche e forse soprattutto a livello mentale, come capacità di restare sempre concentrati, di seguire lo spartito previsto, per citare un’analogia musicale tanto amata da Sacchi. Anche in questo caso il calcio moderno ha fatto suo e reinterpretato questo concetto. Il gioco oggi è ancora più veloce e più intenso, gli sforzi fisici e mentali richiesti sono più grandi, e a fare la differenza è la capacità di non perdere il controllo e la precisione tecnica.

 

A livello offensivo, oggi probabilmente il Milan di Sacchi verrebbe visto come una squadra molto verticale, visto che era abituata a risalire il campo velocemente, con pochi passaggi. Le attuali fasi di possesso sono molto più elaborate rispetto ai tempi di Sacchi, ma qualcosa delle sue idee è comunque rimasto. Ad esempio avere le linee sempre vicine, per aumentare le opzioni di passaggio e conservare la palla subito dopo averla recuperata, l’insistenza sui passaggi corti e rasoterra (nel pensiero di Sacchi «un passaggio di dieci metri lo sanno fare tutti, è preciso e veloce, un passaggio di quaranta metri è poco preciso, è alto e chi lo riceve non ha collaborazione»), la creazione di triangoli e la fluidità posizionale, tutti aspetti poi sviluppati dal gioco di posizione.

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Oggi siamo abituati ai sistemi fluidi, a definire i giocatori non per il loro ruolo, ma per la posizione occupata in campo e i compiti assegnati. Questa libertà posizionale, concessa comunque all’interno di una struttura che rispetta un certo ordine, è però un’idea già presente nel calcio di Sacchi, secondo cui «le posizioni non erano mai fisse, e i sincronismi erano importanti». In questo caso è chiara l’influenza delle squadre che lo avevano ispirato da giovane, su tutti l’Olanda degli anni Settanta.

 

La rivoluzione di Sacchi è finita da un pezzo, il calcio nel frattempo è molto cambiato e nessuno può pensare oggi di giocare come il suo Milan. Eppure le idee che lo hanno portato al successo, che lo fanno ricordare come una delle migliori squadre di tutti i tempi, valgono ancora e sono diventate la normalità. Oggi è normale per un allenatore definire in profondità il gioco con principi complessi a livello tattico - «La squadra deve rispecchiare il suo allenatore», diceva Sacchi -, dare una forte organizzazione collettiva che esalta il talento a disposizione.

 

Di certo il pensiero di Sacchi continuerà a dividere e a far discutere, anche perché spesso ancora oggi non viene capito. Diversi allenatori hanno vinto più di lui, sono durati più a lungo. Pochi però nella storia del calcio hanno avuto il suo coraggio, hanno rotto schemi ritenuti immutabili e reinventato il gioco come ha fatto lui. Ed è per questo che verrà ricordato per sempre.