Svezia-Italia, ecco perché Verratti e Insigne non hanno reso al meglio

Mondiali

Emiliano Battazzi (in collaborazione con "l'Ultimo Uomo")

L'Italia di Ventura non riesce a mettere nelle condizioni di esprimersi al meglio i suoi due talenti più luminosi: la partita contro la Svezia è stata la cartina tornasole dell'equivoco che li riguarda

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Ieri sera, nella partita di Stoccolma contro la Svezia che valeva più o meno metà della qualificazione al prossimo Mondiale russo, all’Italia allenata da Gian Piero Ventura sembravano mancare idee. Al di là dell’andamento della partita, delle singole occasioni, del pizzico di fortuna/sfortuna che indirizza sempre partite di questo tipo; al di là anche del modulo scelto (5-3-2), l’Italia non ha mostrato uno spartito di gioco coerente, con compiti chiari per i giocatori. A soffrirne di più, significativamente, sono stati i maggiori talenti a disposizione: Marco Verratti, in campo dall’inizio, e Lorenzo Insigne, entrato al 75’ per tentare di spezzare l’inerzia di una gara che si era già messa male.

L’evoluzione del calcio ha ormai reso definitivamente chiaro che il solo talento non può bastare per il funzionamento di una squadra, e neppure per ottenere risultati in modo continuativo: basti pensare al ruolo e alle prestazioni di Messi e Cristiano Ronaldo con le rispettive nazionali. Arrigo Sacchi ha profondamente indirizzato questa svolta calcistica, in cui l’organizzazione di gioco e gli equilibri sono molto più importanti delle qualità del singolo, e le sue parole spiegano perfettamente i termini della questione: «Ho sempre pensato di partire da una squadra per migliorare il singolo».

Per far rendere al meglio i giocatori bisogna inserirli in un contesto tattico organizzato, che ne esalti le qualità e ne nasconda i difetti; che funzioni bene, garantendo agli interpreti idee chiare, su cui poi basare le scelte individuali in campo. Trasformare undici giocatori in una grande orchestra significa permettere a ognuno di loro di sentirsi a proprio agio: di avere uno spartito, e di poterlo interpretare in maniera splendida o con qualche errore, sapendo di poter contare anche sull’esecuzione degli altri.

La solitudine di Marco Verratti

I problemi di Verratti nell’organizzazione di gioco di Ventura sono ormai consolidati e significativi dell’incomprensione profonda tra la tattica della squadra e le caratteristiche dei giocatori migliori a disposizione. In sintesi, ad una splendida mezzala di possesso, a cui piace gestire continuamente il pallone, viene chiesto di interpretare il ruolo di mezzala di corsa e inserimento in un sistema che tende a saltare il centrocampo.

La magnitudine di questa difficoltà è apparsa chiaramente nella partita contro la Svezia: dal fischio d’inizio Marco Verratti non tocca palla per tutti i primi cinque minuti abbondanti di gioco, e parliamo del giocatore che effettua più passaggi di tutti in Ligue 1 (circa 115 per 90 minuti). In mezzo c’è stata l’interruzione per il fallo di Berg su Bonucci, ma anche quando è ripartita la gara l’Italia ha confermato la sua scarsa propensione a cercare i piedi di Verratti: nei primi 10 minuti di gioco toccherà palla appena due volte. Chissà come si sente un giocatore che entra in campo e non tocca il pallone così a lungo: sicuramente isolato, forse anche un po’ annoiato e frustrato, sicuramente sorpreso.

È solo al minuto 5.31 che Verratti riceve il suo primo pallone della partita. Da una posizione molto avanzata, quasi sulla linea degli attaccanti, si sposta verso la fascia per associarsi a Darmian, che gli chiama l’uno-due. Il centrocampista azzurro controlla con il destro, fa passare qualche secondo per permettere al suo compagno di attaccare lo spazio davanti a sé e poi gli restituisce il pallone di sinistro. Darmian arriva sul fondo, crossa per Belotti che in area piccola, di testa, sfiora la porta.

Questa è l’occasione più limpida di tutta la partita, ed è servito che Verratti facesse da facilitatore: un ruolo minore, per carità, ma è quasi il massimo che questo sistema gli consente. L’Italia nel primo tempo si illumina improvvisamente solo quando riesce a passare per Verratti: un lancio per l’inserimento sul secondo palo, un filtrante sopra la linea difensiva avversaria per Immobile. Purtroppo, però, il centrocampista abruzzese è troppo poco coinvolto e queste occasioni sono rare. In totale Verratti effettuerà solo 57 tocchi, contro i 125 di Chiellini: questi sono i numeri del fallimento tecnico della partita di andata con la Svezia.

Quasi sempre, Verratti è costretto a giocare in una posizione inusuale per lui, troppo avanzata, e con compiti poco chiari: e per capire bene cosa non ha funzionato, forse un’azione in cui neppure tocca il pallone è più esplicativa. Nel video sopra, il numero 8 azzurro è spalle alla porta a ridosso dell’area avversaria, praticamente come fosse un’ala sinistra. Si propone per dettare la linea di passaggio a Chiellini, che invece va in verticale per Immobile: stop difficoltoso e passaggio a servire lo scatto di Verratti nello spazio. L’esecuzione di Immobile è sbagliata, ma Verratti in avanti non ci voleva proprio andare: rimane fermo ad attendere il pallone. Qui a Verratti vengono chieste delle cose che sono in netta contraddizione con le sue qualità e le sue abitudini di gioco: ricezione spalle alla porta quasi in area avversaria, e attacco dello spazio senza palla. E infatti, non gli riescono.

Il vero equivoco su Verratti in Nazionale riguarda i suoi compiti e in quale posizione di campo eseguirli. Nel centrocampo del PSG gli è chiesto di costruire la manovra già nella propria metà campo, in azzurro quasi mai: ma è quella la posizione in cui Verratti deve gestire il pallone. In Nazionale riceve in posizione troppo avanzata, o defilata, dove il suo gioco corto associativo, o i suoi lanci dietro le linee, diventano semplicemente inefficaci.

Nel secondo tempo c’è un’azione che simboleggia in maniera inequivocabile l’impotenza di Verratti contro la Svezia: è fermo sulla fascia sinistra, quasi sulla linea laterale, e riceve il pallone da Chiellini, che è alla sua destra. A sinistra c’è Darmian, fermo. Ognuno è seguito da un avversario. Verratti alza la testa, guarda in avanti, e tocca il pallone per mantenerne il controllo, ma i suoi compagni sono tutti fermi in area, tranne Parolo che accenna appena un movimento per andargli incontro. Allora Verratti continua a toccare il pallone, controllandolo con la suola, quasi a salirci sopra come si fa per strada per indicare di chi è il pallone: e si muove per cercare un movimento, ma poi è costretto a rassegnarsi e scaricare all’indietro per Chiellini. Sembra calciare il pallone quasi come a dire: “Io mi arrendo, da solo non ce la faccio”.

Ventura sostituisce Verratti pochi minuti dopo quest’azione, la sua ultima in questi play-off di qualificazioni ai Mondiali: al ritorno non ci sarà per squalifica. La sua ammonizione nel primo tempo ha in qualche modo tolto un pensiero al CT azzurro: ormai è chiaro che Verratti è un giocatore completamente fuori contesto, a cui Ventura non è riuscito a dare dei compiti adeguati alle sue caratteristiche. Il paradosso del giocatore più tecnico e, potenzialmente, di maggiore influenza sul gioco italiano, che è diventato un problema irrisolvibile. Anzi, la sua presenza può essere persino deleteria per il sistema di gioco, perché Verratti non può garantire il set di movimenti richiesto: ampiezza, attacco della profondità, inserimenti in area, poco contatto con il pallone.

Far giocare Verratti con quei compiti, semplicemente perché sappiamo che Verratti è un ottimo centrocampista, non giova a nessuno. Al suo posto, alla ricerca di un guizzo, è entrato Insigne: e qui l’equivoco, se possibile, si è fatto ancora più grande.

La ricerca del miracolo di Insigne

“Nel calcio c’è un grande problema: si pensa di risolvere una situazione complessa attraverso un singolo”: questa frase di Sacchi è incredibilmente adatta a spiegare i problemi di Insigne in Nazionale, e a sintetizzare i suoi venti minuti finali (recupero compreso) contro la Svezia.

In qualche modo è già abbastanza complicato capire come Ventura non sia riuscito a ritagliare un posto da titolare al giocatore italiano più tecnico e più in forma (e la disparità di prestazioni tra Napoli e Nazionale è significativa delle difficoltà del nostro CT ad organizzare il talento, pur considerate le differenze tra un club e una Nazionale). Finora Insigne in azzurro è stato usato in modo completamente distorto, come l’uomo dei miracoli, colui che deve sempre risolvere con una giocata individuale.

Insigne, però, ha bisogno di un sistema di gioco funzionante per esaltarsi: non rende invece quando deve risolvere da solo la partita, non è quel tipo di giocatore. Quando entra in campo a Stoccolma sembra addirittura che non sappia bene dove posizionarsi: entra, parla con i compagni con aria poco convinta e si muove come un rabdomante per il campo, sempre lontanissimo dalla porta.

La mancanza di una strategia e il caos creativo della Nazionale sono ben riassunti da un’azione che vede Insigne protagonista, nel momento di maggior sforzo degli azzurri: a dieci minuti dalla fine, con un gol da recuperare. Vediamo Insigne toccare il pallone nella nostra metà campo, in una posizione insolita: sembra il centrale difensivo di sinistra. Si trova in quella posizione perché si è abbassato a coprire la salita di Chiellini: e già questo dimostra la disfunzionalità del sistema di gioco. Nel momento in cui tocca il pallone, Insigne è il giocatore di movimento più lontano dalla porta (più basso di quanto abbia mai ricevuto Verratti, tra l’altro) e avvia l’azione dell’Italia. Rimane in posizione di difensore centrale sinistro per qualche secondo, tanto che Bonucci sembra quasi invitarlo a salire: Insigne guarda la panchina e si convince, come se non sapesse bene dove sistemarsi.

I pochi minuti del numero 10 azzurro non hanno inciso sull’andamento della gara che si è trascinata con lo stesso risultato fino alla fine. La sconfitta dell’Italia è un chiaro segnale delle difficoltà di un gruppo a elaborare le richieste del proprio allenatore, ma non solo: è anche un piccolo manifesto di come disperdere il talento.

La qualificazione è ancora ampiamente alla portata, ma la Nazionale ha davanti a sé una sfida complessa: purtroppo non c’è tempo per migliorare il sistema e cambiare struttura di gioco, e rimane invece la tentazione di affidarsi semplicemente ai singoli. Un errore che Ventura non può più commettere: se non si organizza il talento, si assiste solo a una serie di fallimenti individuali. La nostra Nazionale può qualificarsi solo se si comporta come un unico organismo, più forte della somma di singole parti. È vero sempre, è vero in particolare per la squadra vista ieri sera.