Neymar profeta in patria

Mondiali

Emanuele Atturo

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Dopo una stagione tormentata al Paris Saint-Germain, Neymar può giocare un Mondiale da protagonista assoluto con il suo Brasile

BRASILE-SVIZZERA LIVE

L'ARGENTINA SULLE SPALLE DI MESSI

Neymar è rientrato dal suo infortunio al metatarso poche settimane fa contro la Croazia, nell’amichevole giocata ad Anfield in un raro pomeriggio assolato di Liverpool. Ci ha messo circa venti minuti per segnare. Al 68’ Coutinho lo serve sul vertice dell’area di rigore, Neymar riceve col sinistro e invece di convergere direttamente verso la porta, facendosi quindi chiudere dall’uomo in arrivo da dietro, va dritto come disinteressato alla porta. Poi comincia a sterzare col mancino, palla attaccata al piede, come un serpente che sguscia fra le rocce con una preda nella bocca. Ha tre giocatori attorno, ma la precisione dei suoi movimenti gli ha permesso comunque di ricavarsi lo spazio per il tiro, che arriva secco e improvviso e tocca la parte interna della traversa con una forza sproporzionata alla vicinanza.

Il gol ha cominciato a rassicurare chi non credeva che Neymar potesse rientrare in forma per il Mondiale in Russia, dove sarà la stella più attesa di un Brasile che è tra le favorite alla vittoria finale. Neymar è più che un calciatore, è un talismano, un dio pagano il cui infortunio al Mondiale di 4 anni fa aveva causato il crollo, calcistico ed emotivo, del Brasile contro la Germania. È l’incarnazione del senso ludico dei brasiliani per il calcio, con cui non sono ancora del tutto scesi a compromessi. Maggior simbolo di una cultura in cui il calcio è espressione creativa più che forma competitiva. Eppure, forse proprio per questo motivo, non è ancora chiara l’importanza di Neymar ai Mondiali. Sarà il fuoriclasse necessario a una formazione forte in tutti i reparti o un orpello inutile a una squadra già piena di fenomeni? Sarà un distruttore di equilibri o un generatore di vantaggi?

Quattro anni fa Neymar era l’unico fattore a rendere credibile una vittoria verdeoro al Mondiale di casa, oggi invece è la pietra più splendente di una squadra forte ed equilibrata, ma che ha imparato anche a fare a meno di lui. Nel frattempo Neymar in questi quattro anni è stato tante cose diverse: allievo diligente alla scuola catalana di Iniesta e Messi; finalizzatore ombra nel Barcellona del triplete; leader tecnico nell’ultimo Barcellona di Luis Enrique.

Fino allo scorso anno il percorso di Neymar raccontava il progressivo adattamento di una stella sudamericana al calcio europeo. Con le sue difficoltà, certo, ma nobilitate da momenti di grande splendore, come quando ha rimontato quasi da solo il PSG agli ottavi di finale di Champions League. Neymar stava riuscendo nell’impresa più difficile della sua vita, che lo accompagna da quando affogava in maglie da calcio troppo grandi: mantenere le aspettative, essere all’altezza dell’immagine di miglior giocatore della più grande patria del calcio.

Neymar ci stava riuscendo in un modo stranamente schivo, asciugando il suo gioco dai ghirigori più barocchi, mettendosi a disposizione del genio di Messi. Poi, però, il 3 agosto del 2017 è cambiato tutto. Con una mossa da NBA, Neymar si è stufato di essere la seconda stella di una squadra vincente e ha preferito diventare la prima stella di una squadra in crescita.

Pandemonio

Al PSG Neymar avrebbe dovuto consacrarsi come miglior giocatore del calcio mondiale portando al successo una squadra senza blasone continentale. Questo almeno nell’opinione comune, ma lui sembrava avere altre idee. Neymar ha interpretato il PSG come il proprio personale spazio di libertà, il proprio Brasile.

A gennaio il PSG fa 8 gol al Dijon, Neymar, da solo, ne fa 4. Il terzo riassume la sua onnipotenza nel campionato francese. Prende palla sulla linea laterale sinistra, poco oltre il centrocampo, corre verso il centro circondato da tre giocatori, resiste al triplice contatto, col sinistro salta un altro giocatore, e a quel punto può correre verso la porta. Quando Neymar conduce nei corridoi centrali, senza pressione, è il giocatore più imprevedibile del pianeta. Può tirare, cercare la verticalizzazione, incaponirsi in una serie di dribbling, e in ogni caso è sempre lui che decide, il difensore può solo sperare di limitare i danni. In questo caso il difensore lo affronta, lui lo salta verso l’esterno e tira rasoterra sul secondo palo.

Nella stessa partita Neymar serve anche due assist, uno di questi involontario. Aveva superato il portiere con uno scavetto d’esterno, la palla sembrava poter scivolare sul palo, prima che Di María arrivi a spingerla in rete. L’argentino non ha neanche esultato, ha subito detto a Neymar che la palla non sarebbe entrata, più volte.

Sul 7 a 0 per il PSG Cavani si guadagna un rigore, il Parco dei Principi lo acclama: “Cavani! Cavani! Cavani”, con un rigore l’uruguagio supererebbe il record di gol di Ibrahimovic per il club. Neymar prende la palla e con la testa bassa si avvicina al dischetto, non ci pensa neanche a lasciarlo al compagno, mentre il pubblico lo ricopre di fischi. Dopo il rigore Cavani non batte ciglio, applaude il compagno, gli dà il cinque, ormai rassegnato a non essere il leader tecnico della squadra.

A settembre la loro faida era all’apice. In PSG-Lione c’è un calcio di punizione dal limite, Cavani si avvicina al punto di battuta, Dani Alves però gli ruba il pallone e lo stringe a sé. Cavani glielo chiede ma Dani Alves si scansa come un bambino e la offre a Neymar. A 10’ dalla fine c’è un rigore per il PSG, Cavani prende la palla, Neymar gli si avvicina per discutere e convincerlo a lasciargli il tiro. Alla fine l’uruguagio tirerà il rigore addosso al portiere e Unai Emery, interrogato sul battibecco, si laverà le mani: «Devono risolvere il problema tra di loro».

A fine ottobre esce la notizia che Neymar sarebbe stufo delle troppe sessioni video di Emery, il tecnico risponde che Neymar è un grande professionista e siede in prima fila durante queste infernali sessioni di 30 minuti. In Francia invece si dice che il comportamento di Neymar fuori dal campo sia tutt’altro che irreprensibile e Emery deve giustificarlo ancora, come chi non ha vere alternative: «Neymar è pur sempre un ragazzo, lui è un giovane giocatore con grande senso di responsabilità. Fuori dall’ambito calcistico e lontano dal campo gli piace divertirsi con i suoi amici ed è del tutto normale, sa che deve riposarsi la domenica, era con noi ieri, lo è oggi e lo sarà anche domani e va bene così. Per quanto mi riguarda è tutto ok».

A novembre mentre era in Nazionale, interrogato sulle conflittualità al PSG, Neymar scoppia a piangere, nasconde la testa sul corpo di Tite, che lo definisce “un ragazzo dal cuore d’oro”.

Anticristo

La cosa più disturbante di Neymar è la differenza tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Un giocatore così forte, così elegante, così creativo risponde quasi al nostro archetipo di come dovrebbe essere un calciatore moderno. Il suo stile di gioco sembra plasmato attorno al nostro canone di bello su un campo da calcio. Eppure nella sua ultima versione al PSG Neymar sembra essere animato da un’energia oscura: le sue giocate paiono essere state spogliate di tutte la gioia e la leggerezza, lasciandole come pure espressioni di superiorità.

Neymar al PSG ci costringe a guardare la sua forza, la sua qualità tecnica, la facilità con cui spazza via altri esseri umani meno dotati di lui. Non c’è più armonia nel suo gioco, anche se comunque grande efficacia. È il giocatore della Ligue 1 ad essere coinvolto in più gol, uno ogni 55’: una cifra irreale, che parla di un uomo che ha quasi trasformato il calcio in uno sport individuale.

I suoi capricci fuori dal campo, l’attenzione ai suoi tagli di capelli, il generale egoismo con cui si lascia scivolare addosso i bisogni degli altri sembrano incarnare i peggiori difetti della nostra epoca. Neymar sembra vivere in una bolla di egocentrismo, e quest’assenza d’empatia si rispecchia anche sul campo, dove eccelle nell’arte più solipsistica, quella del dribbling. Neymar ne prova una quantità ridicola: quasi 11 ogni 90 minuti, anni luce avanti qualsiasi giocatore al mondo, e riesce nel 70% di questi. Numeri che non aveva mai raggiunto nelle sue precedenti stagioni. Se prendiamo in considerazione le cifre totali sono ancora più assurde: 142 dribbling riusciti su 232 tentati.

La sfida di andata contro il Real Madrid è stato il manifesto nero di Neymar in questa stagione. Durante la partita - persa dal PSG per 3 a 1 dopo essere andato in vantaggio - ha provato 16 dribbling, realizzandone 13, ma costruendo quasi niente. Ha ciondolato sul centro-sinistra, ricevendo sempre sui piedi, puntando sempre l’uomo, dando la palla raramente ai compagni. Neymar, Mbappé e Cavani hanno giocato come il resto dell’anno, come tre splendidi esemplari di tre razze diverse, che non arrivano mai a comunicare fra loro. In 90 minuti Neymar non ha mai passato la palla a Cavani.

Momenti come questi sono rimasti come gli scarabocchi di Picasso sui fazzoletti dei ristoranti.

Pochi giorni dopo Neymar si è infortunato al piede nella partita contro l’Olympique Marsiglia. Vale la pena ricordarla perché il modo in cui è arrivato l’incidente non ha niente di casuale. Un utente ha caricato su YouTube il video di tutti i falli subiti da Neymar durante la partita, definendo l’atteggiamento dei difensori “una caccia all’uomo”.

Neymar tiene palla più del necessario, trasformando gli uno-contro-uno in un duello personale astratto dalla partita. Il calcio, in questi momenti Neymar, sembra uno sport individuale dove la posta in palio è la prevaricazione di un uomo sull’altro. A un certo punto è davanti a Germain, dietro la linea di centrocampo: non c’è niente da fare, deve solo appoggiare la palla a un compagno, invece Neymar finta di tirare addosso a Germain, poi sposta la palla e si fa fare fallo. Ogni volta che subisce fallo si dimena a terra con la faccia sull’erba e resta lì diversi secondi. Finisce poi per infortunarsi nel contatto più lieve, quando Bouna Sarr lo anticipa su una palla in uscita dalla difesa. Quando è steso per terra in lacrime nessuno, neanche i compagni, pare credergli.

Il giorno dopo l’infortunio Jordan Amavi, terzino dell’OM, ha dichiarato che Neymar ha giocato cercando di farsi fare fallo: «Vedendolo dal campo posso dirvi che aspettava di essere pressato e scaricava la palla all’ultimo momento disponibile. Che cosa aspettava? Penso che cercasse di farsi fare fallo».

O’Ney

Dopo l’infortunio qualcuno ha suggerito addirittura che Neymar avesse finto. Ci sono state due grandi teorie cospiratorie a riguardo, che lo screditavano su gradi diversi. La prima aveva perlomeno a che fare col calcio: Neymar avrebbe finto l’infortunio per non affaticarsi col PSG e arrivare pronto al Mondiale; la seconda invece ha a che fare con l’immagine scostante e stereotipica dei calciatori brasiliani. Neymar avrebbe finto l’infortunio per tornare in Brasile al compleanno della sorella a cui è estremamente legato, e di cui ha anche il volto tatuato sul braccio.

Voci che la dicono lunga sulla reputazione pubblica di Neymar. Un personaggio così poco amato che l’opinione pubblica finisce per essere contenta persino dei suoi infortuni. Sotto al video dei falli subiti contro l’OM il tenore dei commenti è di questo tipo: “I soldi non comprano gli amici”; “Neymar si è infortunato da solo”; “Neymar gioca come una femminuccia”. “L’unica cosa che vincerà Neymar è l’Oscar”.

Eppure è per un serio infortunio che Neymar ha dovuto saltare la partita più importante della sua carriera, la semifinale dei campionati del mondo contro la Germania. Quando Zuniga gli è entrato da dietro, col ginocchio sulla schiena, nessuno pensava potesse essere qualcosa di grave. Neymar ci aveva abituato a frignare. In un’intervista con Piqué, Neymar ha raccontato che il medico gli ha comunicato così la diagnosi: «Ho una notizia buona e una cattiva. La cattiva è che il tuo Mondiale è finito, la buona è che tornerai a camminare».

Stavolta l’infortunio al piede, su cui Neymar ha dovuto anche subire un’operazione, non è stato troppo grave. È potuto rientrare persino prima del previsto, all’interno di una squadra che nel frattempo aveva mostrato come potesse fare anche a meno di lui. Al contempo, però, quando è tornato in campo, ha ricordato a tutti la differenza fra lui e gli altri giocatori.

Dopo il gol alla Croazia Neymar torna fra i titolari nell’amichevole contro l’Austria. Si posiziona ala sinistra del 4-3-3 di Tite e fa più o meno quello che vuole. Il gioco verdeoro si sbilancia tutto dalla sua parte, dove può dialogare con il regista occulto Marcelo e con un altro divora-palloni come Coutinho, formando una delle catene di sinistra più anarchiche e imprevedibili forse della storia del calcio. Anche all’interno di questo ambiente di primedonne, Neymar recita la parte del despota. Si abbassa a prendere palla quando vuole, la chiede sempre sui piedi, decide lui quando accelerare e quando abbassare i ritmi della gara. Si concede tiri da trenta metri, tocchi di suola in zone rischiose del campo, percussioni estemporanee. Quando passa la palla è proprio perché non può fare altrimenti, o quando vuole chiedere a un compagno un uno-due veloce. Ma Tite ha pensato il suo Brasile per fargli assorbire solo i lati positivi del gioco di Neymar.

Contro l’Austria Neymar ha vissuto la sua solita partita passivo-aggressiva, fatta di falli e litigi con avversari che sembrano provenire da un altro pianeta. Poi, all’ora di gioco, riceve in area, totalmente libero, un passaggio di Willian. La mette giù con la coscia con un’indolenza quasi irritante e poi si prende una pausa. Siamo così abituati ai calciatori frenetici di oggi ci sembra quasi che Neymar stia perdendo tempo, lì in area, con la porta davanti. Aspetta quasi che il difensore gli si pari davanti, poi si sbilancia come per tirare col destro, e tanto basta per mandare l’avversario a terra. A quel punto lo aggira con la suola, in totale controllo della situazione, e supera il portiere con un piatto destro annoiato. Un gol che somiglia a quelle azioni di Pelé che stende per terra i difensori come se gli avesse sparato, e che sembrano appartenere a un’epoca di divinità che corrono in mezzo a esseri umani poco in forma.

Gli abbiamo visto fare gol del genere anche in Europa, ma è solo col Brasile che sembrano essere perfettamente al loro posto. Questa stagione al PSG ci ha insegnato che nessun club può comprare realmente Neymar, che il suo calcio in Europa - per quanto efficace - finirà sempre per perdersi nella traduzione. La sua unica squadra è il Brasile, l’unica competizione che ha a cuore è il Mondiale. Quando in una recente intervista ha dichiarato che il Pallone d’Oro non gli interessa e che vuole vincere il Mondiale è impossibile non credergli. Solo nel Brasile Neymar sembra smettere di giocare solo per sé stesso.

In Russia Neymar dovrà meritarsi la beatificazione a icona nazionale, a dio di un popolo, massima espressione della cultura calcistica che lo ha fatto nascere. Sembra essere l’unica cosa che davvero gli interessi.