Italia, 80 anni fa la Nazionale di Pozzo batteva 4-2 l'Ungheria per una storica doppietta Mondiale

Mondiali

Matteo Marani

Era il 19 giugno 1938 e a Parigi la squadra guidata da Vittorio Pozzo si laureava campione del Mondo per la seconda volta battendo per 4-2 la fortissima Ungheria. Un'impresa che rimane tutt'ora nella storia del calcio e che verrà ripetuta solo dal Brasile con la doppietta '66-'70

Giusto oggi, 80 anni fa, l’Italia di Vittorio Pozzo vinceva a Parigi il suo secondo Mondiale di calcio, bissando il titolo ottenuto quattro anni prima a Roma e conquistando, in terra straniera, un successo che l’avrebbe consegnata per sempre alla storia. Soltanto il Brasile, da allora, riuscirà a eguagliare una simile doppietta (1958-1962).

Era la Nazionale di Silvio Piola, il capocannoniere delle squadra, e di Giuseppe Meazza, la stella del gruppo. Di Giovannino Ferrari, unico col “Balilla” a scendere in campo nelle due finali trionfali, e del centromediano metodista Michele Andreolo, uruguaiano di nascita, amante delle belle giocate quanto delle belle donne. Ma era anche la Nazionale fortemente utilizzata dal regime fascista come strumento di consenso interno e di prestigio internazionale, destinata attraverso i due Mondiali vinti e l’oro di Berlino del 1936 - unico alloro olimpico che il nostro calcio possa tutt’ora vantare - a diventare una sorta di ambasciatrice dell’ideologia mussoliniana, la cui influenza fu chiara anche in quel giugno 1938 nei comportamenti della formazione, sebbene non decisiva ai fini del risultato.

L’Italia si era affacciata in quel torneo due settimane prima, con la gara inaugurale di Marsiglia contro la Norvegia. Una partita dura, sofferta, vinta dagli azzurri solo ai supplementari grazie al 2-1 decisivo di Piola. In difesa, come terzino destro, aveva agito Monzeglio al posto di Foni, scelta dettata non da Pozzo, che preferiva il secondo, bensì da Mussolini in persona, che attraverso il presidente della Federcalcio di allora, Giorgio Vaccaro, aveva imposto l’utilizzo del suo insegnante di tennis a Villa Torlonia. Monzeglio, per l’appunto. I giocatori azzurri, su tutti Piola, avevano dato la colpa della brutta prestazione iniziale al lungo ritiro imposto da Pozzo: quasi un mese tra l’inizio del raduno in Piemonte e la prima gara di Marsiglia, così come piaceva all’allenatore-alpino. L’altro aspetto fu proprio quello politico. La squadra italiana fece il saluto fascista al termine dell’inno nazionale, nella fattispecie la marcia reale, così come era stato imposto in tutto il Paese con un foglio d’ordine governativo datato 1933. Al pubblico presente sugli spalti, quelle braccia tese apparvero come una provocazione, specie al migliaio di esuli antifascisti che nei mesi e negli anni precedenti avevano riparato a Marsiglia, la città in cui maggiore era la presenza di fuoriusciti. Dirà Pozzo nei suoi ricordi: “Un boato ci sommerse”.

Fu solo l’antipasto di quanto avvenne sette giorni dopo a Parigi, stavolta contro i padroni di casa della Francia. Si giocò allo stadio olimpico de Colombes, davanti a 60mila spettatori, tutti – tra francesi e antifascisti italiani – schierati contro la squadra di Pozzo. Per rispondere alle polemiche, che si manifestavano ogni giorno persino al di fuori dagli alberghi degli azzurri, la squadra fu schierata in maglia nera. Era la quarta volta che capitava nella storia della Nazionale, da una prima avvenuta nella primavera 1935. Quel giorno a imporla fu direttamente Mussolini, questo si pensa, irritato per le contestazioni della “nemica” Francia, nostra avversaria nello scacchiere della Società delle Nazioni, l’Onu di allora. A ogni modo, tra bordate di fischi e di insulti, gli italiani si imposero sulla Francia, guidata simbolicamente dal presidente della Fifa, Julies Rimet, al quale sarebbe piaciuto ripetere quanto accaduto con l’Uruguay nel 1930 e con l’Italia nel 1934: una vittoria dei padroni di casa.

Il presidente della Fifa, il francese Jules Rimet, mentre osserva il presidente Lebrun lstringere la mano al capitano dell'Italia Giuseppe Meazza prima della finale contro l'Ungheria

Non andò così. Sbloccò la gara il triestino Colaussi, cui seguì la doppietta di Piola dopo il momentaneo pareggio francese. L’Italia si conquistò così la semifinale contro il Brasile, in programma ancora a Marsiglia il 16 giugno 1938. I brasiliani, non in verdeoro, ma in maglia bianca come fu sempre sino alla catastrofe del 1950, erano sulla carta più forti, ma furono condizionati dall’assenza del loro migliore giocatore, il centravanti Leonidas, infortunatosi nell’aspra sfida precedente con la Cecoslovacchia e tenuto a riposo per l’eventuale finale. A sbloccare la partita fu ancora una volta Colaussi, cui seguì la rete di Meazza, bravo a trasformare un calcio di rigore. Molto si è voluto dipingere sull’esecuzione compiuta tenendosi i calzoncini, causa una rottura del laccetto. In realtà, le immagini esistenti fanno pensare a una soluzione molto più semplice e banale. Per evitare altre proteste, Pozzo aveva spostato la sede del ritiro da Marsiglia ad Aix en Provence e fu da qui che la Nazionale partì alla volta di Parigi per giocarsi il Mondiale.

Il 19 giugno 1938 era una giornata calda nella capitale francese. Rispetto ai quarti contro la Francia, il pubblico si era fermato a 40mila persone, comunque un bel colpo d’occhio. A segnare il primo gol, per la terza volta di fila, fu Colaussi, curiosamente diventato titolare al posto di Ferraris II dopo la sofferta vittoria contro la Norvegia. A far partire l’azione, sulla fascia opposta, era stato Amedeo Biavati, l’ala destra del passo doppio, una giocata che diventerà una firma stilistica, anche lui promosso titolare a partire dalla seconda gara con la Francia. L’Italia risultò nettamente superiore all'Ungheria, come confermeranno i complimenti finali del capitano Sarosi al nostro Meazza. La partita si chiuse con poche storie: 4-2 per gli azzurri, tornati tali, con doppietta di Colaussi e di Piola. Fu il trionfo di quest’ultimo ovviamente, ma anche e soprattutto di Vittorio Pozzo, il Commissario unico che tra il novembre 1935 e il novembre 1939 assicurò all’Italia 40 partite senza sconfitte e che passerà il resto della sua vita a scrivere per la Stampa e a combattere l’etichetta di fascita.

Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi: questo l'undici campione del Mondo 1938

Era stato il migliore interprete del Metodo, il sistema di gioco con il quale l’Italia segnò il momento più vincente della sua storia. Proprio Pozzo, assieme al generale Vaccaro e all’eroico Piola, volò a Roma per conferire con Mussolini. Il fascismo, all’apice del consenso, colse quella vittoria nella democratica Francia per aumentare il peso internazionale, proprio mentre in Africa si sognava l’Impero e mentre in Spagna i volontari in camicia nera combattevano contro la Repubblica rossa. Il 29 giugno, dopo un lungo viaggio in treno, il resto della spedizione fu ricevuta a Palazzo Venezia. Mussolini si intrattenne per una ventina di minuti con i giocatori, tutti vestiti con una divisa di sapore vagamente militare confezionata proprio per quell’occasione. Era l’Italia che vestiva in orbace il sabato fascista, che si sentiva maschia e marziale, e che proprio con il calcio iniziò a simulare una guerra che sarebbe diventata tragedia nazionale nel giro di pochissimi anni.

Come ha scritto in un recente saggio Patrizia Dogliani (“Il fascismo degli italiani”, Utet), “il partito si era posto come obiettivo di risanare fisicamente gli italiani attraverso lo sport”. Sport che doveva portare in ultimo all’educazione del nuovo italiano. Per questo, mentre il presidente francese Lebrun consegnava a Meazza la Coppa Rimet, qualcuno aveva parlato sin da subito di una vittoria della “stirpe”. Meno di un mese dopo, sarebbe stato pubblicato sui giornali del Regno il feroce “Manifesto della razza” e in settembre sarebbero stati varati i primi provvedimenti antisemiti. Quel giorno, a Parigi, lo sport divenne strumento di propaganda, così come lo sarebbe diventata, poche settimane dopo, la vittoria di Bartali al Tour. L’Italia voltava pagina, una pagina sempre più nera.
 

Mussolini riceve a Palazzo Venezia la Nazionale Italiana campione del Mondo 1938