Mondiali 2018 Russia, Messi da incubo contro la Croazia: numeri e volti di un campione irriconoscibile

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Marco Salami

Tante istantanee e tanti numeri: tutti in un'unica direzione, quella della maledizione Mondiale. La Russia si sta lentamente trasformando in un incubo per l'Argentina e per Messi. Solo, incapace di incidere, trascinatore nelle qualificazioni ma ora leader perso nella propria squadra. Cosa è successo a Leo?

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No, questo non è Leo Messi. Non quello da oltre seicento gol in carriera. Non quello dei cinque Palloni d’Oro. Non la Pulce, quello delle reti impossibili, quello capace a tratti di far rivivere il mito di Maradona e - in assoluto - uno dei giocatori più stupefacenti che abbiano mai calpestato un campo da calcio. Lui, con la classe nel sangue, nato per essere il più forte e che, per tanti anni, il più forte di tutti lo è stato per davvero. Nel Barcellona. Certo, ma poi viene sempre l’Argentina, e un macigno sulle spalle come l’eredità di quel Diego Armando Maradona, che là è il più grande di tutti. Campione del mondo nel 1986, e uno spirito enorme che ha portato la nazione sopra chiunque altro nel pianeta calcio. A 30 anni, nel Mondiale del 2018 e con il ko pesantissimo contro la Croazia, la situazione è ora quasi disperata per gli argentini, e per Messi. Il loro leader scuro in volto. Le istantanee della sua partita guardate una dopo l’altra formano una trama unica. Tragica. Messi è corrucciato, si tocca la fronte anche durante l’inno. Mal di testa? Pensieri? Tanti, troppi. Perché contro Modric e compagni è quasi un dentro o fuori, e il film della partita non cambia la sua espressione. Triste, sconsolato. Sguardo a terra, solo in mezzo alla sua squadra. Nemmeno la foto postata sui social dalla moglie Antonella col piccolo Ciro, il nuovo di famiglia e la didascalia “Vamos Papi, Vamos Argentina”, ha sortito l’effetto giusto. Quello di un Messi alla Diego. Che prende in mano la nazione fino al trionfo. Contro la Nigeria l’ultima spiaggia. Salvo miracoli.

La partita di Messi

Il miracolo allora si chiama Leo, sempre. Perché rimane lui quello a cui l’Argentina si aggrapperà anche nella terza e decisiva sfida contro i nigeriani. La qualificazione è ancora possibile, e perché allora non crederci ancora? Col cuore, col fuoriclasse col 10 sulle spalle in campo. Anche se al momento i motivi per non crederci sono decisamente in vantaggio. Innanzitutto la partita dell’Argentina e di Leo: lui che è l’ultima spiaggia, appunto. Un voto da 4,5 in pagella. E con questa diventano sei le partite consecutive di Messi senza gol al Mondiale. In rete l’ultima volta nel girone di Brasile 2014, con una doppietta, e guarda un po’ proprio contro la Nigeria. Messi contro l’Islanda è stato ingabbiato, costretto a predicare nel deserto. E contro la Croazia le cose non sono andate troppo diversamente. Solo Aguero e Salvio (tra i titolari) hanno toccato meno palloni di Leo, appena 49 (record negativo storico per lui in un Mondiale), contro i 116 nella sfida all’Islanda. In più, Messi non ha mai avuto il controllo del pallone in area per tutto il primo tempo, dove nessun suo compagno di squadra è riuscito a passargli per più di due volte la sfera. Appena un tiro in tutti i novanta minuti, zero assist vincenti, zero occasioni da gol create. Un 75% di precisone nei passaggi per lo più sterile (dati Opta). E praticamente la fotografia di un fantasma. Un'opaca controfigura del campione che il Mondiale di Russia 2018 sta ancora aspettando.

La sua storia Mondiale

Allora si può parlare di maledizione… Mondiale. Sì, perché Leo è alla quarta chiamata, la terza da leader assoluto. Lui, che a questa Coppa del Mondo l’Argentina l’ha trascinata, con una tripletta nell’ultima partita per strappare un pass per la Russia contro l’Ecuador. Lontani da casa, a Quito, praticamente in montagna e trascinando. Sì, prendendo per mano la squadra. Perché quando contava lui c’era. In una nazionale che non vince il Mondiale da trentadue anni e la Copa America da venticinque. Già, in ballo per Messi c’è anche l’eterna sfida contro Cristiano Ronaldo, uno che ha fatto vincere l’Europeo, si dice, "addirittura" al Portogallo. Ma si è così sicuri che questa Argentina sia realmente tra le più forti? La carta dice sì, la storia tutt’altro. E allora anche Messi è un po’ “solo”. In una squadra dei sogni che poi così tanto “dei sogni” non lo è. In passato come in Russia, con la maledizione che continua. Nel 2014 la finale persa e zero gol per Leo dagli ottavi in poi. Nel 2010 (con già una Champions e un Pallone d’Oro in bacheca) cinque partite giocate tutte da titolare, e anche lì zero gol. Il tutto dopo averci messo appena 14 minuti dall’esordio a segnare la sua prima rete, ad appena diciotto anni, in una coppa del Mondo. Era il giugno del 2006. Un predestinato. L'erede di Maradona. Poi la caduta. Allora Messi come Cruijff, Platini, Van Basten, Zico, George Best, Maldini, Raul o Roberto Baggio? I fenomeni senza il Mondiale, perché l’eliminazione, ora, è uno spettro, tremendamente reale, e nel 2022 in Qatar, nel Mondiale d’inverno, Messi di anni ne avrà 35, e mezzo. Impossibile esserci? Non è detto. Come non è certo impossibile, per quanto dura, la risalita dell’Argentina. Con una sola condizione. Messi dovrà risorgere. E con lui la nazione. Altrimenti avrà fallito per sempre la sua grande missione nei Mondiali di calcio. Il palcoscenico dove si fa la storia. 

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