Manchester City, alla scoperta di Guardiola: l'importanza del suo primo anno nel Barcellona B

Premier League
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Non solo campioni, la sua carriera Pep Guardiola l’ha iniziata con il Barcellona B, allenando dei ragazzi non ancora pronti. Ha vinto anche lì, facendo salire la squadra di categoria e insegnando una filosofia di gioco. La stessa che lo ha portato in vetta alla Premier League quest’anno. Skysports.com ha intervistato tre suoi ex calciatori di quei tempi, parere unanime: "Pep insegna calcio"  

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Alle radici di Pep Guardiola. Quest’anno lo spagnolo è già su tutti i libri di statistica del calcio dopo essere arrivato appena oltre la metà della stagione. Il suo Manchester City è uno schiacciasassi, e la vittoria finale in Premier League sembra quasi scontata. Come negarlo? Dopotutto su tre dei cinque principali campionati europei - che poi sono i soli dove ha allenato - il record di vittorie consecutive è suo. Barcellona, Bayern Monaco e Manchester City. La critica più facile? È anche la più banale: allena solo campioni. Vincere così è facile. Vero, nessuno lo ha mai messo in dubbio. Tantomeno lui. "Chi vincerà quest’anno la Champions?" - gli è stato chiesto qualche settimana fa. Risposta: "Dove gioca Messi? Barcellona? Allora i favoriti sono loro". Lo sa anche Pep, i campioni nel calcio contano. E aver allenato Messi è contato tantissimo nei suoi quattro anni in blaugrana. Cinque, in realtà. Perché c’è anche la stagione 2007-08 alla guida del Barcellona B. Perché se è vero che contano i campioni, nel calcio, conta anche la filosofia. In Inghilterra Adam Bate è voluto andare a fondo di quel suo primo anno coi giovanissimi del Barça. La sua prima esperienza. Skysports.com ha intervistato tre suoi ex giocatori di quei tempi. Sergio Urbano, Dimas Delgado e Gai Assulin. Per andare a scavare nelle sue radici da allenatore. Quando allenava ragazzi qualunque e non campioni già affermati.

Promozione

Il risultato è che il vero crocevia da allenatore nella sua carriera Guardiola lo ha vissuto proprio lì. In quell’anno dove è stato promosso dalla Tercera Division - che, in realtà, a dispetto del nome, sarebbe la quarta categoria spagnola - fino alla Segunda Division B, la terza serie iberica. Recentemente gli è stato chiesto se avesse mai dubitato del suo ruolo in panchina. Forse dopo il primo brutto anno al Manchester City? O in Baviera dove non è riuscito a vincere la Champions? No, proprio lì nella Tercera Division, su campi piccoli e sperduti. Quando perse la prima amichevole contro il Banyoles, a cui seguirono poi una sola vittoria nelle prime tre di campionato. Sì, lì Guardiola - e per sua stessa ammissione - ha dubitato del suo futuro e della filosofia che voleva portarsi dietro. Dopo tutto lo aveva detto anche nella sua prima conferenza: “Quello che ho fatto da giocatore è il passato, come allenatore non sono nessuno e parto da zero. L’obiettivo è formare giocatori. Ma se non vinciamo e non saliamo di categoria, sarà giusto che io non continui”.

Gai Assulin, ala sinistra, nel Barcellona B nella stagione 2007-08 con Guardiola in panchina. Ora gioca nel CE Sabadell, in Segunda Division B

Filosofia

Continuerà invece Pep, per poi salire al vero Barcellona e fare il Triplete al primo anno, a suon di gol. Ma le difficoltà in quel primo Barça B erano tante. I campi ne sono proprio un esempio. La cosa più lontana possibile da uno stadio come il Camp Nou: grande e perfetto. Eppure l’intuizione era semplice: possesso palla, bel gioco, qualità. Se dovesse riuscire su un campo piccolo, allora su uno grande non può che essere più facile. I suoi ex giocatori ne sono d’accordo. Le loro parole sono un tripudio di attestati di stima per le sue qualità da allenatore. “Era diverso da qualsiasi altro allenatore” - dice Sergio Urbano, attaccante - era incredibile il modo in cui trasmetteva le sue idee. Come viveva e respirava il calcio, e come lo capiva”. Urbano oggi è svincolato, dopo aver giocato in Inghilterra tra i semi professionisti del Biggleswade Town. “Vincevamo col possesso. Era strano, i campi erano minuscoli, sembrava impossibile giocarci bene. Ma Guardiola coi suoi concetti ci fece capire che poi avremmo potuto giocare ovunque”. Dimas Delgado ora, invece, ha 25 anni, e gioca in India al Bengaluru: “Aveva idee chiare, e le spiegava ancora meglio Guardiola. Era preciso, chiunque coglieva le sue idee. Penso fosse questo il suo segreto”. E’ vero, era concentrato nei dettagli l’attuale manager del City, ma soprattutto nei rapporti con giocatori così giovani. Gai Assulin, passato poi anche dal Manchester City riserve, è un’ala: “Ricordo che i video duravano al massimo dieci minuti” - questione di soglia di attenzione. “Pep arrivava allo stadio ore prima dei giocatori, e se ne andava ore dopo. Era preparatissimo, ma non dava mai più informazioni di quelle che potessimo recepire” - dice l’attuale giocatore del Sabadell, squadra della Segunda Division B. E poi, infine, tutti e tre ne sono d’accordo: vincere col City era solo questione di tempo. “Pep fa migliorare i giocatori dal punto di vista tattico - dice Urbano - hanno un altro stile di gioco. Hanno fatto propri più concetti di calcio soprattutto grazie a lui”. “Serviva solo tempo perché i giocatori afferrassero i suoi concetti di calcio” - aggiunge Delgado. Ebbene quel tempo è arrivato, e la filosofia di Guardiola sta portando il Manchester City dove mai era stato in tutta la sua storia.