Felipe Anderson è tornato

Serie A

Daniele Manusia

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Contro Udinese e Chievo l'ala brasiliana della Lazio ha giocato quasi due partite intere, mostrando quanto di buono può offrire a una delle squadre più in forma del campionato. Ma per Inzaghi non sarà facile integrarlo 

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Anche se ufficialmente è tornato da dicembre e, come si dice, ha messo più di qualche minuto nelle gambe, Felipe Anderson ha dovuto aspettare il leggero infortunio muscolare di Ciro Immobile per giocare la sua prima partita da titolare in campionato. Contro il Chievo aveva giocato un’ora al posto del centravanti italiano, insieme a Luis Alberto; contro l’Udinese, invece, ha fatto coppia con Nani fino a più o meno venti minuti dalla fine, quando è tornato a giocare in coppia con Luis Alberto, entrato al posto del portoghese: queste due vittorie larghe (5-1 contro la squadra di Maran e 3-0 contro quella di Oddo, la sua prima sconfitta in Serie A con l'Udinese dopo quella all'esordio, dopo pochi giorni, contro il Napoli) ci offrono un primo spaccato del possibile contributo di Felipe Anderson al gioco offensivo della Lazio per il resto della stagione 2017-18. Il gol e l’assist realizzati ieri (come nella partita prenatalizia contro il Crotone, ma in quel caso lo aveva fatto in 7 minuti) ci ricordano che tipo di impatto possa avere il brasiliano su una partita, anche se va detto subito che non sarà facile per Inzaghi inserirlo nell’undici titolare.

Il primo effetto di Felipe Anderson sul gioco della Lazio di quest’anno è quello di estremizzarne la verticalità. Contro l'Udinese la Lazio ha voluto giocare una partita più di transizione rispetto al solito ma, senza Immobile in campo, Inzaghi rischiava di perdere in profondità, stimolando i tre difensori di Oddo all’anticipo. Felipe Anderson, pur non avendo i movimenti e il senso della posizione di Immobile, pur preferendo quasi sempre abbassarsi per ricevere, risolve un problema di questo tipo con le sue sole qualità individuali. Con i dribbling e con la propria capacità in progressione, cioè. Esempio: al decimo minuto, dopo essersi allargato sulla fascia destra per ricevere da Basta, Anderson ha saltato Pezzella verso l’interno, ha superato Fofana in conduzione e Hallfreddson triangolando con Nani. In pochi secondi è arrivato al limite dell’area, dove è andato a sbattere su Danilo.

Nella sua stagione magica, quella 2014-15, in cui sembrava semplicemente immarcabile, Felipe Anderson ha mostrato una combinazione eccezionale di qualità atletiche e tecniche, sfruttando la propria esplosività ed elasticità muscolare per mantenere il controllo del pallone anche in situazioni complicate, sterzando e arrivando sempre un attimo prima dei difensori sul pallone grazie alla forza delle proprie gambe piuttosto che grazie a numeri da circo. Poi c’è stata la deludente stagione 2015-16, seguita da quella 2016-17, la stagione della maturità, in cui da esterno ha imparato a rallentare e ad aiutare la propria squadra a risalire il campo. Contro il Chievo e contro l’Udinese si sono viste meno le sue qualità "tattiche" e più di quelle qualità di cui ci eravamo innamorati all’inizio. In parte ha senz’altro influito l’assenza di Immobile, e il bisogno di qualcuno che allungasse il campo in fase offensiva, ma in parte è anche un inganno della percezione. Se Felipe Anderson ci è sembrato così verticale è anche per il confronto implicito, e impossibile da evitare, con un giocatore molto più “di pensiero” come Luis Alberto, che ne ha preso il posto a inizio anno cambiando profondamente la Lazio.

Ovviamente il gol e l’assist sono la massima manifestazione del potere di Felipe Anderson di prendere palla in un punto qualsiasi del campo e condurla a velocità altissime in area di rigore. Felipe Anderson è soprattutto un portatore di palla. Anche quando riceve di spalle e deve liberarsi della marcatura non protegge mai con il corpo - che però usa per prendere posizione sui lanci lunghi, mosytrando di sapersi adattare anche al ruolo di centravanti - ma si sposta con la palla, è come un fluido che si infila negli spazi che trova. L’assist a inizio secondo tempo nasce da un movimento interno-esterno da punta, con cui taglia alla spalle del centrale sinistro dell’Udinese, Danilo, e lo costringe al duello in velocità. Non solo vince il duello, ma mantiene un controllo così preciso sul pallone che arriva sulla riga di fondo con il passo perfetto per servire di sinistro all’indietro Nani, che ha visto alla periferia del proprio campo visivo. Giocare una palla del genere, con questa precisione, a quella velocità, calibrare il passaggio in modo che a Nani non resti altro che mettere il piede per far andare la palla in porta, è più difficile di quanto lo ha fatto sembrare Felipe Anderson.

Sul gol del 3-0 Lulic lo lancia addirittura alle spalle di Danilo, che non riesce ad ostacolarlo minimamente pur arrivando al contatto. È leggermente decentrato a sinistra, ma il controllo di Felipe Anderson è eccezionale: prima si accentra per tagliare davanti al suo diretto avversario e preparare la conclusione, poi quando vede il portiere fuori sceglie la soluzione tecnicamente più difficile: l’angolo in basso a sinistra. È difficile capire se abbia ancora dei margini di miglioramento dal punto di vista fisico, o se invece abbia recuperato totalmente dall’infortunio agli adduttori dello scorso agosto, certo a vederlo così sembra comunque pronto. E un giocatore con il suo dinamismo, la sua velocità nel girarsi verso la porta avversaria, non sarebbe utile a Inzaghi solo in ripartenza, quando c’è molto campo da mangiare, ma anche per trasformare ogni azione, dal centrocampo in su, diciamo, in una transizione diretta. In questo, il suo stile si sposa alla perfezione con quello della Lazio.

Anche la tecnica nello stretto di Felipe Anderson è legata a un uso del corpo da atleta completo, a coordinazioni difficili da eseguire muscolarmente oltre che da pensare o realizzare alla sua velocità. La sensibilità sul pallone lo accompagna e gli permette di fare le cose che il suo corpo fa spesso anche istintivamente: agganci di tacchi al volo, rabone per rispondere a una passaggio arretrato che lo prende in controtempo, per fare esempi di gesti tecnici visti durante la partita con l’Udinese. Non è detto che gli riesca sempre tutto, perché l’istinto è nemico delle precisione, ma con un volume di gioco come il suo - lo scorso anno tentava 3.3 dribbling a partita e 2.1 tiri in porta - gli errori vengono compensati anche solo dal fatto che ogni volta che entra in possesso del pallone la squadra avversaria è costretta a correre all’indietro. Al di là della sua pericolosità nell’uno contro uno e a ridosso dell’area di rigore, la qualità "rugbistica" di Felipe Anderson permette alla Lazio di risalire il campo ogni volta che è entrato in possesso del pallone. Stressando le squadre avversarie, costringendole a una pressione continua e aprendo buchi potenzialmente interessanti per un compagno.

Alcuni degli strappi palla al piede di Felipe Anderson contro Udinese e Chievo. Utili non solo quando arriva al tiro o all’assist.  

In questo senso, anche se è difficile immaginare che Simone Inzaghi decida di cambiare modulo a questo punto della stagione, con la Lazio così in forma, Felipe Anderson potrebbe essere utile anche ad un centravanti che dà profondità come Ciro Immobile. Il paradosso, però, è che sul piano mentale è un giocatore troppo diretto per accontentarsi della cucitura, non gli piace separarsi del pallone se non è costretto e una volta arrivato nella zona calda cerca l’ultimo passaggio o direttamente la conclusione. In questo modo rischierebbe di diventare controproducente proprio per Immobile, ritardando i tempi dei passaggi e accorciando il campo alle spalle della difesa. Ma con o senza Immobile in campo, Anderson accelera la fase offensiva laziale, mettendo la quinta ogni volta che entra in possesso del pallone, puntando la difesa grazie alla sua straordinaria conduzione palla al piede e, una volta arrivato a ridosso dell’area di rigore, cercando l’ultimo passaggio o la conclusione (anche con un po’ di egoismo).

Alle qualità più evidenti di Felipe Anderson, però, va aggiunto il suo gioco senza palla: l’abilità nel farsi trovare smarcato e i movimenti profondi. Contro l’Udinese, quando gli è capitato di entrare in contatto con Milinkovic-Savic ha dimostrato di sapersi associare bene ai suoi movimenti, compensando i suoi inserimenti e dettando il passaggio in profondità quando il serbo ha la palla tra i piedi. Il gol è nato in questo modo ma in generale Felipe Anderson è stato un punto di riferimento affidabile per la risalita del campo della Lazio (molto più di Nani, per dire). Quando poi si trova a giocare tra le linee, i suoi spostamenti rapidi e la qualità dei suoi passaggi, sempre potenti e precisi, lo fanno muovere da destra a sinistra diventando la linea che unisce i puntini del centrocampo biancoceleste, entrando in contatto con l’eterno sinistro e quello destro nella stessa azione.

I dubbi principali sull’inserimento di Felipe Anderson riguardano più che altro la sintonia attualmente esistente nella Lazio. Perché Simone Inzaghi dovrebbe rischiare di compromettere gli equilibri tra Milinkovic-Savic (che parte da mezzala), Luis Alberto (trequartista) e Immobile (punta) se dal punto di vista offensivo la Lazio è già una delle squadre migliori in Europa? Perché, se non in determinate partite, dovrebbe rinunciare a quella fluidità con e senza palla per giocare maggiormente in transizione? Dal punto di vista individuale, Luis Alberto non fa mancare niente alla Lazio: le sue statistiche offensive - 2.1 dribbling in media ogni 90 minuti, 2.5 passaggi chiave, 2.1 tiri, 46.5 passaggi, 79.8% -  sono simili a quelle di Felipe Anderson lo scorso anno, ma lo spagnolo ha già segnato di più e realizzato quasi i suoi stessi assist - 7 gol e 7 assist per lo spagnolo, 9 gol e 4 assist per il brasiliano la passata stagione. Ma soprattutto, rispetto al brasiliano, Felipe Anderson ha un gusto meno spiccatamente associativo, un piacere meno ossessivo per i filtranti e un controllo minore sul ritmo della partita.

Felipe Anderson ha giocato appena 260 minuti in campionato e la media di 0.69 gol e assist in 90 minuti di gioco fa pensare che potrebbe tranquillamente avere un ruolo importante anche entrando più spesso a partita in corso che da inizio gara. D’altra parte Simone Inzaghi sta facendo un ottimo uso “in corsa” anche di Jordan Lukaku, sfruttandolo proprio per aumentare le transizioni della Lazio. Sono pochi, anzi, gli allenatori che hanno questo tipo di “problemi” e per questa Lazio avere un Felipe Anderson in più può essere una garanzia ulteriore di arrivare fino in fondo alla stagione mantenendo alta la propria competitività su tutti i fronti.