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Serie A, le 8 cose da seguire nella 26^ giornata

Serie A

Fabio Barcellona e Alfredo Giacobbe

Come una "piccola" può mettere in difficoltà una squadra di Sarri? La SPAL riuscirà a uscire dalle sabbie mobili del suo pessimo momento di forma? Queste e altre domande su una giornata di campionato particolarmente delicata

 

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1. SPAL-Crotone: momento decisivo per la stagione ferrarese

La SPAL non vince da quando, il 17 dicembre dello scorso anno, ha battuto in trasferta il Benevento. Da allora la squadra di Semplici ha collezionato solamente 3 punti, frutto di 3 pareggi; ha subito 18 gol in 8 partite e si è allontanata pericolosamente dalla zona salvezza. Non deve ingannare neanche la sconfitta di misura dell’ultima partita a Napoli: nonostante sia rimasta potenzialmente in partita fino all’ultimo minuto, la SPAL ha giocato una partita passiva e infarcita di errori, producendo solamente 0.1 expected goal, subendone 1.9.

Il periodo negativo sembra essere peggiorato nelle ultime 3 partite: oltre a quella contro il Napoli, sono arrivate le sconfitte anche contro Cagliari e Milan, dove la SPAL non è riuscita a segnare nemmeno un gol. La campagna acquisti invernale non ha portato, finora, grandi benefici; la sostituzione in mezzo al campo delle mezzali Mora e Rizzo col brasiliano Everton Luiz dal Partizan Belgrado e Jasmin Kurtic dall’Atalanta non sembra avere migliorato il reparto, mentre gli acquisti dei difensori Thiago Cionek dal Palermo e di Lorenco Šimić dall’Empoli non hanno cambiato sostanzialmente il rendimento del reparto arretrato.

Da circa un mese la posizione del tecnico, Semplici, non è più solida e a Ferrara si rincorrono senza sosta le voci della ricerca da parte della dirigenza di un suo eventuale sostituto. Anche in campo sembra che la squadra sia confusa e priva di una guida certa e stabile: nella disastrosa sconfitta interna contro il Milan di due settimane fa si sono visti più volta battibecchi tra i giocatori. Di certo un pessimo segnale che si accompagna ai numerosi problemi tattici irrisolti della squadra di Semplici.

Il tecnico ha adottato sin da subito su un’identità tattica forte e riconoscibile, impostando la squadra con un 3-5-2 che, in fase di possesso palla, ha scommesso su una costruzione bassa palleggiata finalizzata alla generazione di una superiorità numerica e posizionale grazie al rombo formato dai tre difensori e dal centrocampista basso. In attacco la SPAL ha puntato sulle giocate coordinate delle due punte e gli inserimenti delle mezzali ai loro fianchi, favoriti dalla posizione larghissima assunta dai due esterni. I problemi offensivi sono emersi presto e, più che le fasi preparatorie della manovra, hanno riguardato la transizione alla fase di rifinitura e finalizzazione: le idee di Semplici si sono scontrate con la poca qualità e lo scarso rendimento del reparto offensivo degli estensi.

Al di là dei (pochi) gol realizzati, la stagione di Borriello, Paloschi e Floccari è stata deludente e il giovane Federico Bonazzoli non è cresciuto abbastanza da sopperire le loro mancanze. Nelle ultime giornate il peso dell’attacco della SPAL è rimasto principalmente sulle spalle di Mirco Antenucci e, addirittura, nelle ultime partite Semplici è passato al 3-5-1-1, schierando Kurtic alle spalle dello stesso Antenucci. Il cambiamento di modulo ha persino peggiorato il rendimento offensivo della SPAL che, privata del doppio riferimento offensivo da innescare per creare gli spazi per gli inserimenti dei centrocampisti, pare avere ancora meno armi per creare pericoli alla porta avversaria e poche idee su come avvicinarsi ed occupare l’ultimo terzo di campo.

Al contempo, il rendimento difensivo, è andato progressivamente peggiorando, scontando di riflesso le difficoltà offensive e i troppo frequenti errori in fase di possesso palla. Neanche i nuovi acquisti Cionek e Simic paiono possedere le doti tecniche e tattiche necessarie ad alimentare con qualità la circolazione bassa del pallone della squadra, rendendo ancora più complesso risolvere i problemi offensivi della SPAL, che sta progressivamente perdendo convinzione nella forza del proprio progetto tattico. La sfiducia e la confusione degli ultimi tempi non possono che portare dritti alla serie B, se la SPAL vuole ancora credere alla salvezza dovrà tornare a credere profondamente al progetto tattico iniziale e lavorare per attuarlo al meglio.

Così, la partita con il Crotone è già decisiva per la squadra di Semplici, che in caso di sconfitta vedrebbe allontanarsi forse irrimediabilmente i rivali calabresi. Zenga ha ridisegnato tatticamente il Crotone, che oggi è una squadra distante da quella che all’andata, con Davide Nicola in panchina, aveva pareggiato a Ferrara. Allontanandosi dal 4-4-2 basso e reattivo del precedente allenatore, Zenga ha impostato il Crotone secondo un 4-3-3 propositivo e, al di là dei differenti piani gara predisposti in funzione delle caratteristiche degli avversari, tendenzialmente votato alla riconquista alta del pallone. Proprio lo scontro tra il pressing dei calabresi e la paziente costruzione bassa della SPAL potrebbe essere uno dei temi tattici della partita.

Qui sopra un esempio dei rischi che corre la Spal sotto pressione. Il Napoli è una tra le squadre più efficaci della serie A nel pressing, ma la circolazione bassa della SPAL ha dei problemi preoccupanti per una squadra che punta molto su una costruzione pulita dell’azione a partire dalla difesa.

2. Il Benevento può mettere in difficoltà l'Inter?

Roberto De Zerbi ha fatto 10 punti in 16 partite sulla panchina del Benevento. La sua media è insufficiente a raggiungere la salvezza, meno che mai partendo dallo zero in classifica delle prime 9 giornate. Alla doppia vittoria interna ottenuta a cavallo di Capodanno, contro Chievo e Sampdoria, hanno fatto seguito quattro sconfitte di fila, prima di tornare alla vittoria domenica scorsa contro il Crotone. Molto deludenti, anche in termini di prestazione, le partite contro Bologna e Torino, mentre erano preventivabili e tutto sommato incoraggianti quelle contro Napoli e Roma.

La vittoria contro il Crotone, in un ottimo momento di forma, ha evidenziato lo spirito della squadra di De Zerbi e, ancora una volta, i suoi pregi e i suoi difetti dal punto di vista tattico.

I sanniti hanno rivoluzionato la squadra durante il mercato di gennaio, e, al di là della curiosità legata ai giocatori acquistati, la squadra appare di certo rinforzata. L’ambizioso progetto tattico di De Zerbi utilizza tantissimi strumenti del “gioco di posizione” per disordinare la struttura difensiva avversaria e creare gli spazi per attaccare. A tal fine la circolazione del pallone è particolarmente paziente e palleggiata, anche in zone particolarmente basse e con il contributo fondamentale del portiere, al fine di attirare il pressing avversario, dilatarne le distanze difensive e trovare uomini liberi alle spalle della pressione. In fase di non possesso, dopo la riaggressione successiva alla perdita del pallone, il Benevento preferisce abbassarsi e schierare le sue linee difensive e provare a controllare gli spazi con la sua difesa puramente a zona. Il modulo di gioco non è un dogma per il tecnico sannita ed è variato di partita in partita. In aggiunta, il Benevento ha spesso messo in mostra grandi doti di fluidità posizionale, variando il modulo dalla fase di possesso a quella di non possesso.

Contro Roma e Napoli, De Zerbi si è affidato a un attacco senza un vero e proprio centravanti di ruolo, inserendo al centro dell’attacco il brasiliano Guilherme, assente per infortunio nell’ultima partita contro il Crotone, con il compito di abbassarsi sottraendosi alla marcatura, per consolidare il possesso in zona avanzata ed aprire varchi agli inserimenti dei compagni. A gravitare intorno a Guilherme altri giocatori estremamente tecnici come Djuricic e il sorprendente Brignola. Quest’ultimo è un classe ‘99 e si sta rivelando fondamentale per il gioco del tecnico dei sanniti, per il suo dinamismo in entrambe le fasi di gioco, il piede mancino, il dribbling pungente e la sensibilità nel muovere il pallone nel sistema di possesso della squadra. Affrontando la difesa dell’Inter, dominante fisicamente, De Zerbi potrebbe ancora una volta scegliere un attacco “leggero” e mobile che gli consentirebbe di muovere la difesa nerazzurra senza fornire alcun punto di riferimento. L’attacco del Benevento ha già messo in difficoltà le difesa di Napoli e Roma e potrebbe, con la medesima strategia, creare problemi a quella dell’Inter.

17 passaggi, tutta la squadra coinvolta e paziente ricerca dell’uomo libero, anche a costo di tornare indietro: il primo gol del Benevento alla Roma. Da notare il contributo di Guilherme e Brignola che si staccano dalla linea difensiva avversaria.

Purtroppo per i sanniti, il vero problema risiede nella propria metà campo, dove De Zerbi non ha ancora trovato una soluzione convincente per risolvere i problemi della peggior difesa del campionato sia in termini di gol i che di expected goal subiti.

L’arrivo della fisicità e dell’ottimo senso tattico di Sandro davanti la linea arretrata sembra avere dato un buon contributo alla fase difensiva della squadra, che comunque sembra ancora troppo fragile e non all’altezza della fase offensiva del Benevento stesso, molto più efficace.

3. Juve-Atalanta: antipasto della semifinale di Coppa Italia

Quest’anno l’Atalanta sembrava avere puntato gran parte delle sue fiches sulle Coppe: dopo essere entrata in’Europa League grazie alla splendida stagione dell’anno scorso, Gasperini ha scelto di focalizzare l’attenzione della sua squadra sul percorso europeo, alzando ulteriormente l’asticella degli obiettivi della sua squadra, secondo la condivisibile convinzione che il prestigio, anche futuro, dell’Atalanta dovesse passare attraverso in ottimo cammino in Coppa. Il sorteggio, sia del girone eliminatorio che del sedicesimo di finale, ha contribuito a costruire l’epica dei bergamaschi, regalando loro avversari difficili ma affascinanti. L’eliminazione di giovedì sera da parte del Borussia Dortmund, al termine di due partite ben giocate e due gol decisivi subiti nei minuti finali di entrambi i match, è stata un brutto colpo per l’Atalanta e segna la fine del principale percorso della stagione.

La partita di campionato contro la Juventus arriva a meno di 72 ore dal match di Europa League, e a pochi giorni di distanza dalla semifinale di Coppa Italia da giocare ancora a Torino, sempre contro la Juventus. Uno dei temi principali della partita di campionato sarà pertanto la capacità della squadra di Gasperini di affrontare il match con l’intensità necessaria a sostenere il peculiare calcio progettato dal suo tecnico. La continua ricerca delle linee di anticipo, l’aggressivo pressing uomo su uomo adottato dall’Atalanta, in cui il ritardo e l’errore di uno degli ingranaggi può ripercuotersi a catena sull’intero meccanismo, richiedono un elevato livello agonistico ed atletico della prestazione. A maggior ragione contro una squadra come quella di Allegri.  

La Juventus ha fisicità in abbondanza per pareggiare o, addirittura superare, quella notevole dei bergamaschi. Inoltre, i bianconeri hanno un gioco offensivo poco codificato in cui spesso la superiorità ricercata ed ottenuta è di tipo tecnico, frutto delle giocate individuali dei suoi campioni. Contro le marcature a uomo, che pongono poco l’attenzione sul controllo degli spazi, la superiorità numerica e posizionale è spesso regalata dal superamento in dribbling di un avversario o, comunque, dalla vittoria di un duello individuale, e proprio per questo, la Juventus può soffrire meno di altre squadre la fase difensiva dell’Atalanta. L’andamento del match dipenderà, probabilmente, dalla capacità dei marcatori atalantini di contenere gli attaccanti bianconeri, oltre che dalla capacità di Gasperini di trovare nei suoi uomini le energie atletiche e mentali indispensabili per sostenere il dispendioso e brillante calcio dell’Atalanta.

4. Bologna-Genoa: il peso dei nuovi acquisti

Bologna e Genoa hanno messo mano alla loro rosa nel mercato di gennaio e i nuovi acquisti sembrano poter incidere in maniera significativa sul destino delle due squadre.

Blerim Dzemaili ha fatto avanti indietro tra il Bologna e i Monteal Impact, l’altra squadra del presidente rossoblu Joey Saputo. Tornato a gennaio dal Canada, Dzemaili è stato immediatamente schierato da Donadoni. In pratica è come se lo svizzero non se ne fosse mai andato: la scorsa stagione è rimasto al Bologna fino a 4 giornate dalla fine e da novembre, al termine della MLS, era tornato a Casteldebole ad allenarsi. Dzemaili ha ricominciato esattamente da dove aveva finito, segnando un gol al suo esordio contro il Benevento e imponendosi nelle 5 partite sino ad ora giocate, come il centrocampista della sua squadra che conclude più frequentemente verso la porta avversaria (1,3 tiri ogni 90 minuti). Il suo contributo di inserimenti offensivi e conclusioni a rete sarà prezioso per la stagione del Bologna.

Gli infortuni di Verdi e Palacio aprono invece le porte per un impiego continuativo di Riccardo Orsolini, arrivato in prestito dalla Juventus dopo la prima parte di stagione passata sulla panchina dell’Atalanta. Orsolini ha già giocato da titolare la partita con l’Inter nella quale per la verità non ha brillato, ben controllato da D’Ambrosio. È un giocatore diverso da Verdi e dallo stesso Palacio. Partendo dalla sua zona preferita di attaccante di destra, non possiede la sensibilità tecnica di Verdi o la capacità di attaccare la profondità di Palacio. Sembra ancora troppo meccanico nella sua ricerca del dribbling spostandosi la palla sul suo piede forte entrando dentro il campo e nel cercare il cross e le conclusioni con il suo amato piede sinistro. In aggiuntam i suoi movimenti senza palla per ricevere il pallone sono ancora poco sviluppati. Tuttavia la possibilità di giocare da titolare in una squadra senza troppi problemi di classifica potrebbe essere importante per la crescita di Orsolini. Sta a lui approfittare delle momentanee assenza dei compagni di squadra per guadagnare minuti e la fiducia di Donadoni.

Sull’altra panchina, Davide Ballardini ha già praticamente salvato il Genoa (qui un'analisi accurata del suo sistema di gioco) che grazie a un rendimento da Champions League è ormai a 14 punti dalla zona retrocessione. Un buon contributo alle recenti fortune dei Grifoni è stato fornito dalle due nuove mezzali arrivate a gennaio, Davide Bessa e Oscar Hiljemark. I due hanno giocato ai fianchi del mediano Bertolacci nel 3-5-2 con cui il Genoa ha battuto l’Inter la scorsa giornata, svolgendo compiti complementari nella fase offensiva della squadra. Bessa, ex trequartista dalle ottime doti di palleggio, ha interpretato il ruolo di mezzala di possesso aiutando la circolazione della palla; Hiljemark ha invece fornito il contributo dinamico e gli inserimenti profondi necessari in una squadra che gioca prevalentemente di ripartenza e svuota l’attacco con i movimenti di Goran Pandev.

Lo svedese è tornato al Genoa dopo i 6 mesi di prestito al Panathinaikos, dove comunque aveva messo a segno 2 reti e 4 assist. Ha corsa, fisico e doti di inserimento che sono e saranno preziosi nell’equilibrio tattico del Genoa di Ballardini. Bologna-Genoa sarà una buona occasione per vedere come i nuovi acquisti hanno variato la fisionomia delle due squadre.

L'autogol di Ranocchia (qui sopra) è anche un po' merito di Hiljemark, che vince un contrasto aereo con Karamoh a centrocampo e si butta nel cuore dell’area a ricevere il cross dalla fasce. Un bignami della mezzala svedese in occasione del primo gol del Genoa contro l’Inter.

5. Il momento di forma di Diego Laxalt

La carriera di Laxalt ha avuto alcune svolte impreviste: ad esempio, fu l’Inter a portarlo in Italia, ma con la maglia nerazzurra non è mai sceso in campo. Non lo ha aiutato, forse, la confusione che c’è stata, fin dal principio, sul ruolo in cui utilizzarlo al meglio. Secondo la pagina che la versione inglese di Wikipedia gli dedica, Laxalt è un trequartista. I reportage dal torneo sudamericano Sub-20 del 2013 lo descrivono invece come un regista basso alla Gargano, centrocampista uruguagio all’epoca in forza all’Inter. Pioli a Bologna, nella sua prima stagione italiana, lo impiega da mezzala sinistra in un centrocampo a tre. È Gasperini a trovargli una collocazione definitiva come esterno a tutta fascia nel suo 3-4-3.

La stagione 2017/18 di Laxalt sembrava scivolare nell’anonimato, insieme alle difficoltà del Genoa di Juric. Ad un certo punto, addirittura si è ipotizzato per Laxalt un futuro lontano da Genova, inserito in uno scambio col Torino per Acquah o diretto a Bergamo, figliuol prodigo di nuovo alla corte del Gasp. La nuova esplosione di Laxalt è coincisa con l’arrivo di Davide Ballardini sulla panchina dei rossoblu. Il tecnico ravennate ha adottato un paio di accorgimenti tattici che sono andati tutti a beneficio dell’istinto verticale di Laxalt.

Innanzitutto Ballardini ha infoltito il centrocampo, passando de facto al 3-5-2. Dal lato di Laxalt ha spesso giocato un centrocampista di quantità come Bertolacci: in una configurazione del centrocampo non più a 2, ma a 3, Laxalt si è sentito legittimato a osare di più in fase di possesso. Inoltre l’inserimento dal lato opposto di un esterno con attitudini difensive più spiccate, come Biraschi o Pereira, ha trasformato Laxalt in un’ala vera e propria.

Il cambiamento è nei numeri: Laxalt da inizio novembre, momento in cui si è concretizzato il cambio di guida tecnica, ha realizzato 2 gol, ha servito 1 assist e 5 passaggi chiave. Insomma, se l’esperienza di Laxalt al Grifone è davvero al tramonto, l’uscita di scena che l’uruguaiano sta preparando sembra essere spettacolare.

6. Cagliari-Napoli (lunedì): come può una "piccola" mettere in difficoltà la squadra di Sarri?

Affrontare il Napoli oggi, per il livello di sofisticazione tattica che l'ensemble di Sarri ha raggiunto, è un’impresa titanica per tutte le squadre del nostro campionato. Lo scorso anno gli azzurri avevano difficoltà ad attaccare le difese chiuse (basti pensare a come il Palermo aveva difeso la propria porta, con una prima linea da quattro uomini e una seconda da cinque, per riuscire a strappare il pareggio al San Paolo dopo il gol iniziale di Nestorovski). E forse, proprio per avere una soluzione alternativa in simili scenari, il Napoli acquistò lo scorso gennaio la torre Pavoletti. In questa stagione, invece, gli azzurri si sono ancor di più aggrappati ai loro principi di gioco, grazie ai quali stanno ottenendo i risultati sperati. I movimenti coordinati incontro e in profondità, che seguono i dettami del gioco di posizione, riescono sempre a disordinare le retroguardie avversarie.

Il pressing dei partenopei ha generato il più alto numero di palloni recuperati nella metà campo avversaria di tutta la Serie A (22,9 recuperi a partita contro i 17,8 della Roma), guadagnando l’opportunità di attaccare una difesa mal posizionata. Inoltre il gioco del Napoli, e di Jorginho in particolare, ha aggiunto una dimensione verticale nuova, che permette agli azzurri di raggiungere le punte prima che la difesa avversaria possa formare la propria testuggine.

Se si parte battuti, tanto vale prendersi dei rischi. È quello che deve aver pensato De Zerbi, quando col suo Benevento ha affrontato il Napoli lo scorso 4 febbraio. I giallorossi hanno provato ad attirare i giocatori del Napoli verso la propria area di rigore, sfidandoli con una costruzione bassa molto coraggiosa. Grazie ad una elevata precisione tecnica, soprattutto in alcuni elementi come Sandro e Djuricic, il Benevento è riuscito a impensierire il Napoli uscendo dal pressing e attaccando lo spazio creato alle spalle della difesa azzurra.

Il Cagliari dovrà cedere alla tentazione della giocata più semplice tra tutte: il lancio lungo verso la testa o il petto di Pavoletti, che può proteggere il pallone, in attesa che il resto della squadra risalga il campo. Gli isolani hanno in Joao Pedro, Barella, Ionita e Faragò, oltre al giovane Romagna, gli elementi per tentare una costruzione dal basso più ardita, più rischiosa ma anche più redditizia.

7. Samp-Udinese: le fragilità difensive della squadra di Giampaolo

Nel modulo col centrocampo a rombo, come quello che sta facendo le fortune della Sampdoria di Giampaolo, la copertura dell’ampiezza ricade principalmente sul laterale della difesa a quattro e sull’interno di centrocampo. In particolare il compito delle mezze ali è davvero improbo, per il livello di attenzione e di fatica che è loro richiesto.

Contro il Milan, ad esempio, il gol partita dei rossoneri è nato da una mancata copertura di Edgar Barreto su Bonaventura. Il sampdoriano è in ritardo fin dall’inizio dell’azione, che si sviluppa a destra, cioè dal lato opposto rispetto a quello di sua competenza. L’inserimento di Bonaventura è completamente perso di vista dalla linea difensiva a quattro: Murru ha a che fare con l’avanzata di due avversari, mentre il resto della difesa scappa all’indietro a protezione della porta. L’attenzione dei quattro, come accade nei sistemi difensivi a zona, è tutta per la palla. Barreto avrebbe dovuto tenere le distanze con gli altri due centrocampisti blucerchiati, restando comunque più basso di Torreira.

Anche in Sampdoria-Torino, è stato pescato Iago Falque in isolamento, con un cambio di gioco lungo in orizzontale: l’ala spagnola ha potuto puntare Murru, dando l’idea di poterlo saltarlo e creare quindi un pericolo all’interno dell’area di rigore, e il raddoppio di Linetty è stata tardivo e frettolosa, Falque ha intravisto il movimento di Acquah, nello spazio liberato proprio da Linetty al limite dell’area, e piuttosto che puntare il fondo per il cross ha servito l’assist per il gol del compagno di squadra con un semplice retropassaggio rasoterra.

Per Giampaolo non sarà semplice trovare un rimedio ad una carenza strutturale. Tanto più contro una squadra come l'Udinese che utilizza molto le catene laterali del 3-5-2. Giampaolo potrebbe trarre ispirazione dal lavoro di Sarri ad Empoli (da cui ha mutuato il suo rombo): a quei tempi il tecnico toscano chiedeva un sacrificio in copertura enorme alle due punte, che in fase di non possesso dovevano allargarsi sui terzini avversari. Certo, si tratta di un lavoro nel quale è difficile immaginare che il trentacinquenne Quagliarella e il gigante Zapata possano spendersi con profitto.

8. Lazio e Sassuolo: due attacchi molto diversi

Il mese di febbraio ha eroso una parte della produzione offensiva della Lazio, che fino a qualche settimana fa era una delle squadre più prolifiche d’Europa. Nonostante la media realizzativa dei biancocelesti sia passata da 2,7 a 2,4 gol a partita, non si può considerare in crisi una squadra che ha segnato appena un gol meno della Juventus, che ha il miglior attacco del campionato con 62 reti.

La Lazio troverà sulla propria strada il Sassuolo, che ha di gran lunga il peggior attacco del campionato con sole 15 reti messe a referto. Persino il bistrattato Benevento ha segnato 3 reti più dei neroverdi di Iachini. Le statistiche avanzate, come gli Expected Goals, aiutano a definire i contorni della prestazione offensiva delle due squadre. Una squadra con la stessa produzione offensiva della Lazio avrebbe dovuto segnare in media 36,9 reti, cioè 17 in meno della Lazio, escludendo i rigori. Le occasioni generate dal Sassuolo, secondo la media statistica, sarebbero valse 27,3 gol, ovvero 14 in più di quelle realmente messe a segno dagli emiliani. A cosa è dovuta la prestazione sopra le aspettative della Lazio? E quella al di sotto delle attese del Sassuolo?

Per quanto riguarda i volumi di gioco, Lazio e Sassuolo arrivano al tiro quasi con la stessa frequenza: i biancocelesti prendono in media 14,7 tiri per partita, settimi in Serie A per numero di conclusioni; i neroverdi tirano 13,2 volte a partita verso la porta avversaria, decima prestazione assoluta del campionato. Lazio e Sassuolo effettuano lo stesso numero di conclusioni dalla distanza,5,7 a partita. I biancocelesti si avvantaggiano sui neroverdi per arrivare al tiro dall’interno dell’area di rigore una volta e mezza in più a partita. La differenza enorme tra le due squadre sta in un altro fattore: la precisione, cioè nel rapporto tra i gol e i tiri. La Lazio ha, con la Juventus, la miglior percentuale realizzativa del campionato (converte in gol il 16% di tutti i tiri che effettua); il Sassuolo ha quella peggiore, perchè trasforma in rete solo il 5% dei propri tiri.

Il dettaglio statistico dei singoli restituisce una separazione ancora più grande. Tra gli attaccanti con più di 50 tiri effettuati in stagione, Ciro Immobile è secondo solo a Mauro Icardi per la precisione nella battuta a rete: l’attaccante italiano converte in gol praticamente un tiro ogni 5. Anche Milinkovic-Savic e Luis Alberto, nominalmente dei centrocampisti, hanno superato la soglia delle 50 conclusioni e hanno una precisione di tiro di tutto rispetto (rispettivamente del 12% e dell’11%).

Nel Sassuolo, solo Politano e Berardi hanno superato la quota indicata, ma entrambi hanno un basso successo perchè la maggior parte delle volte tentano un tiro da fuori area, da posizioni da cui è difficile segnare, statisticamente. L’unica speranza per Iachini è rappresentata da Kouma Babacar, arrivato a gennaio dalla Fiorentina, che ha segnato un gol al suo nono tentativo: una percentuale realizzativa dell’11% è già più alta di quella avuta da tutti gli attaccanti del Sassuolo fino a questo momento.