Inter-Milan, Milito sul derby: "Spero che Lautaro sia decisivo. Temo Higuain e Suso"

Serie A

In una lunga intervista rilasciata ai microfoni del Corriere dello Sport, Diego Milito ha parlato ovviamente della 'sua' Inter in vista del derby ("Spero vinca l’Inter e che Lautaro sia decisivo") ma anche di molto altro: dall’arrivo in Italia ("Essere un po’ italiano mi ha aiutato"), all’idolo Maradona ("Quando divenne il mio allenatore ero shoccato") e non solo. Le parole del 'Principe'

INTER-MILAN LIVE

Aria di derby a Milano. Domenica, ore 20.30 va in scena Inter-Milan. Uno che sa come giocare e risultare decisivo in questo tipo di partite è sicuramente Diego Milito, che ai microfoni del Corriere dello Sport si è raccontato a 360°, partendo ovviamente dal derby di domenica: "Sarà una partita molto equilibrata. Sono partite uniche, particolari. Si vince con la concentrazione, con la grinta, più che con la classe sopraffina. Sono partite sempre molto chiuse e i particolari fanno la differenza, nel risultato. Ricordo il primo che ho fatto a San Siro. Il 4-0 è stato sicuramente uno dei più belli. Giocammo una grandissima gara". Su chi potrà essere l’uomo derby invece: "Mi auguro possa essere Lautaro Martinez. Lo conosco, è un ragazzo fantastico. Spero che vinca l’Inter, anche se il Milan ha grandissimi giocatori ed è in grado di fermare i nerazzurri se non saranno concentrati. Tra i milanisti, se devo dire quelli che fanno più paura, citerei Higuain e Suso". È tornato a parlare anche della 'sua' Inter: quella del Triplete. "Eravamo veramente un grandissimo gruppo. Non solo campioni, ma anche belle persone. Come giocatori eravamo un gruppo straordinario con un sogno: vincere la Champions. Io sono arrivato all’Inter e mi hanno fatto subito capire che l’obiettivo era vincere la coppa. Mi sono sempre detto di essere stato fortunato a far parte di un gruppo così: ragazzi con un grande cuore, grinta e con grande talento. E insieme abbiamo fatto qualcosa che resterà nella storia del calcio. Non solo in quella dell’Inter". Un titolo, la Champions, a cui punta la Juve quest’anno senza nascondersi. Per Milito i presupposti per vincerla ci sono tutti: "Ha grandissimi giocatori ed è una squadra abituata a vincere. Messi o Ronaldo? Messi è un grandissimo campione, è straordinario. È lui il migliore".

Gli inizi di carriera

Rewind del 'Principe'. A partire dai primi calci al pallone: "Ho iniziato a giocare coi calzoncini corti nel mio quartiere a Buenos Aires, Quilmes, in una squadra del Rione che si chiamava Pico Bueno. Poi, all’età di nove anni sono andato al Racing di Avellaneda. Ho fatto tutto il percorso fino alla prima squadra e nel ’99 ho esordito da titolare". Sulle sue origini: "Mamma era casalinga, stava sempre con noi. Papà invece metallurgico e ha ancora una piccola azienda a Buenos Aires. I miei nonni paterni erano calabresi, di Terranova da Sibari in provincia di Cosenza – continua Milito -. Sento tantissimo il legame con questa terra perché ho avuto la fortuna di crescere a fianco a mio nonno e a mia nonna, che mi raccontavano sempre dell’Italia, il loro paese. Ho sempre sentito questa doppia identità e infatti sono sia argentino sia italiano. Anche se mio papà è nato là, noi siamo cresciuti in una famiglia italiana". Ha parlato anche degli idoli di infanzia: "Enzo Francescoli. Mi hanno sempre detto che gli assomigliavo anche di faccia. Sono nato con un pallone sotto il braccio e ho sempre tifato Racing. Il calcio è sempre stato la mia vita. Nel quartiere poi ci incontravamo la domenica mattina per stare davanti al televisore e vedere le partite di Maradona al Napoli. Lui era il nostro idolo, il mito lontano". Pensate un po’ che significa essere allenati dal proprio mito: "Inizialmente era tutto emozionante. Averlo davanti e non vederlo solamente su teleschermo era shoccante. Poi, col tempo, è diventato tutto più naturale. È molto bravo anche come tecnico, ma d’altra parte parliamo di uno dei migliori giocatori della storia. Capisce molto di calcio. Con lui in nazionale è stata un’esperienza felice". Se c’è un rimpianto per Milito però, forse è quello di aver giocato in nazionale meno di quanto avrebbe potuto: "Mi sono sempre chiesto il perchè. In nazionale abbiamo sempre avuto grandi attaccanti. Sono fortunato ad aver giocato un Mondiale e due Coppe America. Sicuramente mi sarebbe piaciuto giocare molto di più ma capisco che a volte c’è molta concorrenza e per gli allenatori è difficile scegliere. Mi rimane solo il rimpianto di non aver disputato il Mondiale in Germania nel 2006".

L'arrivo in Italia e l’esperienza in Europa

Quando Milito arrivò in Italia al Genoa, non fu semplice: "È stata dura perché per me è stata una sfida sia professionale sia umana. Quando l’ho detto ai miei pensavo di stare tre anni e mezzo a Genova per la durata del contratto e poi di tornare a Buenos Aires. Invece mi sono fermato quasi undici anni in Europa, tra Italia e Spagna. È stato bellissimo ma non facile. Quando presi l’aereo dall’Argentina mi dissi che sarei dovuto essere forte mentalmente. Per fortuna essere italiano mi ha un po' aiutato". Ha vissuto e amato la sua Genova e quando ha saputo della tragedia relativa al Ponte Morandi si è sentito toccato nel profondo: "Lo attraversavo ogni giorno per andare ad allenarmi. È stata una tragedia. Ero in Argentina e sono rimasto di sasso. Ho cercato subito i miei amici a Genova. È una ferita che ha spezzato la città in due e non solo fisicamente".

Dal gol più bello al miglior allenatore avuto

Infine, l’argentino ha fatto una specie di panoramica sulla sua carriera. A partire dal gol più bello: "Quello della finale di Champions, il secondo gol al Bernabeu, per bellezza e importanza. Anche quello della finale di Coppa Italia con la Roma è stato molto bello". Il giocatore più intelligente dentro e fuori dal campo col quale ha giocato: “Cambiasso, non ho dubbi”. Il miglior allenatore avuto: "Domanda difficile, ho imparato da tutti qualcosa. Se devo indicarne uno solo dico Bielsa. Mi ha dato la possibilità di giocare in nazionale e mi ha insegnato molto, sia tecnicamente sia mentalmente. Ovviamente anche Mourinho è stato uno dei migliori. Dice la parola giusta nel momento giusto. Capisce i momenti e riesce a tirar fuori il 100% da ogni giocatore. Non è certo da tutti: Mou è uno dei migliori del mondo, poche storie". Il difensore più 'duro' affrontato: "Secondo me Samuel uno dei più forti, senza dubbio. Ma ovviamente anche Nesta e Maldini. Quello che mi ha picchiato di più invece, tra i tanti, è… mio fratello! Poi, Puyol e Nicolas Burdisso". Infine, i momenti più buio: la rottura del crociato nel 2013: "È stato sicuramente il momento più brutto della mia carriera. Per fortuna prima non avevo mai avuto niente di importante e in quel momento mi è caduto il mondo addosso. Ho sentito subito un dolore incredibile. Sapevo già che era un infortunio che mi avrebbe bloccato a lungo. Ma né il dolore né la rabbia hanno fatto venir meno in me la voglia di tornare, di giocare al calcio, di proseguire il mio sogno di bambino".