Torino-Genoa, Piatek sostituito fa come Roberto Baggio: "Chi, io?"

Serie A

Le tre fasi dello stupore sono le stesse: sguardo perso, un'occhiata in giro, la fatidica domanda. "Ma chi, io?". Piatek recita alla perfezione il copione del Divin Codino, quando diede del matto a Sacchi dopo la sostituzione a Usa '94. Ma per gli allenatori resta tutta una questione tattica

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Lo sguardo spaesato, la faccia incredula, la testa che ruota a destra e a sinistra a caccia di smentite a ciò che i suoi occhi vedono ma non si rassegnano ad accettare. Sì, il numero indicato sulla lavagna luminosa delle sostituzioni è proprio il suo. Possibile? Ci deve essere un errore, pensa il campione in quegli istanti. Non gli resta che chiedere conferma: “Chi? Io?”. Quando da bordocampo annuiscono, confermandogli che “sì, tu”, l’uscita di scena è teatrale. Passi lenti, scuotendo la testa e farfugliando qualcosa, poi uno svogliato cinque ai compagni che lo attendevano in panchina.

Il copione è lo stesso, non c'è dubbio. Il film è un film già visto. E se il grande classico resta quello inscenato da Roberto Baggio a Usa ’94, quando diede del matto a Sacchi in mondovisione, la replica è stata affidata a Krzysztof Piatek nel corso di Torino-Genoa. Stesso sguardo perso, stesso labiale (seppur “tradotto” dal polacco Piatek), stessa passeggiata trascinata fino alla panchina mormorando chissà che. Di sicuro non frasi tenere all'indirizzo del suo allenatore.

Le tre fasi della sostituzione del campione: si guarda intorno, fa la faccia incredula, chiede conferma. Un classico che ogni tanto si ripete

Tutta una questione tattica

Simile anche il contesto tattico, ma queste sono quelle cose che interessano agli allenatori e che i giocatori faticano a comprendere. Tradotto: espulsione nei primi minuti di gioco chiama per forza la sostituzione, rinunciando a un attaccante e preparandosi a una partita di sofferenza e contenimento. Questione di equilibri, direbbe un allenatore, mentre il giocatore gli dà dello squilibrato.

Nello specifico, l’espulsione di Pagliuca contro la Norvegia - era il 23 giugno 1994, per la precisione - obbligò Sacchi a inserire Marchegiani tra i pali rinunciando a un attaccante, scelta che ricadde sul Divin Codino ("Avevo bisogno di gente che corresse molto e di un attaccante che allungasse la squadra avversaria partendo nello spazio, senza palla", la giustificò l'Arrigo a noi comuni mortali), mentre in Torino-Genoa siamo solo alla mezz’ora quando l’espulsione di Romulo costringe Juric a rivedere i suoi piani, e per inserire Gunter, un difensore, va tolto uno là davanti, con ballottaggio Piatek-Kouamè “vinto” dal polacco.

La sfortuna di Juric

Poi però con le analogie ci fermiamo qui, perché è comunque vero che da una parte c’era Robi Baggio impegnato in una gara già decisiva per il Mondiale degli azzurri, Mondiale e squadra di cui lui era la stella più attesa, mentre di qua c’è quello che è ancora un astro nascente del calcio europeo, che però pare già ispirarsi ai migliori non solo nelle giocate sul campo.

Così come diverso è stato l'esito delle due partite, con Sacchi salvato da un altro Baggio (Dino, autore del gol-vittoria) grazie al quale uscì vivo dal suo rischiosissimo azzardo tattico, mentre Juric, illuso da Kouamé (l'attaccante che aveva scelto di tenere in campo), è stato poi rimontato finendo per perdere 2-1. L'allenatore del Genoa potrà comunque consolarsi pensando che la fortuna va e viene. Raccontò anni dopo Sacchi che, nella mitica partita contro la Nigeria in cui il Mondiale dell'Italia svoltò, era stato lo stesso Baggio, stremato, a chiedergli il cambio nel finale, ma lui aveva dovuto negarglielo, avendo già finito le sostituzioni. Quel Baggio rimase in campo per una scelta del destino, e sappiamo tutti come andò a finire.