"Io sono anche quelle lacrime"

l'intervista
Paolo Condò

Paolo Condò

Nel giorno della morte di Mihajlovic, Paolo Condò ha rivissuto le emozioni provate durante quell'intervista del 2016: due ore di dialogo ed emozioni con Sinisa, fino alla commozione. La confessione di una vita speciale

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Quando si conclude un’intervista ci si chiede sempre quale titolo possa sintetizzare al meglio il senso del dialogo con chi ha avuto la cortesia, il desiderio, il coraggio di raccontarsi davanti a una telecamera. Quel giorno dell’inverno 2016, ancora colpito - come tutta la troupe - dalla generosità e dalla passione con la quale Sinisa Mihajlovic per due ore aveva ripercorso la sua vita, pensai al libro di memorie del grande Pablo Neruda, “Confesso che ho vissuto”, perché esattamente di una confessione si era trattato, e di una vita così speciale, così assaporata in ogni suo spicchio, da lasciare emozionati. 

L’apice della carriera

Sinisa sembrava allora all’apice della sua carriera da allenatore, perché per quanto ai ferri corti con Silvio Berlusconi, che di lì a poco l’avrebbe esonerato, anche il Milan minore dell’epoca era comunque il Milan, un club che agitava milioni di cuori e al cui rilancio non poteva mancare molto. Mihajlovic vi si era aggrappato con tutto se stesso, anche se la sua proverbiale dignità gli impediva di pronunciare quelle parole concilianti che gli avrebbero permesso di conservare la panchina: anzi, teneva a riaffermare le sue convinzioni su moduli e gestione tecnica, convinto che il suo carattere sarebbe stato apprezzato.

L’inferno della guerra

Sinisa aveva allora usato quell’intervista per raccontarsi fino in fondo, per far capire da quale pozzo di esperienze terribili - le guerre balcaniche - era riemerso. Da quale infanzia in una famiglia divisa a metà fra serbi e croati. Da quale giovinezza piena di sogni sportivi presto realizzati, e dall’oggi al domani spazzati via da un odio del quale era impossibile rendersi conto fino in fondo. Mihajlovic raccontò di un ex compagno della nazionale jugoslava che gli promise di sterminare la sua famiglia. Gli chiesi se ci fosse del pregresso fra loro risalente a quando ancora giocavano assieme, e lui rispose allargando le braccia: “Eravamo grandi amici”. Le guerre balcaniche sono state questo.

Lo zio nelle mani di Arkan

L’intreccio fra i racconti calcistici e quelli di vita fu inestricabile, e particolarmente lungo: rimanemmo a parlare per due ore buone, passando dagli episodi picareschi - una rissa in un locale d’estate, quando lui, Couto e Stam erano andati a farsi una birra, e qualche pazzo aveva attaccato briga con quei tre armadi - a quelli teneri e commoventi, a una delle storie più feroci che abbia mai sentito. Uno zio croato, che allo scoppio della guerra aveva giurato di uccidere tutti i cugini serbi, era caduto nelle mani di Arkan, il criminale che, da vecchio leader degli ultrà della Stella Rossa, Sinisa conosceva bene. Mentre stava per essere giustiziato, l’uomo aveva pensato bene di gridare che Mihajlovic era suo nipote, e che Arkan gli telefonasse per conferma. Così Sinisa aveva ricevuto la chiamata attraverso la quale poteva dare la vita o la morte allo zio, e malgrado i bellicosi progetti del tizio aveva detto ad Arkan di risparmiarlo, e così era stato.

Io sono anche quelle lacrime

La malattia si è portata via un uomo di 53 anni che quanto a esperienze accumulate ne aveva vissuti molti di più. Un uomo sincero ai limiti della brutalità, intelligente e tagliato con l’accetta, sensibile fino alle lacrime quando, nel passaggio più drammatico di quell’intervista, si commosse pensando agli occhi svuotati di ogni umanità di un bambino incontrato accanto alla sua vecchia casa distrutta. Fece interrompere la registrazione dopo che la voce gli si era incrinata, e tutti ovviamente obbedimmo. Il giorno dopo, in fase di montaggio, lo chiamai per chiedergli se potevamo mantenere quel racconto troncato, perché il suo impatto emotivo era comunque di una potenza rara, o se preferiva che lo tagliassimo per mantenere riservato il suo travaglio interiore. Sinisa disse di metterlo, senza tentennamenti. “Io sono anche quelle lacrime” sentenziò con orgoglio. Ora che le lacrime sono nostre, è il momento di raccontarlo.