Sinisa era di tutti

il ricordo
Giorgio Porrà

Giorgio Porrà

Le cicatrici del passato, il senso della sfida che ha caratterizzato tutta la sua vita, la scelta di rendere pubblica la malattia mostrandosi uomo, con tutte le sue paure. Nel ritratto di Giorgio Porrà tutta la forza simbolica di Sinisa Mihajlovic 

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Libero. Fiero. Verticale. Sinisa è volato via come aveva vissuto. Sino alla fine coerente con se stesso. Da Vukovar, la sua culla, alla conquista del mondo. Coppe, scudetti, punizioni cicloniche, talenti lanciati. Il viaggio travolgente di un uomo nato per sfidare e sfidarsi

Mai ostaggio di nulla e nessuno

Delle cicatrici del conflitto balcanico e neppure del proprio male. Perché il transito nel lato notturno della vita - questo è il cancro, qualunque cancro - non lo aveva derubato della sua dignità. Anzi, ne aveva amplificato il prepotente desiderio di “normalità”. Ne aveva lucidato gli artigli, l’orgoglio, l’istinto del combattente. 

La malattia pubblica

Mai si era visto uno sportivo, un allenatore gestire così pubblicamente la sua malattia. Una lucida, sofferta scelta di civiltà. Condivisa con una comunità, via via sempre più ampia, più partecipe, più fiduciosa, che aveva stretto con lui un patto del cuore, sorta di miracolo, nell’età del rancore diffuso, selvaggio. Aveva deciso di farlo alla sua maniera. Anche insegnando tattica a distanza da una camera sterile. Anche mostrando in panchina il fisico provato, i chili persi, il volto scavato. Anche abbracciando idealmente i suoi ragazzi dalla finestra di un ospedale. Anche riemergendo con serenità dalle tenebre, consapevole della necessità di tenere alta la guardia. E di ispirare gli altri, dotandoli degli strumenti giusti per affrontare la scoperta della vulnerabilità, per spiegare che una diagnosi nefasta non è mai una buona ragione per dimettersi da se stessi. Anzi, a volte diventa opportunità per allargare il proprio mondo, non per restringerlo. Mai smettendo di nutrirsi di affetti, lavoro, passioni. Per continuare a respirare l’energia familiare. 

Uomo, non superuomo

Mihajlovic lo aveva fatto da uomo, non da superuomo, andando oltre la retorica del guerriero in battaglia, spogliando il cancro delle sue connotazioni più lugubri, declassandolo a malattia ordinaria, dialogando costantemente con la paura, con tutte le fragilità connesse. Beh, tutto questo ci aveva sbalordito, commosso, confortato, illuso. Sino a convincerci che Sinisa del suo tumore sarebbe stato capace di recidere anche i tentacoli più velenosi, neutralizzando qualunque subdola recidiva. 

Lui era diventato di tutti

Non è stato così e strazia, disorienta, in questi minuti, dover prendere atto dell’improvvisa, infame traiettoria imboccata dal suo destino. Perché la lotta di Mihajlovic, la sua forza simbolica, negli anni era diventata di tutti. Lui era diventato di tutti. Il protagonista di una storia esemplare, quella di un uomo, uno sportivo che aveva cancellato l’ipocrisia di un tempo falso che si affanna a nascondere il male. E che a quel male, sino all’ultimo, ha contrapposto l’epica bellezza del suo vissuto. La storia di Sinisa, in una sola sequenza, a sceglierla tra le tante, il colpo entrato nel mito, la rincorsa, il sinistro, la palla all’incrocio. E giù applausi, a mischiarsi con le lacrime che ora non smettono di bagnare il suo meraviglioso coraggio.