Decreto legislativo crescita, ridotto regime agevolato per gli sportivi

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Il Decreto Crescita diventa legge: si riduce l'agevolazione fiscale per gli sportivi professionisti, la tassazione per gli "impatriati" sarà infatti sul 50% del reddito complessivo e non sul 30% come invece si auspicava inizialmente

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Cambia il Decreto Crescita e cambia l'impatto che questo avrà sul mondo del calcio e dello sport in generale. Dopo la fiducia ottenuta dal governo in Senato il provvedimento è stato approvato con alcune modifiche sostanziali, che riguarderanno soprattutto gli sportivi che rientrano dopo due anni di militanza estera. Ma non arrivano buone notizie per le società italiane. Con la nuova legge, infatti, si riduce l'agevolazione fiscale a vantaggio delle società che metteranno sotto contratto sportivi professionisti "impatriati" (ovvero coloro che tornano in Italia dopo aver trascorso almeno due stagioni all'estero). Per gli sportivi, infatti, si prevede che la tassazione sia applicata al 50% del reddito complessivo e non al 30% come previsto per tutti gli altri lavoratori "impatriati" e come prevedeva la prima bozza del decreto crescita anche nel caso degli sportivi. Chi opta per il regime agevolato dovrà versare un contributo pari allo 0,5% della base imponibile. Le entrate di tale contributo saranno destinate a un fondo per potenziare i settori giovanili.

Inoltre, non trova applicazione per gli sportivi professionisti la previsione, contenuta nel comma 5-bis del Decreto, in base alla quale la percentuale del 30% è ridotta al 10% per i soggetti che trasferiscono la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia. Agli sportivi professionisti, dunque, non verrà applicata la maggiorazione dell’agevolazione spettante ai lavoratori "impatriati" che si trasferiscono nel Mezzogiorno. Nessun ulteriore sconto, dunque, per le società del sud Italia.

Conte sì, Sarri no: cosa prevede la legge

La legge, ricordiamo, è applicabile a chi rientra in Italia dopo aver lavorato all’estero per due anni e si impegna a rimanere nel nostro Paese per almeno altri due anni: il provvedimento dunque è applicabile ad Antonio Conte ma non a Maurizio Sarri, a patto che Conte, dopo l’esonero dal Chelsea, abbia mantenuto la residenza fiscale in Gran Bretagna e non l’abbia spostata in Italia, cosa che non gli darebbe più diritto all’agevolazione.