Calciomercato Story, arriva il secondo straniero

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Giorgio Sigon

Nel 1982 gli stranieri tesserabili diventano due e in Italia sbarca Michel Platini (Getty Image)
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Continua il viaggio che racconta le tappe più importanti della storia del calciomercato, dalla riapertura delle frontiere ai giorni nostri. Nel 1982 via libera al secondo straniero. Il top fu Platini, il flop fu Caraballo

Nel 1982 arrivò l’ok per il tesseramento di un secondo giocatore proveniente da una federazione estera. Ogni squadra quindi poteva avere in rosa due stranieri mentre le retrocesse potevano solo confermare quelli che avevano già comprato ad inizio campionato

La stagione 1980-1981 fu la seconda e ultima col limite a uno straniero per squadra e il mercato estivo portò 7 volti nuovi per una spesa totale di poco superiore ai 3 miliardi di lire. Da segnalare la permanenza di Neumann in Serie A, ma col tedesco che fu il primo giocatore, dalla riapertura delle frontiere, a cambiare maglia (passò dall’Udinese al Bologna) mentre gli altri stranieri o salutarono la nostra Penisola, oppure rimasero nelle squadre che li avevano comprati l’anno prima. In questa sessione approdarono in A, tra gli altri, Jordan al Milan, Nastase al Catanzaro e Schachner al Cesena con quest’ultimo che, al suo primo anno, chiuse la stagione con ben 9 reti all’attivo.

Il secondo straniero, già in rosa nella stagione 1982-1983, fece impennare la quantità di bonifici effettuati a squadre straniere: al termine della sessione estiva i vari presidenti avevano speso 20 miliardi e 500 milioni di lire per acquistare 18 nuovi stranieri, che aggiunti agli 11 che erano rimasti, portarono il totale dei non italiani a quota 29. Nessuna tra le 16 squadre di Serie A al via della stagione aveva una rosa di soli italiani.

Una truppa così folta ebbe il merito di riempire tutte le caselle della scala di valori che parte dal termine "campione" e che si conclude con "bidone". Dal Sudamerica arrivarono due peruviani e un uruguaiano mentre dal Vecchio Continente si pescò in Polonia, Francia, e Jugoslavia. Ricordiamo qualche nome

  • Zahoui (Ascoli): sbarcò in Italia nella stagione 81-82 e fu il primo calciatore africano nella storia della Serie A. Costantino Rozzi lo prese per una decina di milioni (di lire). Il suo problema? Era abituato a giocare scalzo. Il capolavoro del presidente dell’Ascoli fu quello di rivenderlo per 100 milioni di lire

  • Barbadillo (Avellino): i due stranieri dei Lupi furono il danese Skov e il peruviano Geronimo “Patrulla” Barbadillo. "Ma dove siamo finiti?" disse il sudamericano alla moglie appena raggiunta una città che portava ancora evidenti ferite del terremoto di due anni prima. Segnò 6 reti nella sua prima stagione. Contribuì a 3 salvezze consecutive, poi andò a Udine dove mise radici dopo il ritiro. Aprì anche un locale, il Gerry O’ che però chiuse poco tempo dopo per dedicarsi alla famiglia

  • Hansi Müller (Inter): per convincerlo ad andare all’Inter gli portarono a casa un modellino di San Siro, ma non riuscì a fare le scarpe al buon Beccalossi. Si metteva il profumo prima di entrare in campo e, in una sfida contro l’Avellino, Hansi non vide lo smarcatissimo Altobelli e non gli passò il pallone. "Spillo" la prese bene: andò incontro al compagno e gli mollò un ceffone

  • Caraballo (Pisa): il "pacco" per eccellenza. Lo prese Adolfo Anconetani, babbo del più celebre Romeo che andò in Uruguay a vederlo, ma che quando lo vide sbarcare a Pisa non riconobbe (fisicamente) al 100% il ragazzo che aveva conosciuto qualche tempo prima. "Il nuovo Schiaffino" stupì in negativo e il dubbio sullo scambio di persona restò. Il Pisa non lo cacciò: semplicemente un giorno Jorge non si presentò all’allenamento. Era tornato in Uruguay senza avvertire.

Altri arrivi? Passarella, Victorino, Berggreen, Edinho, Francis, Boniek, Dirceu e compagnia calciante ,ma questo focus riguarda la città di Torino.

1) Sarebbe dovuto finire all’Inter, ma la dirigenza lasciò scadere l’opzione sul futuro acquisto (pagata 90 milioni) ottenuta prima della riapertura delle frontiere. Furono molti a giudicarlo fisicamente e muscolarmente fragile. Anche per questo la Juventus lo pagò un quarto di miliardo. Davvero poco. Fu così che Michel Platini vestì di bianconero. Gli inizi non furono facili anche per problemi di pubalgia. 4 reti in 20 giornate. Poi l’exploit: negli ultimi 10 turni solo il Pisa si salvò dalla furia del francese che realizzò 12 reti in 10 partite. Fu il secondo transapino nella storia della Juventus, ma fu il primo straniero dalla riapertura delle frontiere a finire il proprio anno d’esordio in doppia cifra alla voce gol segnati. Furono 16 in 30 gare

2) Il 10 della Torino granata fu invece Patricio José Hernandez, che per due stagioni abitò in una bellissima casa a Pino Torinese. L’argentino, che aveva 5 fratelli e 2 sorelle, esordì con l’Estudiantes di Bilardo a soli 16 anni. Due lustri più tardi arrivò in Italia da vice Maradona (nel senso che in Nazionale era davvero la riserva del "Pibe"). Sguardo perso nella tristezza, unito a un rendimento troppo altalenante. Ad Hernandez piacevano arte, cultura e musica italiana (Cocciante e Venditti su tutti). Ebbe subito le idee chiare: prima calciatore e poi allenatore. Tornato in Argentina, leggenda narra che pur di ottenere il passaporto italiano, arrivò a scrivere una lettera di richiesta al nostro Presidente della Repubblica.