Donnarumma: "Rinnovo? Cerco casa a Milano, questa è la mia città"

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Gigio Donnarumma, portiere del Milan (fonte lapresse)
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Il giovane portiere parla del suo futuro: "Cerco casa a Milano, un appartamento bello e grande in centro. Rinnovo? Tutte le parti di questa trattativa conoscono la mia volontà, sono molto legato ai rossoneri"

Anche l’attaccante è stato trovato, Andrè Silva sarà il prossimo centravanti del Milan. I rossoneri hanno iniziato alla grande questa campagna acquisti ma, oltre al mercato in entrata, sono anche concentrati sulla questione riguardante il futuro di Gigio Donnarumma. I rossoneri hanno presentato la loro, importantissima, offerta al giovane portiere classe ’99 ed ora attendono la risposta.

"Sono molto legato al Milan"

E finalmente Donnarumma è tornato a parlare del suo futuro, in un’intervista che verrà pubblicata sul numero di GQ in edicola domani. "Sto cercando casa a Milano - si legge in un'anticipazione - Un appartamento grande, dove ci sia spazio per tutti i miei cari, e siccome il centro di Milano è bellissimo lo cerco lì. Mi sento pronto. Futuro? Sono sereno, perché tutte le parti di questa trattativa conoscono la mia volontà. Con Mino ed Enzo Raiola, che fu il primo a notarmi, e con la mia famiglia formiamo una squadra. Sono molto legato al Milan. Io erede di Buffon? Lui è un mito, il classico tipo che riesce a farsi voler bene da tutti - dice Donnarumma - Scherza, tiene su l’ambiente, a me ha dato un sacco di consigli. Quando ci alleniamo insieme cerco di rubargli i segreti del mestiere, perché tecnicamente è fantastico".

"Già da piccolo paravo dei tiri che non dovevo parare"

Donnarumma, poi, parla anche del suo passato e degli inizi al Club Napoli: "Avevo quattro anni, mi ci aveva portato lo zio Enrico, che purtroppo se ne è andato troppo presto – racconta - Poi cominciò ad accompagnarmi mia madre, sono molto mammone. E per quanto le categorie crescessero in fretta, per un bel pezzo pretesi di averla dietro alla porta, che altrimenti mi mettevo a piangere. Credo che la situazione avesse del grottesco: questo ragazzo grande e grosso − ero fuori scala già da bambino − che lasciava increduli gli attaccanti avversari per quante ne parava, ma che appena la mamma spariva per un caffè scoppiava in lacrime. Già da piccolo paravo dei tiri che un bimbo della mia età non avrebbe dovuto parare. Sul momento non me ne rendevo conto: mi tuffavo anche se la palla era molto angolata, la pigliavo o la deviavo in angolo, tornavo subito in piedi. Ecco, era lì che alzavo lo sguardo su compagni e avversari, per scoprire che avevano tutti gli occhi sgranati, a partire da quello che aveva tirato, e che non si capacitava di come un pallone così ben diretto non fosse finito in gol. Dopo le prime volte i compagni cominciarono ad abituarsi, mi battevano il cinque e si davano di gomito, erano felici per quella specie di magia, e io con loro. Gli avversari invece cambiavano, partita dopo partita, e quell’espressione di stupefatta delusione si ripeteva su facce sempre nuove".