Calciomercato, quando la Lazio comprò De la Peña: il Piccolo Buddha accolto come un Papa

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Vanni Spinella

Nell'estate 1998 la Lazio lo paga 30 miliardi di lire, memore degli assist con cui serviva Ronaldo al Barcellona. Sbarca in Italia fuori forma, ad acclamarlo 2000 tifosi. L'inizio della parabola discendente di una carriera fatta di ritorni: anche a Roma, in giallorosso, da vice-allenatore

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Quel modo in cui affettava il campo in verticale con filtranti rasoterra di 40 metri aveva fatto innamorare Sergio Cragnotti. Un piccolo genio: ecco cosa si nascondeva dietro la testa pelata di Ivan de la Peña quando nella stagione 1996/1997, appena ventenne, si prese un posto da titolare nel centrocampo del Barcellona, accanto a un Guardiola con ancora i capelli. Corridoi che solo lui vedeva, geometrie – sempre in verticale, il tiqui-taka doveva ancora venire – semplici ma efficacissime. Uno così ti mette gli attaccanti davanti alla porta nove volte su dieci.

Diciamo la verità: Cragnotti, come tutto il resto del mondo, prima di vedere lui si era innamorato dell’altra testa pelata presente in quel Barça, quella di Ronaldo, capace di capitalizzare al massimo il lavoro del compagno in regia. Uno così, se lo metti davanti alla porta dieci volte, 9 fa gol. De la Peña vedeva gli spazi, Ronaldo ci si tuffava rivelando al mondo la sua immensa qualità quando era lanciato in campo aperto. Che coppia, i due pelati.

Mercato da sceicchi

Così, nell’estate del 1997 il presidente della Lazio tenta l’assalto a Ronnie, beffato dal sorpasso di Moratti che si porta a casa il Fenomeno. Un anno dopo, Cragnotti torna a Barcellona: se l’Inter si era presa il sasso, lui avrebbe fatto sua la fionda. Trenta miliardi di lire per il pelato piccolo. Anzi, sai che faccio? Mi compro anche un sasso nuovo. Altri 48 miliardi per Bobo Vieri, reduce da una stagione spagnola da record.

E ancora: 31 per Salas, all’epoca tra i migliori attaccanti di tutto il Sudamerica, 24 per il promettentissimo Stankovic, 22 per il sinistro armato di Mihajlovic, 18 per allargare il gioco con Sergio Conceiçao. Oltre 170 miliardi investiti con l’obiettivo dello scudetto dopo la scottatura della finale di Coppa Uefa persa contro l’Inter (tra le firme anche quella di Ronaldo, lanciato in campo aperto). È un mercato in cui non si bada a spese, il crac della Cirio arriverà solo anni dopo. Tanto che a fare scalpore tra tanti numeri è l’ingaggio di De la Peña: 6 miliardi a stagione per quattro anni, nella storia della Serie A solo Maradona e Ronaldo avevano firmato contratti più ricchi.

Sandali e assist

Il piccolo Buddha sbarca a Roma il 9 luglio 1998, visibilmente fuori forma, in t-shirt, pantaloncini e sandali di cuoio: a Fiumicino trova ad accoglierlo 200 tifosi, altri 2000 sono a Formello pronti ad acclamarlo in un bagno di folla che gli strappa un “Muy impresionante”. Colazione (coca-cola e cornetto), visite mediche, apparizione tipo Papa da un balcone, per “benedire” la folla. “Ho pronti assist per tutti”, promette. “Ronaldo mi voleva all’Inter, ma io ho scelto la Lazio perché mi ha fatto sentire importante”.

La stagione inizia con l’impegno in Supercoppa italiana contro la Juventus di Lippi. Aspettando Vieri, Eriksson lancia tutti gli altri nuovi, e la risposta è più che convincente. La Lazio vince 2-1 con gol decisivo, al 94°, di Conceiçao; Mihajlovic salva un gol fatto su Del Piero, immolandosi contro il palo; Stankovic entra nella ripresa e si fa in quattro sfiorando il gol; Salas non segna ma è sempre nel vivo della manovra offensiva. De la Peña? C’è il suo zampino in entrambi i gol, prima quando pesca in area Mancini (che poi aggancia e serve di tacco l’accorrente Nedved) e poi quando dialoga con Salas avviando con un triangolo di prima la serie di passaggi con cui la Lazio entra nell’area bianconera all'ultimo minuto, dopo il provvisorio pareggio di Del Piero su rigore. Un tocco, quello per il Matador cileno, da lezione numero uno di scuola calcio. Facile facile, ma meraviglioso nella sua semplicità. Il pelatino ha superato l’esame.

La sparizione del piccolo Buddha

Poi però qualcosa si inceppa. Eriksson, che non è mai stato il suo primo fan (“Non mi serve”, aveva detto a Cragnotti quando gli era stato proposto il suo acquisto. “Le servirà”, la risposta del presidente), lo accantona appena trova il suo “undici” ideale, in cui a centrocampo c’è la sostanza di Almeyda, Nedved e Stankovic (chiamatela solo sostanza…), mentre per i lampi di genio (assist inclusi) ci si affida a Mancini, che si abbassa e fa da raccordo. In tutto 15 presenze in campionato, solo 4 partendo da titolare (e venendo sempre sostituito), le altre subentrando nei finali di gara. Le uniche tracce del pelato nell'anno in cui la Lazio regala lo scudetto al Milan di Zaccheroni dilapidando 7 punti di vantaggio e vince la Coppa delle Coppe in finale contro il Maiorca di Cuper. De la Peña può rimettere i suoi sandali di cuoio e ripartire.

Finisce in prestito all’Olympique Marsiglia, per un’altra opaca stagione, poi la vita gli riserva un ritorno dopo l’altro: al Barcellona, nuovamente in prestito (2000-2001), dove però non è più l’idolo di casa; alla Lazio (2001-2002), dove in un anno intero si vede in campo appena una volta; di nuovo a Barcellona, ma non al Barcellona, bensì all’Espanyol, con cui si prende una piccola rivincita facendosi amare dai suoi nuovi tifosi soprattutto per una doppietta nel derby vinto 2-1 contro i blaugrana di Messi. Il primo addirittura di cabeza.

L’ultimo ritorno a Roma, ma non alla Lazio. Ha appena appeso gli scarpini, quando l’amico Luis Enrique, compagno in quel magico Barça 96/97 che sfornerà allenatori (oltre a “Lucho”, c’erano il già citato Pep, Laurent Blanc e Mourinho come assistente-traduttore), lo chiama come suo vice alla Roma. Lascerà prima ancora di cominciare, durante il ritiro estivo, a causa di problemi familiari che gli impongono di tornare a Barcellona. L'ultima apparizione del piccolo Buddha nella città che l'aveva accolto come un Papa.

De la Peña al suo ritorno alla Lazio, nella stagione 2001/2002. Nel frattempo al Barça si sono fatti una ragione del suo addio e hanno già trovato il modo di sostituirlo