Pirro, il compagno racconta Senna: "Un'opera d'arte unica"

Formula 1
Emanuele Pirro e Ayrton Senna sono stati compagni alla McLaren
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L'INTERVISTA. Il romano è stato collaudatore della McLaren che ha fatto grande Ayrton. "Lui e Prost erano come due bombe atomiche vicine. Aveva un carisma pazzesco. Buono e gentile nella vita, in pista si trasformava, come Dottor Jeckyll e Mr. Hide"

di Claudio Barbieri

Emanuele Pirro, classe 1962 di Roma, è stato collaudatore della McLaren dal 1988 al 1991. Ha corso per tre stagioni in Formula 1 con Benetton e Dallara, prima di dedicarsi al Campionato Turismo e all’Endurance. Nel suo ricco palmares spiccano le cinque vittorie alla 24 Ore di Le Mans.

Qual è stato il suo primo approccio con Senna?
"Io e Ayrton ci conoscevamo dai tempi dei Kart. Era il 1978 e lui era ancora conosciuto come Da Silva. C’è sempre stato molto rispetto fra noi e le nostre famiglie. Nel 1982 lo raccomandai alla mia squadra per il Campionato Europeo di Formula 3, perché si vedeva che era già molto bravo. Con il senno di poi, mi sarei messo in casa il compagno più forte del mondo. Fortunatamente lui aveva altri progetti e rifiutò…"

Come è stato poi ritrovarlo alla McLaren nel 1988?
"Lui era uno super competitivo, per cui nel momento in cui tu diventavi una minaccia sportiva, lui terminava di essere un amico disponibile. Aveva già in mente di battere Prost, io ero il collaudatore della sua vettura e non rappresentavo un pericolo. Per questo era sempre molto carino, prodigo di consigli."

La rivalità di Senna e Prost proseguiva anche fuori dalla pista?
"All’inizio c’era molto rispetto, i due si sono studiati per parecchio tempo. Poi però è degenerata. Erano come due bombe atomiche vicine. Una convivenza del genere è durata così tanto solo grazie alla personalità di Ron Dennis."



Com'era Senna dal punto di vista umano?
"Personalmente credo che fosse una persona molto profonda, educata e buona nella vita privata, con un grande senso della giustizia. Faceva tanta beneficenza. Ma in compenso aveva un senso di competizione così forte che a volte lo ha portato ad essere aggressivo in pista, come a Suzuka, secondo me una macchia della sua carriera. Era una specie di Dottor Jeckyll e Mr. Hide."

E invece come pilota?
"Unico, un supercampione. Era molto particolare. Possiamo catalogare Lauda e Stewart fra i meticolosi, invece Ayrton aveva carisma e intensità, caratteristiche che erano solo sue."

C'è qualcosa che gli ha visto fare in pista e che lo ha impressionato?
"Quando ero collaudatore McLaren, prima del GP in cui si giocò il Mondiale nel 1991, mi chiesero di riprodurre in una simulazione in pista la staccata e la scalata di Ayrton nella gara precedente. Guardammo la sua telemetria. A 13.900 giri il motore si sarebbe rotto: per tutta la corsa cambiò fra i 13.500 e i 13.800 giri. Una cosa pazzesca. Aveva un controllo e una precisione incredibili."

In questi ultimi 20 anni, la Formula 1 ha più trovato un altro Senna?
"Ayrton era un'opera d’arte: non si può dipingere un'altra Gioconda. Non so se è stato il più forte di sempre, perché Schumacher per esempio ha vinto di più. Ma la gente ha sempre percepito la sua forza, il suo coraggio, l'intensità. Arrivava stremato al traguardo perché dava tutto, cosa che forse manca alla Formula 1 di oggi. Non si vergognava di far fatica: anche in questo è stato unico."