Rosberg, occhio alle spalle: storia di due ex amici in lotta

Formula 1
Nico Rosberg, leader del Mondiale di F1. Alle sue spalle, anche in questa foto, Lewis Hamilton (Foto Getty)
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Undici punti dividono in classifica le loro Mercedes. La battaglia in pista li ha messi uno contro l'altro, per una rivalità che forse c'è sempre stata, sin da bambini. E quella volta che in un hotel dissero a Nico: "Benvenuto, signor Hamilton"

di Lucio Rizzica

Quando il 26 novembre dello scorso anno gli addetti di un noto Hotel di Ginevra ricevettero l’illustre ospite Nico Rosberg sorridendogli un cordiale "Benvenuto Mister Hamilton", il tedesco sdrammatizzò rispondendo "Nessun problema, può capitare, ci somigliamo ed è facile confonderci". Altri tempi. Oggi Rosberg metterebbe subito il muso e Hamilton probabilmente querelerebbe per diffamazione gli incauti receptionisti per uno scambio di persona che farebbe sorridere il mondo intero ma non più loro, coppia scoppiata per eccellenza del paddock di Formula 1.

La loro convivenza in Mercedes è sempre meno semplice, l'amicizia durata anni è un ricordo lontano e non è solo questione di rivalità in pista. Non che Rosberg si diverta a cospargere di infiammabili il retrotreno della monoposto di Hamilton per mandarla arrosto, non fino a questo punto, ma sicuramente ad Hamilton il sospetto che la sua Mercedes non faccia fuoco e fiamme tutta da sola è venuto. Specie dopo quanto è accaduto in seguito all'aver lanciato ufficialmente la sua sfida all'ex amico ora nemico alla vigilia del GP d'Ungheria. La frase "Sto facendo tutto il possibile per competere allo stesso livello di Nico nella lotta per il titolo", riletta con un traduttore simultaneo dalle parole di circostanza al linguaggio diretto suona più o meno come: "Io ce la metto tutta e ce la metterò tutta, ma per quanto possa fare c'è sempre qualcosa che mi frega mentre a lui va tutto dannatamente bene…".

Per cui si spiega anche meglio il perché, complice Giove Pluvio, l’unico fattore variabile che non si può controllare dai box e dal muretto, Lewis abbia impedito a Rosberg di passare nel finale di gara quando, all'Hungaroring, Nico gli è piombato alle spalle idealmente sfanalando come un ossesso. Lewis fino ad allora era già partito dai box, aveva superato lo choc di un botto al primo giro, aveva infilato strategia e sorpassi con il piglio del campione. Chiaro che si sia chiesto: "Perché dovrei dargli strada? Vuole il titolo? Vuole il sorpasso? Beh, se li guadagni". E tanti saluti agli ordini di scuderia, alle urla degli ingegneri al wall, alle inevitabili sfuriate che verranno. Hamilton ha fatto switch off al mondo esterno e ha ragionato in termini elementari ma cementati sul proprio onore: "Il mio lavoro non è cedere il passo e scoprirò chi pensa nel team che sia così. Non avevo motivo per lasciare passare Nico".

Toccherà a Toto Wolff e Niki Lauda dirimere la questione e azionare gli estintori. Lauda dà ragione a Lewis, Wolff cerca la via della diplomazia. Ma appare chiaro che Hamilton si sente di troppo in un team che anche per logiche di mercato ha puntato sul pilota nazionale, ora che Mercedes domina, che Michael Schumacher non è più purtroppo spendibile, che Vettel latita e subisce da Ricciardo. La Germania campione del mondo di calcio (e ricordata dalle 4 stelle appiccicate da Rosberg sul casco) vuole confermarsi nazione regina dello sport e il matrimonio prolungato con Nico merita un regalo speciale: il titolo iridato. A qualunque prezzo.

Ma Hamilton non è disposto a pagarne neppure una quota. Lui corre per vincere, lui ha fatto a sportellate con tutti, lui è un ex campione del mondo. Ed ha ancora un futuro radioso da difendere: e probabilmente non gli importa già più se accadrà con la stella a tre punte sul cofano motore o con chissà quale altro marchio. E se fosse un cavallino?