MotoGP, GP Aragon: da Nuvolari a Rossi, quando il pilota diventa eroe

MotoGp

Paolo Beltramo

Tazio Nuvolari e Valentino Rossi, leggende del mondo dei motori (foto getty)
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Il miracolo compiuto da Rossi non è tanto il fatto di essere tornato a correre dopo 21 giorni da una frattura scomposta: ciò che lo rende epico è avere questa fame a 38 anni e con 9 titoli mondiali alle spalle. Un'impresa che lo proietta ancora di più nell'Olimpo dei piloti che non hanno mai mollato, da Tazio Nuvolari a Omobono Tenni

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LE CLASSIFICHE

L’insopportabile peso di non esserci, l’irreprimibile voglia di provarci. Da qui, dagli albori del motorsport viene la determinazione apparentemente folle, incomprensibile di Valentino Rossi che ha deciso di tornare a correre dopo 21 giorni da una frattura scomposta di tibia e perone. In questo caso il vero miracolo non è l’atto in sé, che rientra in un’infinita tradizione, quanto il fatto di essere ancora così a 38 anni dopo 21 stagioni e mezzo di motomondiale, 115 vittorie, 9 titoli, oltre 360 Gran Premi disputati. È questo non averne mai abbastanza, questa necessità di correre, guidare, sfidare, piegare, frenare fosse anche con l’ultima stilla di energia residua, con i denti stretti per contrastare il dolore.

Da Nuvolari a Rainey

È questo lo spirito di sempre, nel motorsport: da Tazio Nuvolari a Omobono Tenni, per arrivare, sulla stessa strada lastricata di passione, dolore, determinazione e un pizzico di follia che costringeva Barry Sheene a girare per gli aeroporti del mondo con la lastra delle sue fratture per spiegare l’accendersi degli allarmi dovuto alla quantità di titanio nelle sue gambe; che nel 1992, dopo l’incidente di Assen, spinse Mick Doohan a tentare di recuperare un titolo che sembrava suo e stava finendo nelle mani di Wayne Rainey, arrivando in Sud Africa magro, debole, con le stampelle, ma determinato -dopo mesi di sofferenza- a inseguire l’impossibile. Il tramite tra gli anni eroici degli inizi, e l’era contemporanea l’ha rappresentata al meglio il Dottor Claudio Costa, che con la sua Clinica Mobile ha seguito per 50 anni i piloti curandoli, ma soprattutto capendoli e agevolandoli nella loro determinazione a compiere follie che lui definiva eroiche. E così nel ’94 Kevin Schwantz ad Assen si fratturò il polso sinistro, ma finì quinto su una 500 senza controlli elettronici e con la frizione da utilizzare sempre. Sempre ad Assen (che sia il tracciato olandese quello destinato a mettere alla prova l’essenza dei piloti?) Loris Capirossi si fratturò qualche metacarpo della mano sinistra nel warm up, passò il test medico (una poderosa stretta di mano…), corse, finì terzo e svenne dal dolore, mentre un po’ dopo a Brno se ne ruppe un altro, a destra, la mano del freno, ma finì quinto.

I precedenti

Gli esempi sono infiniti: Casey Stoner ad Indianapolis 2012 che si fratturò la caviglia destra in prova e che corse finendo quarto, stesso piazzamento di Jorge Lorenzo in Cina nel 2008 quando si fratturò il malleolo sinistro ed era costretto a girare in carrozzella e ad essere issato in moto dai meccanici. Pure lui sfiorò il podio: 4°. Nel 2002 Rossi a Donington cadde il venerdì con la 500: pollice sinistro incrinato, trauma cranico con perdita di memoria e poi pole e vittoria. Max Biaggi a Suzuka nel 1997 con la 250 corse con una spalla lussata che a noi avrebbe preso 30/40 giorni per guarire. Gente che si fa amputare una falange pur di correre (Petersen in Sud Africa), altri che scappano dall’ospedale scavalcando il muro in pigiama di notte ed arrivano al paddock a piedi (Virginio Ferrari) lo stesso che ad Imola nel ’79 cadde al Tamburello, si affettò una buona parte del gluteo sinistro e l’indomani arrivò secondo. Ma come lui ci sono stati Wayne Gardner, Reinhold Roth, Takazumi Katayama… un’infinità. Di pazzi. O di eroi. Fate voi.