Marco Simoncelli, il papà Paolo: "Sono arrabbiato con Dio, l'ho detto anche al Papa"

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A dieci anni esatti dalla scomparsa di Simoncelli, il papà di Marco è stato intervistato in moto da Guido Meda, lungo il percorso che da Rimini porta a Misano. È la nuova puntata di "On the road again", in cui Paolo Simoncelli racconta il figlio con dolcezza, senza nascondere la rabbia. Come ha fatto durante un incontro con il Papa: "Ho preso il crocifisso che Bergoglio aveva al collo e gli ho detto: ‘Sono molto incazzato con questo qui’. Lui ha detto che avevo ragione. Poi l’ho abbracciato, come faceva Marco"

Sepang, 23 ottobre 2011. Misano, 23 ottobre 2021. Sono passati esattamente dieci anni dalla morte di Marco Simoncelli durante il GP della Malesia in MotoGP. Il decennale arriva proprio nella settimana in cui si corre il GP dell’Emilia Romagna, sul circuito che porta il nome di Marco. E proprio la pista di Misano è la destinazione finale del viaggio che Guido Meda ha fatto in moto insieme a Paolo Simoncelli, il papà di Marco che da dieci anni racconta, protegge e alimenta la leggenda del figlio, nella nuova puntata di "On the road again". Per l'occasione Paolo è tornato in sella a una moto dopo 26 anni che non guidava, per raccontarci la sua terra e la sua storia. Partenza al mattino dal villaggio "La Pescaccia", in provincia di Rimini, arrivo in serata a Misano, passando per i luoghi simbolo della vita di Marco, come il paese di Coriano. Nell’intervista di Paolo Simoncelli c'è dolcezza, ma c'è anche rabbia per quanto successo dieci anni fa a Sepang.

Tu quando hai smesso di andare in moto? Non l’hai più toccata negli ultimi anni?

"No, non ho più toccato una moto negli ultimi 26 anni. Dalla prima gara di Marco in minimoto, non sono più salito su una moto, questa è la prima volta da allora".

 

La prima tappa nel percorso verso Misano è il bar di Nives, appena fuori dall’autostrada. Per voi era un rituale immancabile…

"Qui bisogna venire per forza, perché è da qui che partivamo. Noi uscivamo di casa con Marco, venivamo qui a fare colazione prima di andare a Bologna a prendere l’aereo. C’era un altro rito importante, che era la vestizione, credo sia proprio il momento più importante prima di entrare mentalmente nel Gran Premio. Se non fai la cosa come hai sempre fatto, pensi subito che qualcosa andrà storto, è incredibile".

 

È triste ricordarlo, ma c’è ad esempio il famoso discorso dell’asciugamano alla rovescia sulla testa di Marco, sulla linea di partenza dell’ultima gara a Sepang

"Io non ho nessun rimpianto. L’unico rimpianto della mia vita è quello: non avergli fatto girare quell’asciugamano. Ogni volta che guardo quell’immagine, mi fa male. Quello stesso giorno, sono arrivato nel box con quell’asciugamano e l’ho posato dove facevo di solito, ma mi è caduto tutto per terra. Allora ho preso il motorino per andare lungo la pista per vedere la gara: appena ho varcato il cancello, mi è arrivato addosso un vento gelato che sapeva di morte, lo giuro. Una sensazione proprio di morte, al punto che mi sono detto ‘Devo andare a fermare Marco’. Mancava un minuto all’inizio della gara, ormai non c’era più tempo, il mio motorino non andava bene… Quei cinque minuti lì sono stati terribili".

 

Eppure ogni giorno che passa, c’è una nuova manifestazione di affetto per Marco…

"A volte mi chiedo se uno diventa una leggenda per quello che ha fatto nella vita, oppure per come viene ricordato. A volte riguardo le interviste, un po' alla volta perché è difficile vederle tutte in una volta, mi rendo conto che Marco era straordinario, trasmetteva una grande carica nel modo di parlare, trasmetteva qualcosa…".

 

Tutti e quattro insieme siete stati una famiglia felice in questi posti così belli

"Infatti era troppo bello, e le cose troppo belle non durano. È una constatazione che ho fatto nel tempo. Non devi mai dire che sei felice, perché arriva qualcuno che decide il contrario".

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Misano, piantata la quercia in onore di Marco

Marco Simoncelli con l'asciugamano al contrario sulla testa, sulla griglia di partenza di Sepang, il 23 ottobre 2011 - ©Getty

Perché Marco usava il numero 58?

"Quando ha iniziato a correre ha provato il 7, poi quando siamo andati all’Europeo con la 125 aveva scelto il 55 ma era occupato, e allora gli hanno dato il 58. Con il 58 ha vinto l’Europeo ed è diventato il suo numero".

 

Perché il paese di Coriano, in provincia di Rimini, è diventato il Comune di elezione di Marco? È il vostro nido, anche se la vostra storia non parte da là…

"Noi siamo di Riccione, io sono uno degli ultimi riccionesi puri. Marco è nato a Cattolica, poi ci siamo trasferiti a Coriano quando lui aveva un anno, anche se è sempre andato a scuola a Riccione. A Coriano c’è una media di 200 turisti al giorno per Marco. Nella scuola media di Coriano c’è una frase, inserita dal Comune, che racchiude secondo me il carattere di Marco: ‘Primo o ultimo non conta, l’importante è dare il meglio di sé ogni singolo giro’. Marco aveva preso alla lettera quello che gli avevo insegnato da piccolo: gli dicevo che se arrivava ultimo, doveva lottare per arrivare penultimo, senza mollare mai".

 

Chi ha conservato tutti gli oggetti presenti nel museo di Simoncelli a Coriano?

"Sono stato io, ho conservato tutto, ho sempre pensato che avrei fatto un museo su Marco quando avrebbe smesso di correre. Non ho mai dubitato del fatto che sarebbe diventato un campione".

 

Il Paolo Simoncelli burbero, che ogni tanto fa un cazziatone ai suoi pilotini, è stato così anche con Marco e Martina? Oppure con i tuoi figli sei stati diverso?

"Loro hanno avuto la fortuna di avere una madre eccezionale. Io ho smesso di andare in moto perché mi sentivo sulla moto con lui, mi sentivo appagato. A volte faceva quello che pensavo in gara esattamente nello stesso momento, come una telepatia. Ho vissuto 25 anni bellissimi e quelli non me li toglie nessuno".

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Per sempre Simoncelli: la carriera di Marco

Nella vostra famiglia siete credenti?

"Sono arrabbiato con il capo. Sono veramente arrabbiato, l’ho detto anche al Papa. Quando siamo andati a fare la visita a Roma con la Federazione italiana, ho preso il crocifisso che Bergoglio aveva al collo e gli ho detto: ‘Io sono molto incazzato con questo qui’. Lui ha detto che avevo ragione. Non mi aspettavo che il Papa fosse così, veramente una brava persona. Siamo rimasti soli con lui qualche minuto e io l’ho abbracciato. Ti garantisco che tutti gli altri intanto avevano le mani nei capelli, ma a me non frega un cavolo, mi sentivo attratto da lui. Il Papa ha ricambiato il mio abbraccio. Prima di andare via mi ha chiamato e mi ha dato un altro abbraccio. È stato bello. Marco era un ragazzo che abbracciava, a me questa cosa è rimasta tutt’ora, mi piace tanto. Io nel mio giardino ho piantato una quercia grandissima, secondo me Marco quando lo abbracciavi dava la sensazione di una grande quercia, una sensazione di forza, sentivi che ti potevi fidare, era qualcosa di bello. Mi piacerebbe che nel circuito di Misano, intitolato a Marco, piantassero una quercia proprio nella curva chiamata la ‘Quercia’, secondo me sarebbe un grandissimo omaggio".

 

Come è cambiata la vostra vita dopo la nascita di Marco?

"Dopo 12 anni di matrimonio è nato questo bimbo con quattro capelli dritti e rossi, pesava 2,450 kg, era piccolo e lo tenevo in una mano, era meraviglioso".

 

Marco lo portavi con te in moto quando era un bambino?

"L’ho portato per la prima volta con me in moto quando aveva 8 anni. Poi gli ho comprato una moto da cross piccolina per Natale. Andava anche in bicicletta, era sempre in impennata. Se la cavava bene anche con le motine, facevamo la gara io con lo scooter e lui con la motina attorno a casa. Infine l’ho portato per la prima volta sulle minimoto a Cattolica. La pista era chiusa, però c’era il proprietario detto ’Panino’ che lavorava, gli ho chiesto se c’era modo di fare provare le minimoto a mio figlio e lui ha detto di sì. L’abbiamo vestito con una tuta da meccanico e un casco grandissimo. Lui era preoccupato, ho dovuto tenerlo in piedi per farlo partire. Non ha fatto niente di straordinario, però ha girato tranquillamente per venti minuti. A un certo punto Panino lo ferma e gli dice: ‘Tu puoi venire a girare anche quando ci sono gli altri’. Da quel momento siamo andati qualche volta di domenica a girare a noleggio: la prima volta ho speso 20mila lire per dieci minuti, la seconda volta 40mila lire, poi 60mila lire, quando siamo arrivati a 100mila lire ho detto a Marco che gli avrei comprato direttamente la moto".

 

In quel periodo Marco conosce e sfida tutti quei ragazzini che poi diventeranno i suoi rivali nel Motomondiale.

"Quelli sono stati gli anni più belli per le minimoto. Tutti questi ragazzini, come Marco, Andrea Dovizioso, Mattia Pasini, Simone Corsi, tutti i piloti forti che sono nel Motomondiale, sono passati in quegli anni lì dalle minimoto. Mi ricordo che durante una premiazione, dopo una vittoria di Marco, il bambino sul secondo gradino del podio piangeva. Il fratello da fuori gli ha urlato: ‘Stai tranquillo, che il prossimo anno Simoncelli va via’. Eppure c’è stato un momento in cui Marco è venuto da me e mi ha detto: ‘Papà, io non sono più capace di fare il pilota’. Eravamo in Malesia, è stato un momentaccio. In quel momento non bastano più neanche mamma e papà, perché Marco si metteva in discussione in prima persona, anche quando era evidente che i problemi erano altri, ad esempio la moto. Il suo difetto è stato pensare sempre: ‘È colpa mia’".

 

Nel gruppo di giovani piloti che hai citato c’è anche Dovizioso. Perché Marco e Dovizioso non andavano d’accordo?

"Perché erano rivali e perché erano entrambi forti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata a Spoleto, in una finale del campionato italiano. C’erano Marco, Dovizioso e Angeloni in fuga. Marco scivola al tornantino e trascina giù anche Andrea, mentre cade prova a prendere per la tuta anche Angeloni. Finita la gara, Marco torna verso di me piangendo: senza dirmi niente, era già andato da Dovizioso a chiedere scusa, Andrea gli ha risposto che le scuse non bastavano. A quel punto gli ho detto: ‘Basta Marco, a questo punto è guerra’. Questa era una caratteristica di Dovizioso e anche di Pasini: quando erano messi male in gara o avevano qualche difficoltà, era sufficiente che Marco li superasse e si riprendevano subito. Una rivalità accesa che era bellissima, che ha generato dei campioni. Voglio bene a Dovizioso, è stato presente dopo la morte di Marco, ogni tanto ci sentiamo e gli dò anche qualche consiglio, pensa dove siamo arrivati".

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Marco aveva degli idoli da ragazzino?

"Lui impazziva per Valentino Rossi. Nel 1996 abbiamo iniziato a fare le minimoto, quando Valentino correva si interrompeva tutto per andare a vedere le sue gare. Al termine delle gare, si ritrovavano nel motorhome di Rossi, era una prassi ormai. Quando Valentino si è fatto male, Marco lo andava a trovare perché gli faceva piacere stare insieme, si raccontavano tante cose".

 

Tu come eri da ragazzino?

"Ero un po' coglione, perché mi hanno messo in collegio a 14 anni. Sono un perito elettronico".

 

Ci sono stati dei momenti in cui, tu e tua moglie, avete avuto paura per Marco? Avete pensato qualche volta che sarebbe stato meglio avere un figlio tennista?

"Non ho mai pensato che potesse morire. Ho sempre pensato magari a un incidente, a un’invalidità, ho pensato che sarebbe potuto rimanere sulla sedia a rotelle, ma mai che potesse morire. Quella sensazione di morte l’ho avuta soltanto quando sono entrato in pista il giorno della sua scomparsa. È stato veramente terribile. Quell’asciugamano alla rovescia sulla testa di Marco è l’unico rimpianto della nostra vita, della mia vita. Non ho rimpianti, io e mia moglie rifaremmo tutto, ma quell’asciugamano che non ho voluto girare per non disturbarlo ce l’ho nella mente. Rifaremmo comunque tutto perché Marco era felice, era un ragazzo veramente felice".

 

Spesso tu ti chiedi che senso abbia quello che hai vissuto come padre. Da osservatore esterno, vedendo tutto quello che è stato fatto per il prossimo dopo la scomparsa di Marco, forse il senso arriva…

 "Bhè, comunque poteva restare un altro po' con noi…".

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