Dakar 2018, Day 6 a Sainz e Meo. I leader sono Peterhansel e Benavides

Motori

Piero Batini

Antoine Meo (KTM) Dakar 2018 (foto: https://twitter.com/KTM_Racing)
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Antoine Meo (KTM) vince nel Day 6, Benavides (Honda) passa davanti Van Beveren nella generale. Carlos Sainz arricchisce il bottino Peugeot prendendosi la sesta tappa davanti a Peterhansel che resta in vetta alla classifica

Non è una novità, la storia della Maratona Africana di Thierry Sabine è sempre stata questa, sin dal primo giorno, ma solo per tornare sulla grande novità che la Dakar del doppio anniversario porta in dote: il suo ritorno alle origini per durezza, difficoltà, imprevedibilità e, dunque, spessore di sfida. Dopo due edizioni che definiremmo con indulgenza “fiacche”, la 2018 torna ai fasti della leggenda, lo diciamo ormai tutti i giorni, quasi scaramanticamente perché si possa continuare a dirlo. 30 Moto sono nella lista dei ritirati, e così quasi metà delle Auto alla partenza di Lima il 6 Gennaio. In questo caso, un’ecatombe che non ha risparmiato Nomi e Marchi, ufficiali e privati.

Il punto sulle moto

I Motociclisti sono degli eroi. Sia chiaro, sono bravi tutti gli “autisti” di Auto, Camion e SSV, fare una Dakar è sempre un’impresa e un confronto con il limite, ma i Motociclisti sono speciali. Prima di tutto ammirevoli. Stamani si sono alzati alle 3, notte fonda, per affrontare la Arequipa-La Paz, dal Perù alla Bolivia via le Ande, Puno, il Lago Titicaca. A dirla così sembra un viaggio di turismo, ma provate a immaginare 750 chilometri fino a 4.500 metri sul livello del mare, la pioggia, il nevischio e temperature vicinissime allo zero, e la Speciale solo oltre confine, già in Bolivia. Eroi.
Ma anche eroi della 6° tappa, poiché a vincere è stato Antoine Meo, che con la prima vittoria di quest’anno pone virtualmente fine a un anno e mezzo di calvario, e torna al suo posto in prima fila nel Team Red Bull KTM Factory Racing. La speciale, ridotta a meno di 200 chilometri, era in effetti adatta alla qualifica tecnica del quattro volte campione del mondo di Enduro, e sebbene ci fossero molti piloti interessati alla posta del giorno, la cosa più importante è che il Team Ufficiale KTM ha ritrovato in un momento cruciale del Rally un elemento di supporto fondamentale per la rincorsa di Price, secondo, e Walkner, solo decimo ieri. L’australiano e l’austriaco sono terzo e quinto nella generale di una gara tutta da giocare, che vede in testa due autentiche novità, Kevin Benavides e Adrien Van Beveren primo e secondo, e che è infiammata dagli exploit di Joan Barreda. Lo spagnolo ha pagato il difetto dell’ordine di partenza, avendo vinto la quinta tappa partiva per primo nella sesta e doveva “navigare” per tutti, ma è quanto mai lanciato. L’impresa della quinta tappa, 15 minuti recuperati sui 22 di ritardo che aveva alla viglia, ha scosso il morale degli avversari, e con la ripresa delle ostilità sabato, dopo la giornata di riposo di La Paz, la Dakar potrebbe entrare in una situazione ambientale mai vista, tale da definire una nuova dimensione del Rally più duro del mondo. Aspettiamo, e vediamo cosa succede.

Il punto sulle auto

Unanimemente apprezzata per la sua incertezza la gara della moto, le opinioni su quella delle auto sono meno plebiscitarie. Molti considerano un difetto il fatto che le Peugeot stiano facendo ancora una volta piazza pulita. In effetti, la batosta Mini e il forte ridimensionamento delle Toyota non esclude il caso dal gioco delle parti, ma anche tenendo conto delle variabili a favore del Team francese, bisognerebbe iniziare a considerare i fatti che hanno determinato una situazione così polarizzata a loro favore. Tra questi senza dubbio in primo piano c’è quell’aria di sufficienza con cui gli avversari hanno preso in considerazione il pericolo, di fatto sottovalutandolo.
Peugeot ha messo in cantiere il due ruote motrici al tempo in cui Toyota praticamente non esisteva, parlo di risultati, e Mini era imbattibile e, soprattutto, infallibile. Fino ad allora, è vero, i buggy avevano per lo più fallito, fatta eccezione dell’antico Shclesser, ma solo perché nascevano dalla costola debole delle Macchine usate nella Baja americane. Non ci voleva molto a immaginare che Peugeot sarebbe partita da un foglio bianco, senza ispirarsi ad altri progetti che già avevano prestato i fianco a critiche e fallimenti. Dunque Toyota ha seguito la sua strada, una buona strada, e Mini si è occupata di buggy solo a tempo perso. Un vantaggio enorme, spropositato concesso a una Marca che aveva già dimostrato di saper correre, anche sui tempi di progetto.
Quindi, sfortuna a parte per tutti, Mini in primo luogo, non ci si dovrebbe lamentare se le Peugeot vincono con tutti i loro piloti, se vincono tutte o quasi le tappe, e se dominano dall’alto uno scenario d’altra parecchio impoverito sin dalle prime battute del Rally.
Così, in una giornata semplicemente ideale, ha vinto anche Carlos Sainz. Lo spagnolo ha preceduto Peterhansel, che non aveva certo l’acqua alla gola, al termine di una lunga, spettacolare volata, che ha finito per umiliare nuovamente la concorrenza. Le Toyota di Al Attiyah e di De Villiers non sono lontane, ma sono dietro. Al sudafricano manca un po’ di birra, ma non ce l’ha mai avuta e in altre situazioni è venuto buono anche essere piuttosto flat, al Principe del Qatar la birra non manca, ma sicuramente qualche chilometro in più, di velocità di punta e media, e in ogni caso non è realistico pensare che almeno uno dei due possa recuperare un’ora e venti.

Il punto sugli italiani

Per le auto Eugenio Amos nella giornata di ieri ha concluso 21esimo, scendendo nella classifica generale dal 7° al 9° posto. Giornata non particolarmente fortunata anche per gli italiani sulle due ruote: Cerruti taglia il traguardo 27esimo ed è 28esimo in classifica, Gerini arriva 39°, mentre Botturi (25° nella generale) e Ruoso si piazzano rispettivamente 47° e 48°. Bertoldi e Metelli sono ancora più giù (68° e 72°). Vignola e Minelli chiudono il gruppo (80° e 99°).

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