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NBA, Warriors ancora ko: fine del record a Chicago

NBA

I Chicago Bulls vincono 94-87 contro i Golden State orfani di Kevin Durant, che incassano la seconda sconfitta consecutiva: gli Warriors interrompono così la striscia di 146 gare senza subire due ko in fila in regular season

Non manca solo Kevin Durant allo United Center nel match perso 94-87 dai Golden State Warriors contro i Chicago Bulls. Il grande assente è il tiro da tre punti, bilancia spesso decisiva nell’aprire l’area avversaria per i tagli e al continuo movimento generato dall’attacco della squadra di coach Steve Kerr. Gli Warriors partono con le mani freddissime, impiegando più di 9 minuti per mandare a bersaglio il primo tiro dall’arco. La firma è quella di Patrick McCaw, chiamato al delicato quanto improbabile ruolo di non far rimpiangere KD in quintetto. È sintomatico però che sia lui a segnare da tre, e non qualcuno dal nome più altisonante. Golden State infatti conclude il match tirando 6/30 di squadra: 2/11 per Steph Curry (che nelle ultime tre partite ha tirato 4/31); 1/11 Klay Thompson (che combinato con il compagno di merende fa 11/64 negli ultimi 5 giorni). Oltre al tiro pesante però, a mancare in casa Warriors lungo tutta questa stagione è la freddezza (e la qualità d’esecuzione) nei finali di gara, e la colpa non è certo dei due tiri sbagliati da Curry in questo back-to-back. Nelle situazioni clutch, ossia in finali di gara in cui la distanza nel punteggio è entro cinque punti, lo scorso anno Golden State in 144 minuti aveva fatto registrare un astronomico +110 di plus/minus. Quest’anno, in 80 minuti, soltanto +9. È pur vero che spesso questa squadra non ha avuto bisogno di chiudere i match nel finale, ma anche che più volte ha dovuto cedere il passo alle avversarie negli ultimi minuti.

La partita di Chicago – Demerito degli Warriors, ma anche merito di Chicago, trascinata dai 22 punti di Jimmy Butler e i 17 di Bobby Portis. I Bulls, scivolati sul -10 a metà secondo quarto, hanno risposto alla prima ondata degli ospiti cambiando marcia nella ripresa: 32-22 il parziale in favore dei padroni di casa nella terza frazione, in cui Golden State ha faticato a costruire gioco (6 delle 15 palle perse sono arrivate in quei 12 minuti). Un atteggiamento restio e rinunciatario che ha fatto infuriare coach Kerr. “Non l’ha spaccata mentre parlava con noi – racconta Klay Thompson,[riferendosi alla lavagnetta distrutta più volte a causa della rabbia dall’ex giocatore proprio dei Bulls -, ma l’ha fatto dopo, in disparte. Lui è un competitivo e non sopporta quando noi gestiamo male il pallone. Non si preoccupa mai dei tiri sbagliati, quello può succedere. Ma quando perdiamo il controllo, quando non prendiamo una decisione o quando fermiamo l’attacco, questo lo uccide”. E gli 87 punti raccolti questa notte sono lì a mettere in mostra i problemi d’esecuzione – il peggior bottino stagionale, due punti in meno rispetto a quelli realizzati contro i Grizzlies nello scorso dicembre. Nelle cinque gare sotto quota 103 alla voce punti realizzati infatti, è sempre arrivata una sconfitta: una rarità, considerati i numeri dell’attacco di Golden State, che a detta di Draymond Green “quando lascia gli avversari sotto quota 95 punti, nove volte su dieci porta a casa il risultato”. Succede forse anche una percentuale di volte maggiore, ma non questa volta, condannando così i vice campioni NBA al secondo ko consecutivo.

Fine della striscia da record – Questa sconfitta infatti interrompe una delle strisce da record più impressionanti detenute dagli Warriors in questi anni di dominio in regular season. Erano 146 partite che Golden State non subìva due sconfitte consecutive, dal 5-7 aprile 2015 in cui Steph Curry e compagni persero contro New Orleans e San Antonio. “È stata una striscia pazzesca e avevamo già messo in conto che quest’anno prima o poi sarebbe successo – racconta Steve Kerr, provando a stemperare i toni catastrofici –. E non è sorprendente che siano arrivate adesso. Senza Durant, saremo costretti a stringere i denti e a vivere un momento molto duro della stagione”. Una battuta d’arresto che fa rumore per l’eccezionalità dell’evento, non perché ci sia qualcosa da cambiare: “Non sto segnando con continuità, ma questo non cambia il mio approccio – commenta uno Steph Curry da 23 punti alla sirena –. È ovvio che si cerchi sempre di prendere il tiro migliore. Nessuno vuole semplicemente prendere e tirare. Se io l’ho fatto è perché credo di poterli segnare. Sono andati dentro in tutta la mia carriera, non saranno certo tre partite a farmi cambiare idea”.