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NBA, come giudicare la stagione dei Brooklyn Nets?

NBA

Mauro Bevacqua

Hanno il peggior record di lega ma stanno giocando il loro miglior basket di stagione. Programmano sul medio-lungo periodo ma non hanno scelte al Draft. Viaggio nelle contraddizioni dei nuovi Brooklyn Nets, guidati dalle parole di Gianluca Pascucci, il loro nuovo director of global scouting

Il mantra di squadra – che fa bella mostra di sé nell'ufficio del GM Sean Marks – recita come segue: “Un gruppo unito formato da persone di grande spessore morale, talento e spirito di competizione, che lavorano in maniera altruistica verso l’unico obiettivo di un’eccellenza da mantenere nel tempo”. Il record, invece, dice 16 vinte e 58 perse. Qualcosa, nel mezzo, dev’essere andato storto. Si può riassumere così la situazione dei Brooklyn Nets, a oggi titolari del 30° bilancio vittorie-sconfitte sulle 30 realtà della lega. Ma anche una squadra che a marzo sfoggia un record di 7-9 (17°) e che delle ultime dieci gare è stata capace di vincerne cinque (solo 12 squadre hanno fatto meglio in questo intervallo). Vuol dire che forse si può intravedere una flebile luce in fondo al tunnel? Troppo presto per dirlo, troppo pochi gli elementi per poter correre a una conclusione del genere. Perché se è vero che il finale di stagione sta regalando qualche soddisfazione al gruppo allenato da Keith Atkinson (con una vittoria contro gli Hawks e due contro i cugini dei Knicks, che hanno sempre un sapore speciale…) è anche vero che spesso i risultati di marzo e aprile sono un po’ falsati dalle diverse motivazioni delle squadre in campo. Alcune danno ancora il massimo perché devono vincere a tutti i costi e centrare l’obiettivo playoff, altre non hanno molto da chiedere e ad altre ancora invece non dispiace troppo perdere, con un occhio al Draft. Ecco, Brooklyn avrebbe tutto per rientrare in quest’ultima categoria – tutto, tranne delle scelte a disposizione il prossimo 22 giugno. 

Peccato & redenzione – Il motivo per cui al prossimo Draft NBA (e a quello dopo ancora...) i Nets saranno costretti a stare alla finestra è ben risaputo, e racconta la storia della franchigia da quando si è spostata a Brooklyn e da quando a comandarla – forte della titolarità dell’80% delle azioni, in suo possesso dal maggio del 2010 – è arrivato Mikhail Prokhorov. Con progetti ambiziosi (“Il titolo entro 5 anni”) e una strategia chiara (quella del tutto e subito). Che si è tradotta in: Kevin Garnett, Paul Pierce, Deron Williams, un monte salari mai fatto registrare prima da nessuna squadra NBA (con conseguente luxury tax esorbitante) e, non ultimo, il sacrificio di tutte le scelte future. Nella parole di Pat Riley “Prokhorov è uno che ama scommettere, come me: io avrei fatto lo stesso”. Solo che le scommesse si possono vincere o si possono perdere. Riley ne ha sicuramente vinte più di quante ne abbia perse, Prokhorov finora il contrario. Così, nel febbraio 2016, arriva la lettera aperta di pentimento, affidata ai media e suddivisa in cinque punti, i primi tre fondamentali per entrare in possesso delle parole chiave con cui provare a decifrare il progetto attuale: 1) Ci sono cose che i soldi non possono comprare 2) Meglio agire in modo strategico che puntare sulle occasioni 3) La cultura è più importante del talento. Benvenuti nella realtà dei Brooklyn Nets 2016-17.

Rifondazione – Una franchigia che ha puntato su un general manager di estrazione San Antonio Spurs, Sean Marks (ex assistente di R.C. Buford in Texas), su molti profili di grande esperienza internazionale – dal vice-GM Trajan Langdon (Italia, Turchia e Russia nel suo curriculum da giocatore) all’allenatore Keith Atkinson (Francia) fino al nuovo direttore dello scouting globale, l’italiano Gianluca Pascucci (reduce da una lunga esperienza agli Houston Rockets) – e su un roster costruito su criteri opposti al passato. Esemplare al riguardo la firma di un veterano super rispettato come Luis Scola, esempio di serietà e professionalità: “Se anche non giocasse un singolo minuto si meriterebbe ogni centesimo dei 5 milioni di dollari del suo contratto”, le illuminanti parole di coach Atkinson alla firma (solo che Scola poi effettivamente di minuti ne gioca pochissimi e dopo l’All-Star break chiede – e ottiene – di essere rilasciato…). La “stella” della squadra – virgolette d’obbligo – è Brook Lopez, la leadership è divisa tra lui e Jeremy Lin (che gli infortuni tengono lontano dal parquet per 44 partite), poi tanti giocatori di ruolo, qualche scommessa e parecchi progetti. Ovvio che con un roster così nella NBA non si vince, ma Sean Marks a Prokhorov l’aveva detto chiaramente: “Se sta cercando una scorciatoia per tornare in fretta in vetta, sono la persona sbagliata”. Marks a Brooklyn vuol portare quella famosa cultura vissuta e imparata a San Antonio: grande focus sulle statistiche avanzate, uno staff preparato e numeroso attento a ogni esigenza dei giocatori, un team di trainer, dottori e specialisti medici all’avanguardia, un nuovo centro di allenamento fatto costruire apposta, con grandi vetrate e vista su Manhattan, chef a disposizione per giocatori e famiglie e ogni lusso possibile. I numeri oggi condannano i Nets senza appello – il peggior record NBA, la terzultima posizione per net rating, la penultima per palle perse, ma anche un conto economico profondamente negativo – ma con un po’ di ottimismo qualche speranza a Brooklyn vogliono provare a coltivarla. Si registra il buon finale di stagione, si contano le 11 partite perse per 5 o meno punti, si valuta in chiave futura il personale (promossi il rookie Caris LeVert da Michigan e anche Joe Harris) e poi ci si augura che le cose piano piano migliorino. L’influenza europea dei nuovi Nets è fortissima, e nel Vecchio Continente il detto è ben conosciuto: “Neanche Roma è stato costruita in un giorno”…