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NBA, Mookie Blaylock nella Hall of Fame (del rock)

NBA
Mookie_Blaylock

Al Barclays Center di Brooklyn i Pearl Jam entrano nella Hall of Fame del Rock and Roll. Una band nata a Seattle a inizio anni '90 con il nome di Mookie Blaylock (rubato al giocatore di Nets e Hawks) e che ha in Eddie Vedder e Jeff Ament due grandi tifosi NBA. Ricambiati...

Era l'inizio degli anni '90 e Seattle doveva ancora diventare la capitale della musica USA (o come scritto sulla copertina di Rolling Stone, “la nuova Liverpool”). Anche i Pearl Jam, una delle band simbolo della città e di quella scena musicale ribattezzata grunge, dovevano ancora diventare i Pearl Jam. I due chitarristi (Mike McCready e Stone Gossard) e il bassista (Jeff Ament) erano già della band, Dave Krusen ne era il batterista e nel ruolo di lead singer si era unito da poco un ragazzo proveniente da San Diego, Eddie Vedder. Dovendo scegliere il nome della band, leggenda vuole che Jeff Ament – dei cinque, quello più appassionato di pallacanestro e avido consumatore di trading card – collezionasse suo malgrado doppioni su doppioni di Mookie Blaylock, point guard degli allora New Jersey Nets entrato nella lega nel 1989. La decisione fu quasi automatica: si sarebbero chiamati come lui. Come Mookie Blaylock esordirono così nell’ottobre 1990 in un concerto diventato oggi leggendario all’Off Ramp Café di Seattle, presentando i brani di quello che sarebbe poi diventato il loro album d’esordio, pubblicato già con il nome Pearl Jam l’anno successivo. Il titolo? Ten, dieci, proprio come il numero di maglia ai Nets di Mookie Blaylock.  

Ten: l'album dei Pearl Jam, il numero di Rodman

Da allora, in più di un quarto di secolo di carriera, la storia dei Pearl Jam (ex Mookie Blaylock) si è intrecciata a più riprese con il mondo del basket NBA. A metà di quegli anni ’90 che hanno visto i Seattle Supersonics giocare una delle pallacanestro più divertenti dell’intera lega – arrivando fino alla finale del 1996 contro Michael Jordan e i Bulls – Jeff Ament e Shawn Kemp erano i soggetti di un poster culto che univa chitarre&palloni da basket, popolarissimo in città. Spopola negli stessi anni in un’altra città, a Detroit, uno strano giocatore che sembra poco interessato a segnare ma desideroso solo di conquistare ogni rimbalzo possibile: dal 1991-92 Dennis Rodman domina la classifica dei rimbalzisti per 7 anni in fila e non a caso sulla maglia sfoggia anche lui un numero ormai noto: il 10. Per il bizzarro personaggio dei Pistons Ten è qualcosa di più di un semplice album: nel 1996, quando dà alle stampe Bad As I Wanna Be, la sua prima biografia, la apre con una citazione dal primo singolo dei Pearl Jam, Alive, professando il suo amore per i cinque della band di Seattle, “totalmente veri nel loro mestiere, come sono vero io nel mio”. “Non c’è una band come i Pearl Jam – scrive Rodman – e non c’è un cantante come Eddie Vedder. Nel basket non c’è nessuno come me: potrei giocare la stessa partita ogni sera, ma sarebbe sempre una performance diversa […] È lo stesso con Eddie Vedder: potrebbe cantare le stesse canzoni ogni show ma ogni volta che lo fa provi qualcosa di diverso”. In quel 1996 tra le canzoni cantata da Vedder c’è anche l’inno nazionale prima della palla a due di una delle sei gare di finale NBA tra la Chicago di Rodman e i Sonics, e i due poi festeggiano assieme la loro amicizia e il quarto anello dei Bulls negli spogliatoi dello United Center. 

La "delusione" Jabbar

Trascorsi ormai una decina d’anni dall’esordio, e diventati nel frattempo una delle band più popolari al mondo, i Pearl Jam fanno uscire il loro sesto album da studio, Binaural. Tra le canzoni pensate per la setlist definitiva Jeff Ament ne scrive una dedicata a Kareem-Abdul Jabbar, intitolata Sweet Lew (dal nome di battesimo originario del centro di Bucks e Lakers, Lew Alcindor). Autentico idolo di infanzia per Ament, nel 1994 i due si incrociano a una partita di pallacanestro organizzata per beneficenza ma l’entusiasmo del bassista dei Pearl Jam è presto spento dalla proverbiale freddezza verso gli estranei di Jabbar. Ne escono dei versi amareggiati (Sweet lew, how could you? / Sweet lew, makin’ me blue) in cui l’ammirazione si mischia alla delusione. La canzone alla fine non trova spazio nell’album, ma viene pubblicata solo tre anni più tardi in una raccolta di b-side intitolata Lost Dogs. Più recenti ancora gli ultimi incroci basket/musica con protagonisti Vedder e soci: nel concerto tenuto a fine 2013 a Oklahoma City, il leader dei Pearl Jam si rivolge al suo pubblico di serata professando l’amore della band per quella squadra di Seattle che nel 2008 viene sottratta alla città e trasferita proprio nell’Oklahoma. La nuova destinazione porta con sé un nuovo nome, Thunder, ma Vedder non dimentica e – incassato qualche fischio al termine della sua filippica – fa partire polemico un pezzo dal titolo Supersonic, lo storico nickname della squadra di Seattle. Significativo allora che nella notte italiana a ospitare la cerimonia che segna l’ingresso nella Hall of Fame del Rock and Roll dei Pearl Jam (insieme ad artisti come Joan Baez e Tupac Shakur) sia proprio una delle 29 arene NBA, con Vedder e soci che dal palco del Barclays Center di Brooklyn coroneranno così una carriera leggendaria. Cleveland non è Springfield, ma musica e pallacanestro non sono mai stati così vicini, oggi come ai tempi dei Mookie Blaylock.