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NBA, J.R. Smith: “Se giochiamo come sappiamo, non ci batte nessuno”

NBA

Mauro Bevacqua

JR Smith, 31 anni, ha disputato 104 partite di playoff in carriera (Foto Getty)

La guardia dei Cleveland Cavaliers suona la carica: "In gara-1 ci siamo scavati la fossa da soli buttando via troppi palloni, ma se torniamo a giocare la nostra pallacanestro vinciamo noi. Non ci può battere nessuno, né questi Golden State Warriors né i Chicago Bulls del 1996"

OAKLAND — In gara-1 è mancato lui [3 punti in 28 minuti, con 1/4 al tiro, ndr] come sono mancati tanti protagonisti del supporting cast dei Cleveland Cavaliers. Veterano, esperto, non nuovo al palcoscenico delle finali NBA, J.R. Smith però sembra avere le idee chiare su come fare in modo che gara-2 abbia un esito diverso, dimostrando di avere parecchia fiducia nella forza della sua squadra. 

Puoi spiegarci la differenza tra i Cavs della regular season e quelli dei playoff?

“A cambiare è stata soprattutto il tipo di comunicazione difensiva, migliorata estremamente nelle ultime settimane di stagione. Sappiamo di essere in grado di segnare facilmente più punti dei nostri avversari, ma coi playoff l’enfasi di tutti si è spostata sull'impegno nella nostra metà campo: ognuno di noi è più concentrato sulla propria marcatura e sul game plan difensivo. Ed è così che diventiamo molto più pericolosi”. 

Come spieghi questo cambiamento?

“Un po’ è nella natura stessa del gioco: il basket di playoff è completamente diverso da quello della stagione perché affronti dalle 4 alle 7 volte la stessa squadra e quindi puoi dedicare più tempo a studiare le migliore strategie, anche difensive, per fermare gli avversari. Non è tanto una questione di accendere o spegnere il livello di intensità e di concentrazione, perché anzi quello è qualcosa che va evitato. Noi dobbiamo cercare di giocare sempre allo stesso modo, con continuità giorno dopo giorno, cosa che i Golden State Warriors sono stati capaci di fare meglio di noi nel corso della stagione”. 

Come riuscite a isolarvi dal rumore di fondo che circonda una finale NBA?

“Che si parli di Cleveland e di Golden State — di chi sia meglio e chi sia peggio — è inevitabile, anche alla luce dei due scontri di finale già andati in scena. Ma è inutile perderci il sonno o farsi influenzare: se avessimo ascoltato quello che si diceva di noi l’anno scorso sotto 1-3 in finale non saremmo mai riusciti nell’impresa che poi abbiamo centrato, quella di vincere il titolo in rimonta. Quest’anno dobbiamo fare lo stesso, anche se la squadra è diversa: ognuno di noi, dal primo al quindicesimo del roster, deve mantenere la concentrazione sul basket giocato e non su tutto quello che si dice o si legge attorno”. 

Com’è cambiato il tuo gioco in questi Cavs? 

“Io so di essere un giocatore più efficace quando ricevo e tiro o al massimo quando eseguo un movimento rapido e deciso appena ricevuto palla, rispetto a quando palleggio, palleggio e palleggio per poi affidarmi a un tiro in svitamento, magari forzato. Grazie a questo roster — fatto di giocatori altruisti e ottimi passatori — giocare così è addirittura semplice”.

Dacci una tua lettura di gara-1.

“Non siamo mai riusciti a difendere in un certo modo per via delle troppe palle perse che hanno scatenato la loro transizione. Non abbiamo avuto così tante occasioni di poter difendere a metà campo — e capire così quali situazioni funzionavano e quali no, quali schemi difensivi ci portavano dei vantaggi. Le poche volte che ci siamo riusciti secondo me abbiamo eseguito bene dietro, ma il punto è stato che continuando a perdere palloni la nostra difesa è stata essenzialmente sempre in transizione e mai a metà campo. Quando diciamo che la migliore difesa per noi è il nostro attacco intendiamo proprio questo: se arriviamo al ferro o penetriamo e scarichiamo sul perimetro per i nostri tiratori, senza perdere palloni su palloni, il nostro gioco è parecchio più efficace”.  

Un giudizio sulla tua partita?

“Devo essere più aggressivo, devo prendermi i miei tiri oppure penetrare per cercare di coinvolgere i miei compagni. Se sono libero devo tirare e lo stesso devono fare gli altri, senza esagerare con l’idea di dover sempre muovere la palla”.

Difficile reagire a una sconfitta netta come quella di gara-1?

“No, non lo è affatto, perché sentiamo di esserci scavati noi stessi la fossa da soli. Sappiamo dove abbiamo sbagliato, per cui sappiamo anche dove poter migliorare”.

Deluso dall’approccio della squadra alla partita?

“Non direi deluso, abbiamo soltanto buttato via troppi palloni [20 in totale, quasi uno ogni cinque possessi offensivi, ndr] e così facendo ci siamo condannati da soli”. 

Golden State invece ne ha persi solo 4 in tutta la gara…

“Per questo in gara-2 dobbiamo essere più fisici, lottare di più in uscita su ogni blocco, dobbiamo smetterla di aspettarci dei fischi da parte degli arbitri: queste sono le finali NBA e a questo livello si tende a tollerare più fisicità e lasciar giocare di più”.

In particolare vi ha fatto male Kevin Durant…

“KD uno-contro-uno è immarcabile. Individualmente non si può fare niente contro un giocatore alto 2.13, con quel tiro da fuori, uno che sa penetrare, sa tirare dal palleggio e dalla ricezione, sa giocare in post. Per fermarlo occorre un lavoro di squadra”. 

Quanto è importante Draymond Green per questi Warriors?

“Lui è il cuore e l’anima della loro squadra, questo è risaputo — è quello che sa come fare trash talk con gli avversari, ma anche come tenere i suoi compagni tutti coinvolti e su di giri. Mi sembra più sotto controllo oggi che in passato, credo abbia finalmente realizzato come quello che conta sia il successo della squadra e non del singolo. Giunto alla terza finale in fila Draymond capisce meglio la grandezza di un evento come questo: è sicuramente migliorato”. 

Ci puoi parlare dell’inserimento sul perimetro di due giocatori come Deron Williams e Kyle Korver?

“Sono stati entrambi All-Star, il loro valore non si discute, ma ancora più importante è il fatto che entrambi oggi capiscono benissimo quello che dev’essere il loro ruolo all’interno della nostra squadra e lo accettano. Hanno esperienza, sanno come si fa a vincere: è stato facile integrarli in squadra”.

Cosa vi può dare in più il fatto di avere LeBron James dalla vostra parte?

“La suprema fiducia che dimostra oggi nel suo gioco — la consapevolezza che ‘Bron farà sempre la giusta giocata nel momento decisivo, che sia un tiro per sé o un assist per un compagno, piuttosto che magari un assist secondario (giocata che fa spesso e per cui non riceve così tanto credito) o un intervento difensivo — è qualcosa che rafforza automaticamente la nostra convinzione di poter vincere contro chiunque”.

Può essere in qualche modo un’arma a doppio taglio, che vi porta a pensare “tanto c’è LeBron…”?

“Non possiamo permettercelo, non possiamo lasciarlo da solo a giocare la sua pallacanestro perché anzi il nostro ruolo è proprio quello di fare tutto il possibile per metterlo nelle migliori condizioni possibili per eccellere. Ha bisogno del nostro aiuto, per cui dobbiamo limitare i nostri errori e giocare al suo servizio”.

C’è un momento in cui, da avversario, guardi i Golden State Warriors e rimani magari colpito dalla loro forza?

“Beh… sì. Sono uno che ama guardare tantissime partite anche durante l’anno, e ovviamente ho visto come hanno giocato, conosco benissimo il loro valore. Però per noi tutto inizia e finisce con quello che noi stessi siamo capaci di fare: se giochiamo la nostra pallacanestro non ci può fermare nessuno, non questi Golden State Warriors, non i Chicago Bulls del 1996. Se in campo riusciamo a fare quello che sappiamo di dover fare non ci può battere nessuno. Vinciamo noi”.