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NBA Finals, la maturazione di Kevin Durant: dominante anche in difesa

NBA

Dario Vismara

La stella dei Golden State Warriors è diventato col tempo un difensore di assoluta élite: nella serie contro i Cavs sta dominando tanto in attacco quanto nella sua metà campo

La storia di queste Finals, specialmente alla luce di come era andata negli ultimi due anni, è senz’altro l’impatto avuto da Kevin Durant sugli equilibri tra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers. Un impatto che ha stravolto ogni cosa, come ben testimoniato dai 71 punti segnati nelle prime due partite che hanno già superato i 65 segnati in tutta la serie dal suo predecessore Harrison Barnes. Ma se tutti sono ben consapevoli del valore di Durant nella metà campo offensiva, è forse passato fin troppo sotto traccia il tipo di impatto difensivo che sta avendo non solo in questa serie, ma sull’intera stagione dei Golden State Warriors. È infatti il lavoro difensivo fatto da KD finora a metterlo in pole position per il premio di MVP delle Finals: specialmente in gara-2, Durant ha chiuso con 5 stoppate e 3 recuperi, ma è soprattutto la versatilità e la maturità mostrata nelle marcature ad aver impressionato. Il numero 35 ha stoppato cinque giocatori diversi (James, Irving, Love, Frye e Shumpert), ha cambiato su talmente tanti blocchi da ritrovarsi accoppiato praticamente con tutti gli avversari possibili (dalle point guard alle ali fino ad arrivare in aiuto anche sui tagli dei centri) e – con la sua incredibile combinazione di letture, lunghezza di braccia e velocità – ha propiziato i letali contropiedi che alimentano il miglior attacco della NBA. Non male, per uno che a inizio carriera non riusciva a sollevare 80 chili ed è stato a lungo considerato un cattivo difensore, prima di migliorare esponenzialmente negli ultimi anni.

L’ex Warriors Stopper

Nel tanto chiacchierato passaggio di Kevin Durant dagli Oklahoma City Thunder ai Golden State Warriors è stato in qualche modo sottovalutato quanto KD fosse stato distruttivo per l’attacco dei “Dubs” nelle finali di conference dello scorso anno. I Thunder si erano ritrovati sopra 3-1 contro una squadra da 73 vittorie certamente per la sua combinazione di talento offensivo con Russell Westbrook, ma anche per l’impatto che aveva avuto il suo cambiamento di marcatura durante la serie, spostandosi su Draymond Green (che non aveva idea di come affrontare le sue braccia lunghissime, perdendo palloni su palloni) per disinnescare i tremendi pick and roll con Steph Curry che avevano preso in ostaggio la lega. Poi la serie è andata come tutti sappiamo, anche per un suo brutto ultimo quarto in gara-6, ma l’impatto tattico rimane: togliendo Durant ai Thunder, Golden State si è tolta di dosso anche il difensore che più le aveva dato fastidio negli ultimi anni, procurandosi un “pezzo sulla scacchiera” a cui i Cleveland Cavaliers (che nelle Finals dello scorso anno avevano replicato anche loro mettendo LeBron James su Green) non hanno ancora trovato una risposta.

Il centro del futuro

Oggi Durant è un jolly difensivo senza eguali nella lega, capace di ricoprire qualsiasi ruolo e marcare qualunque avversario utilizzando un corpo che, per forza di cose, ha dovuto imparare a conoscere anche lui nel corso degli anni prima di capire come sfruttarlo al meglio. Avere un difensore del genere in una squadra che può già contare su un candidato Difensore dell’Anno come Draymond Green e uno dei migliori difensori perimetrali come Klay Thompson è quasi “illegale”, come pensato da più persone durante il corso di gara-2. Un’illegalità ancora più accentuata dal fatto che Durant è sembrato ancora più terrificante una volta utilizzato nel ruolo di centro, complici i problemi di falli di Green nel terzo quarto. In quella posizione ha disinnescato qualsiasi soluzione dei Cavs, cambiando indifferentemente da Irving a Love fino ovviamente a James, che con l’andare del tempo è stato sfiancato dall’accoppiamento impossibile da reggere. Durant ha poi tenuto duro anche a rimbalzo difensivo e in post, dominando in mezzo all’area in aiuto e partendo come un razzo in contropiede per mettere pressione alla difesa avversaria. In pratica KD ha fatto il Draymond Green 2.0, replicando tutte quelle qualità che hanno reso grande Green e aggiungendo il fatto – non esattamente secondario – di essere un ex MVP al picco della sua maturazione tecnica e atletica. Una combinazione impossibile da replicare, una combinazione che val bene un titolo di MVP – questa volta delle Finals.