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LeBron James si confessa a GQ: Cleveland, il suo Ohio e l'ombra di Trump

NBA

La cover story dell'ultimo numero del mensile USA si concentra non tanto sul LeBron James giocatore quanto sulla sua influenza lontano dal campo. Tra critiche al Presidente degli Stati Uniti e vecchi rancori legati al suo addio a Cleveland

“I 50 migliori atleti viventi”. Il titolo è ambizioso, la foto forse ancora di più. LeBron James è sulla copertina dell’edizione USA di GQ di novembre con una corona d’alloro dorata in testa, a segnalare la regalità del personaggio. “The King”, non a caso, è il suo soprannome, guadagnato sul campo attraverso i successi – tre volte campione NBA, quattro volte MVP – finora ottenuti tra Miami e Cleveland. Ma la regalità del titolo per una volta guarda oltre i confini di un campo da basket, oltre i 28x15 metri del suo quotidiano terreno d’azione. LeBron James si impone tra gli atleti moderni come re dei nostri giorni per la sua statura fuori dal campo, lontano da esso, per le azioni che compie attraverso la sua fondazione (sovvenzionando borse di studio universitarie per oltre mille ragazzi) o per le parole con cui fa sentire – chiara e forte – la sua voce sui temi sociali più scottanti dell’attualità, un’attualità che negli Stati Uniti è spesso conflittuale. Tanto che una delle prime domande che gli vengono poste nell’intervista per la cover story sul famoso “Gentlemen’s Quarterly” è addirittura spiazzante: ti piacerebbe essere Presidente? Risponde di no, il n°23 dei Cavs, ma poi spiega anche il perché: “Un Presidente non ha mai del tempo per sé, quel tempo di cui io invece sento molto bisogno e apprezzo tantissimo. Allo stesso modo, però, se sei il Presidente – non quello attuale, quello attuale proprio no… - hai la capacità di ispirare le persone. La tua voce ha potere. E se la usi in maniera corretta, con amore e attenzione verso il prossimo, puoi dare speranza alle persone di tutto il mondo”. 

James, Trump, Cleveland e lo stato dell’Ohio

Le parole di accuse verso Donald Trump – non certo le prime, dopo il famoso tweet legato al ritiro dell’invito da parte del Presidente USA ai Golden State Warriors alla Casa Bianca – fanno parte di una visione matura della vita e del ruolo a cui il campione di Cleveland si sente chiamato. “Sì – conferma lui – sento il bisogno di far sentire la mia voce su certi temi. Non dico che tutti devono farlo, assolutamente no, ma io questa necessità la sento, perché sono convinto di essere stato chiamato a servire una causa più alta”. Il confronto/scontro con l’attuale inquilino della Casa Bianca torna poi d’attualità quando al giocatore di Akron viene chiesto del paradosso di uno stato (il suo Ohio) che venera LeBron James ma che poi vota a grande maggioranza per Donald Trump. “Perché tanta gente non ama LeBron James ma ama soltanto quello che faccio in campo. Mi ammira come giocatore ma non come uomo, non per quello che rappresento”. Una questione delicata, come delicato resta il rapporto verso una città, una squadra e un proprietario che gli si sono rivoltati contro quando James ha scelto di lasciare i Cavs semplicemente per esercitare altrove la sua professione: “Non mi piace tornare sull’argomento della famosa lettera di Dan Gilbert nell’estate del 2010, ma penso che in quelle parole l’argomento razziale fosse ben presente. Ed è un peccato, perché fino a quel momento ero convinto e sicuro di aver dato tutto quello che era nelle mie possibilità alla città e a quel proprietario”. Una confessione che si chiude su un’ultima domanda, che mette di fronte LeBron James a un possibile suo debito verso la città di Cleveland. “Io non devo niente a nessuno”, la risposta secca del re. Che spiega così: “Mia madre un giorno mi ha detto che non le dovevo nulla, pur con tutto quello che una donna del genere aveva fatto per me. Da quel momento ho saputo di non dover nulla a nessuno. Ma quello che invece sono disposto a dare alla città di Cleveland è tutto il mio impegno, la mia passione, la mia ispirazione. Finché indosserò quella maglia, voglio essere d’ispirazione per questa gente”. Ma proprio in questa frase si nasconde il timore di molti, che non possono non chiedersi: fino a quando LeBron James sceglierà di indossarla? 

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