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NBA: i Detroit Pistons, la grande sorpresa della Eastern Conference

NBA

Stefano Salerno

Meno pick&roll, un attacco che funziona, varietà di alternative e un Avery Bradley in più. Stan Van Gundy si gode i suoi Pistons: “Adesso tutti hanno voglia di sacrificarsi per i compagni”

In una delle prime partite vinte in questa stagione dai suoi Detroit Pistons, coach Van Gundy aveva già colto il vento di cambiamento che stava iniziando a soffiare nello spogliatoio della squadra del Michigan, commentando in maniera ironica a fine gara: “Con Jackson in panchina, per un attimo ho pensato di far tirare a Drummond il libero che l’arbitro ci aveva assegnato dopo un fallo tecnico”. I miglioramenti a cronometro fermo del numero 0 sono stati già ampliamente discussi e documentati, ma sono soltanto la punta di un iceberg pieno zeppo di novità in casa Pistons, felici di essere balzati al secondo posto in solitaria della Eastern Conference grazie a un record di 10 vittorie e 3 sconfitte. “Credo che tutti si stiano divertendo in campo e questo porta dei benefici tangibili nella resa del nostro roster – racconta sempre Van Gundy -. Se ti senti coinvolto, è molto più semplice fare uno sforzo in più, sacrificarti per il gruppo”. Sembrano dunque molto lontani i tempi in cui Marcus Morris si lamentava durante la scorsa regular season della mancanza di unione e  coinvolgimento sul parquet: “Mi sento abbandonato in un angolo, in attesa di un pallone che non arriverà mai”. Un ritratto crudo, ma non lontano dalla realtà di una squadra che lo scorso marzo tirò i remi in barca senza tentare la rincorsa ai playoff che sarebbero stati alla portata. Adesso però Morris non c’è più (non che fosse colpa sua), scambiato con i Celtics per arrivare ad Avery Bradley, il giocatore che a detta di molti è stato decisivo nel cambiare volto alla squadra, un atleta “dall’alto tasso d’energia”, prima ancora che una chiave su entrambi i lati del campo. L’impatto a protezione del ferro infatti non è una novità, mentre i suoi 17 punti di media e il 41.4% dalla lunga distanza non si erano letteralmente mai visti nei suoi primi sette anni nella Lega. Gli otto milioni previsti dal suo contratto sono forse quelli spesi meglio dai Pistons in questa stagione, ma non lasciano opzioni o prelazioni di sorta per il prossimo futuro: Detroit sa bene che per trattenere il numero 22 dovrà sborsare non pochi quattrini a luglio, ma di fronte a questo rendimento è un investimento da non poter rimandare.

Rivoluzione in attacco: bene il pick&roll, ma senza esagerare

A cambiare in realtà è stato tutto l’attacco di Detroit, con Van Gundy che al quarto anno sulla panchina dei Pistons ha deciso di dare un netto cambio di passo, una scossa a un gruppo che stava virando verso una preoccupante fase di stallo. “Non ho mai fatto giocare così le squadre che ho allenato nella mia lunga carriera da coach. Ho sempre puntato su pick&roll, pick&roll, e ancora pick&roll per il 90% del tempo. Questo invece è molto diverso da tutto il resto, sono leggermente fuori dalla mia confort zone, anche se sembra funzionare”. Le cose in effetti vanno decisamente meglio: con Avery Bradley unico innesto di rilievo in squadra, l’attacco è passato da essere il 25° della Lega al sesto in queste prime tredici partite (107.6 di Offensive Rating), nonostante il Pace resti tra i più bassi (23° posto). Merito della maggiore varietà delle scelte, che hanno confinato il pick&roll a essere soltanto la terza opzione e ridotto dal 20.8% al 15% il suo utilizzo nei possessi giocati dai Pistons. Più ricorrenti invece è diventato il gioco in spot-up e in transizione; il 19% delle conclusioni di Detroit che arrivano nei primi sei secondi infatti vengono convertite con il 57% di eFG%, una miniera dalla quale estrarre il maggior numero di punti e canestri possibile. Un gioco che coinvolge tutti a partire da Drummond, rimasto sempre centrale anche se cavalcato in maniera profondamente diversa. Lo scorso anno furono 335 possessi giocati in post up, convertiti con una resa di 0.734 punti per possesso, ben al di sotto della media NBA. Un buco nero nel quale sprofondava quattro/cinque volte a partita l’attacco dei Pistons, che bloccava circolazione e ritmo: “Quest’anno si sta rendendo conto di essere molto più coinvolto nel gioco. In un modo diverso, ma che finalmente sfrutta i suoi punti di forza”. Drummond infatti si è riscoperto utile e preciso passatore, come testimoniano i 3.2 assist a partita, il triplo rispetto alle medie tenute in carriera (contro gli Hawks ne sono arrivati 7, il suo massimo in carriera). A questo poi il centro numero 0 ha aggiunto un’incidenza ancora più marcata a rimbalzo: mai sotto i 12 in queste prime tredici gare e calamita del 37% abbondante dei rimbalzi difensivi che cattura la difesa dei Pistons quando lui è sul parquet.

La lunghezza del roster e l’inattesa varietà di alternative

Contro Golden State alla Oracle Arena, in quella che forse è stata la partita più importante vinta in questa inizio da Detroit, sono pesati come un macigno i 16 punti in uscita dalla panchina realizzati da Ish Smith. All’esordio contro i Knicks, la difesa di Tolliver mise il bavaglio a un Porzingis contro cui non si erano trovate soluzioni nei primi tre quarti. Nell’ultimo successo contro Miami invece, il protagonista dell’ultimo quarto è stato Luke Kennard, a dimostrazione di come ogni tassello trovi sempre la giusta collocazione nel puzzle di Detroit. Tolto Boban Marjanovic sempre più ai margini, tutti i 14 giocatori schierati da Van Gundy in questo primo mese scarso hanno avuto impatto, come testimoniano i dati del Net Rating: sette degli otto giocatori più utilizzati hanno un dato positivo, ma quelli che fanno meglio paradossalmente sono Anthony Tolliver (+20.9),  Langston Galloway (+17.6) e proprio Luke Kennard (+10.7), restio ad aggregarsi con la squadra di G-League a inizio settimana per una parentesi di un paio di giorni: “Per lui è il modo migliore di trovare ritmo; con qualche partita in più nelle gambe avrà più facilità a trovare spazio in campo”. Detto, fatto: 14 punti in 28 minuti contro gli Heat, entrambi massimo nella sua breve carriera, e un impatto decisivo sulla gara. Un equilibrio delicato, da non compromette in alcun modo, declinando in maniera decisa eventuali trade, come successo nei giorni scorsi con i Bucks. Milwaukee infatti non aveva nascosto il suo interesse per Reggie Jackson, per il quale era ben disposta a liberarsi di Eric Bledsoe in uno scambio che a detta di molti era stato intavolato proprio da Detroit: “È stata una giornata folle: sono uscito dall’allenamento è ho scoperto che tutti parlavano di una possibile trade tra Jackson e Bledsoe e sono corso a casa per telefonare Reggie e rassicurarlo. Non vogliamo di certo liberarci di lui". La leadership della squadra resta saldamente nelle mani del nativo di Pordenone: l’imperativo adesso è evitare il più possibile di toccare i meccanismi. Le cose finalmente stanno funzionando.