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NBA, l'incredibile seconda “prima volta” di Brandon Jennings con i Milwaukee Bucks

NBA

A quasi dieci anni di distanza dal suo debutto in maglia Bucks nella lega, Jennings torna protagonista sfiorando come allora la tripla doppia al suo (secondo) esordio. Un ritorno trionfale dopo i passaggi in Cina e nella G-League

Corsi e ricorsi storici, mai come questa volta. Fine gennaio 2015, Brandon Jennings veste la maglia dei Detroit Pistons e in una gara già decisa, con i suoi sotto di 26 punti sul finire del terzo quarto, in un possesso difensivo sente cedere il suo tendine d’Achille, infortunio che lo costringe a saltare il resto della stagione. Gli avversari di quella infausta serata? I Milwaukee Bucks. Quegli stessi Milwaukee Bucks che fecero di Jennings la loro scelta n°10 al Draft del 2009 e che al suo esordio nella lega, il 30 ottobre sul campo di Philadelphia, lo hanno visto sfiorare una clamorosa tripla doppia (17 punti, 9 assist e 9 rimbalzi per il giocatore visto in Italia durante tutta l’annata precedente con la maglia di Roma). Fast forward di quasi dieci anni e Brandon Jennings – questa volta contro Memphis – è chiamato al suo secondo esordio in maglia Bucks, a quasi 5 anni dall’ultima gara giocata come membro di Milwaukee, a dieci mesi dalla sua ultima apparizione nella lega. E come per il primo debutto, il ragazzo nato a Compton sfiora di nuovo la tripla doppia, stavolta in soli 24 minuti di gioco: per lui infatti 16 punti, 12 assist e 8 rimbalzi nella vittoria dei Bucks contro i Grizzlies. “Ero nervoso – ammette – mi sembrava di essere nuovamente una matricola. Mi sento fortunato a poter indossare ancora questa maglia”. Perché le ultime due che lo avevano visto protagonista erano state quelle degli Shanxi Zhongyu nella lega cinese e poi dei Wisconsin Herd della G-League, primo passo di un tentativo di rientro nella lega che si è concluso con successo con il contratto da 10 giorni firmato domenica e col debutto in maglia Bucks avvenuto contro Memphis. “Quando giochi con un contratto del genere, il senso di urgenza è altissimo: ho 10 giorni per dimostrare a tutti chi sono, devo usare al meglio ogni opportunità e ogni partita per farlo”. Sembra che i suoi compagni di squadra non abbiano già nessun dubbio sul valore del nuovo arrivato: “Brandon Jennings è un giocatore NBA, mi sembra da matti farsi una domanda del genere. Non mi sorprende quello che ha fatto oggi in campo”, le significative parole di stima del leader della squadra, Giannis Antetokounmpo, cui ha fatto eco John Henson, l’unico reduce dei Bucks che avevano visto Jennings a roster in passato: “Non credo ci siano dubbi che possa giocare nella lega, è solo una questione di opportunità”. 

Cina, G-League e poi il tanto agognato ritorno

Opportunità che però, dopo l’infortunio subìto in maglia Pistons nel 2015, non sembravano mai essere quelle giuste. Prima con Detroit, tornato in campo dopo l’infortunio per 23 partite, poi a Orlando (con solo 25 presenze), quindi a New York (58) e a Washington (23), Jennings in questi due anni è sembrato lontanissimo dal giocatore ammirato nei suoi primi sei anni nella lega (sempre sopra i 15 a sera, oltre i 19 durante la sua terza annata), collezionando cifre davvero modeste, con soli 7 punti di media e un disastroso 36.2% al tiro (il suo punto debole da sempre più evidente, con una percentuale in carriera inferiore al 40% dal campo) in meno di 21 minuti di gioco. Ecco allora la scelta di volare in Cina, per cercare di reinventarsi una carriera: esperimento che oggi – tornato negli Stati Uniti – Jennings non esita a valutare positivamente: “Mi ha permesso di rimettermi in forma fisicamente ma soprattutto mentalmente, eliminando un sacco di negatività: mi sono nuovamente concentrato esclusivamente sulla pallacanestro, mi sono allenato tanto come ai tempi di Oak Hill Academy, quando lavoravo duro con l’obiettivo di arrivare nella NBA. Lo stesso obiettivo ha guidato i miei giorni cinesi, perché mentalmente non volevo rassegnarmi al fatto che l’infortunio al tendine avesse sostanzialmente messo fine alla mia carriera nella lega. Ho sempre voluto tornare a giocare in NBA”. Prospettiva che è diventata più reale dopo la firma con la squadra affiliata ai Bucks della G-League, gli Wisconsin Herd, che lo hanno accolto a roster a febbraio. “A loro e al sistema della G-League va gran parte del merito per questa sua grande prestazione – dice Joe Prunty, l’allenatore ad interim dei Bucks – perché quando hai una squadra che applica lo stesso sistema di pallacanestro della propria affiliata è più facile per i giocatori entrare e uscire dal roster e implementare i giochi imparati in G-League anche a un livello superiore”. Una cosa in particolare è piaciuta a Prunty del suo nuovo innesto: “I 12 assist – dice – segno di un ottimo movimento di palla, evidenziato dai 33 di squadra mandati a referto alla fine. Brandon ha fatto un gran lavoro stasera”, conclude l’allenatore di Milwaukee. Un secondo quarto da 11 punti e una presenza importante anche nelle fasi decisive della gara, complici anche i problemi di falli di Eric Bledsoe: “Nel finale ero stanchissimo. Continuavo a ripetere a Bled[soe] di smettere di commettere falli perché ero troppo esausto per tornare in campo. Non mi aspettavo tutti questi minuti”. Ma voleva un’opportunità e l’ha avuta. Sfruttandola anche nel migliore dei modi.