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NBA, cinque rookie sottovalutati di questa stagione

NBA

Nicolò Ciuppani

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Lontani dai riflettori accesi su Ben Simmons, Donovan Mitchell, Lonzo Ball e Jayson Tatum, la classe di rookie del 2018 ha prodotto diversi giovani molto interessanti. Scopriamone cinque che potranno fare le fortune delle loro squadre ai playoff e negli anni a venire

Ci sono mesi di regular season che pesano meno di altri, non tanto in termini di risultati quanto di percezione. I primi mesi di regular season, dopo l’astinenza prolungata dell’estate, sono quelli nei quali qualunque appassionato riesce a guardare volentieri più partite. Ma dopo la pausa per l’All-Star Weekend, quando la lotta ai playoff è per lo più definita e la stagione di molte squadre è già indirizzata, è normale che l’attenzione cali, come una fase di riposo preventivo prima dell’abbuffata dei playoff.

È in questo contesto che alcuni giocatori finiscono per passare sottotraccia rispetto narrativa dominante, un discorso che viene particolarmente amplificato nel caso dei rookie, che spesso hanno tempi di maturazione molto diversi e la cui prima stagione può rivelarsi una lunga corsa a ostacoli nella speranza di trovare il proprio ritmo, adattandosi al gioco iperveloce e saturo di blocchi della NBA.

Se nella prima parte di stagione - in cui questa rookie class si è rivelata senz’altro una delle più promettenti degli ultimi anni - le luci dei riflettori hanno illuminato il talento dei vari Ben Simmons, Donovan Mitchell, Lonzo BallJayson Tatum e Kyle Kuzma, la seconda, con l’interesse generale che è gradualmente calato, ha visto emergere altri giocatori che ora non ricevono le attenzioni che meriterebbero. Qui di seguito quindi trovate cinque giocatori tra i rookie passati sotto traccia che meritano una migliore occhiata di qui alla fine regular season.

Zach Collins, Portland Trail Blazers

La parabola di Zach Collins è partita più in basso di tutti gli altri rookie, con una Summer League ed un inizio di stagione completamente anonimi. Come ha rivelato Terry Stotts a Michele Berra per l’Ultimo Uomo: “Ad inizio stagione non pensavamo rientrasse nei nostri piani o che ci fosse spazio per lui, ma si è guadagnato sul campo ogni minuto e sta contribuendo a fare cose positive per noi”. La risalita di Collins nelle gerarchie dei Blazers è andata parallelamente a quella dei Blazers nella classifica di vittorie della lega: circa due mesi fa Damian Lillard aveva richiesto un incontro col proprietario per definire la direzione che la franchigia avrebbe dovuto prendere, e in quel periodo Collins era ai margini delle rotazioni, con partite in cui faticava a superare il canestro segnato di media.

La crescita dei Blazers è andata di pari passo con quella di Jusuf Nurkic, che si è rivelato una montagna insormontabile sotto canestro sigillando una delle migliori difese della lega. Che questa difesa sia però traslabile anche a livello di playoff è tutto un altro paio di maniche, perché il bosniaco non si azzarda minimamente a uscire dal pitturato e anche in attacco la sua figura è tutt’altro che versatile, visto che deve ancora segnare la sua prima tripla in carriera NBA e anche al ferro è un realizzatore di molto sotto media, cosa che potrebbe portare gli avversari ai playoff a lasciarlo libero sui pick and roll per rendere la vita impossibile a Lillard e McCollum, costringendoli a scaricare.

Collins si è inserito in questo scenario tattico, cambiando radicalmente il suo modo di giocare rispetto al liceo o al college. Se a Gonzaga viveva come centro da post basso o al massimo come secondo lungo al fianco di Karnowski, Collins al momento gioca prevalentemente da lungo di riserva, a fianco di un giocatore fisicamente più robusto come Ed Davis. Il rookie non ha ancora una struttura fisica che gli permette di tenere il confronto fisico contro i lunghi avversari sotto canestro, ma ha enorme mobilità laterale che gli permette di contenere i gli esterni sui mismatch e ha sviluppato grande fiducia nel suo tiro, qualità che ha permesso a Shabazz Napier di risorgere come giocatore di pick and roll dalla panchina. La consacrazione di Collins è avvenuta quando ha preso maggiore confidenza nelle dimensioni dell’area NBA, quando ha ridotto drasticamente le long 2 e quando ha capito dove aspettare i piccoli in difesa.

Essendo così giovane e avendo giocato molto poco anche al college, è difficile capire quale sia il ceiling di Zach Collins, ma al momento è molto probabile che in futuro possa diventare il lungo ideale da affiancare alle due guardie di Portland. Quando la struttura fisica gli permetterà di giocare da centro (nella second unit ancor prima che con i titolari) potrebbe diventare lui l’ancora difensiva dei Blazers, anche perché i pick and roll che lo coinvolgono sono molto più difficilmente disinnescabili rispetto a quelli di Nurkic. In caso di roll a canestro la sua elevazione lo rende un giocatore su cui non si può semplicemente far ruotare un esterno, ma allo stesso tempo il suo tiro costringe un difensore a gravitare lontano dalla zona di azione di Lillard e McCollum. I Blazers insomma non solo hanno trovato il modo di non essere legati mani e piedi a un giocatore come Nurkic, che per quanto utile rischia di andare sempre più in controtendenza con il gioco moderno, ma si sono anche trovati tra le mani il lungo ideale per elevare ancora di più il gioco delle loro stelle, portandole potenzialmente ai primi posti nella lega.

La questione dell’età rende però tutto più complesso: Collins non è ancora pronto a soppiantare completamente Nurkic dalle rotazioni, e quando raggiungerà il suo prime probabilmente Lillard sarà già oltre i 30 anni. I Blazers insomma non possono semplicemente sperare che Zach maturi come fin qui ha dimostrato di poter fare, ma anche che lo faccia con una certa velocità.

Josh Jackson, Phoenix Suns

Esattamente come fatto un anno fa a Kansas, Josh Jackson è emerso prepotentemente nella seconda parte di stagione, quando ha capito come utilizzare il suo skillset estremamente versatile nel nuovo ambiente tecnico-tattico. Ad allontanare completamente il rookie dei Phoenix Suns dalle luci della ribalta di inizio stagione è stato Jayson Tatum, scelto allo scorso Draft una posizione prima di Jackson, più giovane dell’ala dei Suns e dimostratosi uno dei rookie più pronti ad avere impatto immediato. Ma nelle ultime 30 partite la situazione si è bilanciata, se non parzialmente capovolta.

Ultime 30 partite:

Josh Jackson 16.2 pts, 5.5 reb, 1.8 assist, 47 eFG%, 53 TS%, 11.3 ast ratio, 10.3 TO ratio
Jayson Tatum 13.1 pts, 4.6 reb, 1.8 ast, 54 eFG%, 58 TS%, 12.0 ast ratio, 11.2 TO ratio

Jackson è ancora lontano dall’essere un prodotto finito: le sue spalle devono irrobustirsi sensibilmente e il suo tiro da tre deve diventare più affidabile del 28% stagionale, ma la sua adattabilità con i mezzi a disposizione e la fiducia nelle proprie possibilità hanno ridato flebili speranze di un futuro migliore ai tifosi dei Suns.

Attualmente Jackson si trova a suo agio principalmente in transizione, dove può portare palla, spingere sull’acceleratore e danzare attaccando una difesa non ancora schierata, ma è impressionante vedere come abbia arricchito il suo bagaglio con movimenti adatti per attirare falli e andare in lunetta, una scaltrezza tipica dei veterani più navigati. Questo elemento di controllo del proprio corpo ha reso anche i suoi attacchi al ferro ancora più inaspettati ed elettrizzanti, e la tifoseria dei Suns si è innamorata follemente di lui, affidandogli il soprannome poco traducibile di “Motherfu**er”.

Le sue caratteristiche difensive sono ciò che gli permetterà eventualmente di arrivare all’élite del ruolo in futuro: per ora ha mostrato solo alcuni lampi sfruttando la rapidità delle mani e la capacità di schizzare come una molla da una parte all’altra del campo, anche se deve ancora crescere enormemente nella comprensione delle rotazioni e degli aiuti. In attacco, come accennato, sta trovando continuità solo nell’ultimo periodo, ma a volte quando trova delle difese poco solide riesce a esplodere producendo prestazioni offensive notevoli, come i 36 punti contro i Golden State Warriors (senza titolari) o i 32 contro i Memphis Grizzlies.

La parte più difficile per lui è giocare contro una difesa schierata, ed è ciò che lo tiene più lontano dall’essere un buon attaccante. Al momento a metà campo la sua percentuale al ferro è solo del 47%, segno dell’impossibilità di reggere il confronto fisico contro gli avversari quando il tiro non sembra voler entrare, ma anche contro le difese più arcigne sta trovando il modo di dare un contributo positivo andando alla ricerca di tiri liberi, che ultimamente sta segnando con maggior continuità (70% nelle ultime 30 partite contro il 56% delle prime 40). La visione di una partita dei Suns non la si augura a nessuno, ma accanto a Devin Booker e tre prime scelte al prossimo Draft (di cui una potrebbe essere la prima assoluta), Josh Jackson potrebbe ricevere sguardi più attenti, o quantomeno più numerosi, in futuro.

O.G. Anunoby, Toronto Raptors

Al contrario dei precedenti due, O.G. Anunoby è partito molto bene sin da subito e sembra aver colpito il classico rookie wall solo in questa fase della stagione. Prima di infortunarsi al college le aspettative su Anunoby erano molto più alte, e si parlava di lui come un potenziale materiale di alta Lottery, ma un 3&D che rischia di vedere il proprio atletismo ridotto a causa di un infortunio ai legamenti perde sicuramente di appeal in fase di Draft. I Toronto Raptors però non se lo sono lasciati sfuggire con la 23esima scelta, e il rookie nativo di Londra li ha ripagati in fretta.

Anunoby si è guadagnato subito minuti da titolare approfittando di un infortunio a Norman Powell a inizio stagione e, complice l’ottima intesa sviluppata dal veterano C.J. Miles con il resto della second unit, ha mantenuto il posto tra i primi 5, confermando la tradizione di coach Dwayne Casey di far giocare subito i rookie assieme ai titolari. La sua presenza in quintetto, invece di farlo risaltare, ha invece fatto allontanare i riflettori su di lui perché le cifre non sono state altisonanti: di sicuro non vedrete stat line da 6 punti, 2 rimbalzi e un assist in un post di una pagina Facebook, ma l’ascesa di Toronto ai vertici dell’Est ha le impronte di Anunoby sparse ovunque.

La cosa che ha lasciato tutti di stucco è stata la sua abilità nel leggere il gioco, cosa che gli ha permesso da subito di essere un difensore eccellente (cosa incredibilmente difficile per un rookie) e di sguazzare nelle spaziature offerte dai compagni di squadra, risultato: per i primi tre mesi di regular season il suo Net Rating è stato il migliore di qualunque giocatore che non vestisse la maglia degli Warriors.

Anunoby è un rookie che non gioca come un rookie: difensivamente si prende sempre l’esterno più pericoloso, passando da giocatori come James Harden e Bradley Beal fino a Paul George e LeBron James, anche se il suo calo di rendimento delle ultime settimane sta facendo sorgere alcuni grattacapi sull’eventuale accoppiamento ai playoff contro i Cavs. Ciò nonostante la sua difesa resta comunque impressionante, ed è conseguenza diretta di due fattori: il suo fisico scolpito, decisamente più avanti rispetto a tutti i pari età, e il fatto che da sempre ha dovuto sudarsi i minuti in campo. Uscito dal liceo Anunoby era un semi sconosciuto, senza figurare neanche nei 250 recruit dello stato: per restare in campo a lungo se non hai un particolare talento offensivo, devi possedere dedizione totale in difesa senza potersi permettere passaggi a vuoto.

Se la sua difesa poteva in qualche modo quindi essere prevista, il suo contributo in attacco è stato una piacevole sorpresa. Nonostante il rookie wall le sue percentuali dall’arco sono ancora discrete (36%) e le spaziature che offre permettono sia di togliere pressione a DeRozan e Lowry, sia di sfruttare l’atletismo per andare a rimbalzo con una buona rincorsa. La transizione è certamente la parte di gioco dove si trova più a suo agio, sfruttando l’atletismo per correre prima degli altri o per occupare le corsie per i passaggi. In questo il rinnovato attacco di Toronto è stato un vero e proprio toccasana, un ambiente dove passarsi la palla risulta naturale e caldamente consigliato, e Anunoby si è dimostrato da subito un giocatore molto intelligente, sfruttando linee e tempistiche di passaggio non banali per un esordiente. La sua comprensione del gioco è stata sicuramente la caratteristica più sorprendente che ha permesso di apprezzarlo ancora meglio: nelle prime 20 partite della sua carriera il suo rapporto tra assist e palle perse era sopra 2.5, una qualità vitale per restare in campo il più a lungo possibile. O.G. tocca palla pochissimo nel corso della partita, ma se quando lo fa riesce a contribuire in modo positivo senza commettere errori macroscopici (cosa che sarebbe anche comprensibile per un giocatore di 20 anni) ci sono sempre meno deterrenti a lasciare in campo più a lungo un giocatore tanto inesperto, nella speranza che cresca ancora di più.

Dillon Brooks, Memphis Grizzlies

Allo scorso Draft i Memphis Grizzlies erano una delle poche squadre a non avere scelte al primo giro, e in una mossa abbastanza prevedibile sono stati bravi a muoversi nei meandri del secondo giro per provare a mettere a roster qualche giocatore solido per provare a ringiovanire il core. Alla 45^ posizione quindi hanno acquistato la scelta degli Houston Rockets per mettere le mani su Dillon Brooks, due volte All-Team nella Pac-12 e Giocatore dell’Anno per la stessa conference. Brooks doveva essere solo un esperimento da qualche minuto all’interno di una squadra in lotta per i playoff, essendo un tweener senza una facile collocazione in NBA, ma a causa della tragica stagione dei Grizzlies l’esperimento può dirsi concluso: Dillon Brooks è già da oggi un solido giocatore di rotazione in NBA, uno che male che vada potrà diventare un role player in qualunque squadra.

Non è scontato per un giocatore scelto a metà del secondo giro trovare molti minuti all’esordio, basti guardare i giocatori scelti attorno alla sua posizione allo scorso Draft, tutti nettamente sotto i 300 minuti stagionali. In questo Brooks è stato fortunato a trovarsi in un roster massacrato dagli infortuni, trovandosi così a sostituire sia Wayne Selden che James Ennis, ma è stato anche molto bravo a sapersi rendere utile in più modi all’occorrenza, trovando il suo spazio nelle rotazioni. Sebbene tutto ciò che esca da Memphis quest’anno dovrebbe essere preso con un enorme asterisco sopra, Dillon Brooks è riuscito a ritagliarsi un ruolo da titolare, e non è detto che lo perda in futuro dato che il suo contributo si è rivelato solido e costante.

Brooks è un’ala piccola molto piccola (198 centimetri ufficiali) che si è ritrovata a fare un po’ di tutto: portare palla, tirare spot up, creare gioco e difendere su qualunque esterno, riuscendo a non annegare in nessuna circostanza. Il suo jumper non è perfetto, peccando di una lentezza dovuta a un ricciolo che fa fare alla palla col polso prima del rilascio, ma è una meccanica che gli permette di prendere ritmo in un attimo, anche se col corpo è perfettamente fermo. Questo gli permette di essere pericoloso nei mismatch, ingolosendo i lunghi che credono di poterlo stoppare, per poi farli collassare verso il centro dell’area quando credono che non possa più essere pericoloso senza aver palleggiato.

Questo poter essere pericoloso sia tirando da fermo sia sfruttando il baricentro basso per sparire alle spalle del difensore gli permette di manipolare gli avversari, almeno nelle rare occasioni in cui i Grizzlies riescono a creare vantaggi. Il suo atletismo non è comunque strabordante e non ha ancora abbastanza creatività dal palleggio per permettergli partite con esplosioni offensive sensazionali, ma riesce comunque a punire gli scarichi e sfruttare le disattenzioni della difesa. Insomma, non sarà mai un realizzatore sensazionale, ma può facilmente essere un giocatore che segna 15 punti a sera per tutta la stagione, e la fase offensiva di Memphis perde più di 8 punti per 100 possessi quando Brooks riposa - che sarebbe pari alla differenza che intercorre tra l’attacco degli Houston Rockets e quello dei Brooklyn Nets.

Anche in difesa la sua stagione è stata positiva, e non era facile considerando la differenza di altezza o di wingspan che soffre contro praticamente tutti gli avversari. Brooks è sorprendentemente scaltro a prendere il tempo al portatore di palla per una rubata improvvisa o a mettere il petto di fronte all’avversario che pensava di averlo battuto dal palleggio per provocare un fallo in attacco. Molte delle sue fortune potrebbero dipendere dal fatto che ormai nessuna squadra in NBA prepara una partita contro i Grizzlies, utilizzandoli come un turno di riposo prima della fine della regular season, e quando in futuro gli scouting report saranno più precisi contro di lui l’effetto sorpresa che si porta dietro dovrebbe svanire del tutto. In ogni caso, Memphis ha estremo bisogno di avere giocatori del genere, dopo che i suoi titolari e i suoi giovani promettenti sono risultati involuti, infortunati o entrambe le cose assieme.

Bam Adebayo, Miami Heat

Mai giudicare lo skillset di un giocatore per quanto fatto vedere a Kentucky, mai, mai, mai.

Dopo che John Calipari ci ha fatto credere che Devin Booker fosse un J.J. Redick capace solo di prendersi tiri sugli scarichi, il suo ultimo stratagemma è stato quello di farci credere che Bam Adebayo fosse un Serge Ibaka più basso, e dobbiamo ammettere che ci siamo cascati tutti quanti. Edrice (il suo vero nome, “Bam” è un soprannome) Adebayo sembra un giocatore che Spoelstra ha personalmente disegnato per permettergli di sperimentare quintetti e soluzioni ancora più polifunzionali e adattabili: avesse anche un jumper, cosa che per ora gli manca completamente, arriverei pure a dire che forse sarebbe il giocatore preferito di Spoelstra in assoluto.

Adebayo è un Unicorno posizionale purissimo, uno che si trova a suo agio a marcare cinque posizioni (e non sto esagerando, sono tutte e cinque indifferentemente), con la capacità rara di saper stoppare la palla a mezz’aria con una mano e spingere la transizione palleggiando con eleganza. Non è facile riuscire a catturare lunghi tratti di partita di Adebayo perché raramente fa le stesse cose con continuità e perché Spoelstra sperimenta continuamente con le rotazioni, mettendolo di fianco sia a Kelly Olynyk (con cui si trova a meraviglia) sia a Hassan Whiteside (con cui fa veramente fatica a livello di spaziature). Ci sono partite in cui Spoelstra spiazza gli avversari nel quarto periodo con dei pick and roll invertiti, in cui Dragic blocca per Adebayo che attira il raddoppio su di sé per poi scaricare delle fucilate con una mano sola ai tiratori appostati in angolo.

Quando è in campo, il rookie assiste i compagni più di una volta ogni 10 possessi, numero che lo posiziona sopra a tutti i rookie non guardie di quest’anno e alla pari di alcuni veterani come LaMarcus Aldridge.

In una situazione simile a quella affrontata per Zach Collins e Jusuf Nurkic, la presenza di Adebayo potrebbe favorire gli Heat nella gestione a medio-lungo termine di Whiteside. L’ex di Sacramento ha trascorso parte della stagione fermo ai box per infortunio e quando è rientrato il suo apporto è risultato a dir poco macchinoso. Gli Heat eseguono molto meglio quando Olynyk gioca da centro, aprendo molte più linee di passaggio e costringendo sempre almeno due giocatori avversari ad orbitare a ridosso della punta ogni volta che viene portato un blocco sulla palla; Whiteside invece ha la tendenza a cercare subito la profondità verso il ferro, provando a sorprendere il diretto marcatore con un drop improvviso, ma tale soluzione spesso porta più a una congestione a centro area e a togliere supporto alle guardie degli Heat, che invece si esaltano al meglio quando possono scambiare un dai-e-vai col bloccante. Proprio il dai-e-vai, che sembra una cosa che a Whiteside risulta particolarmente fastidiosa proprio come concetto di base, è una delle migliori caratteristiche di Adebayo, che ferma i piedi in maniera esatta dando sempre le spalle alla parte di campo con meno difensori e nasconde il pallone all’avversario per poi farlo riapparire dove la guardia sta tagliando.

In un sistema di giocatori versatili e passatori universali, la presenza di Whiteside ha sempre stonato particolarmente, ma si è soprasseduto sul problema perché è comunque il giocatore di maggior talento e con i mezzi fisici migliori dell’intero roster. Ora che il suo skillset sembra possa venir sostituito da quello di Adebayo, se non addirittura inglobato assieme ad una capacità di fare molto altro in campo, ecco che improvvisamente la figura di Whiteside (mai particolarmente amato per la sua ondivaga presenza mentale) è diventata spendibile. Ci vorrà del tempo per capire come evolverà il mercato nei prossimi anni, ma anche se quello dei centri rimanesse arido come nella stagione attuale, gli Heat possono comunque permettersi di giocare a ribasso con la loro attuale stella, con la consapevolezza che sarebbe una perdita limitata la sua eventuale dipartita.

La crescita di Adebayo è uno dei fattori più interessanti per il futuro degli Heat, mentre la sua stagione è passata in sordina per i motivi sopra elencati, ma si è oscurata completamente con l’arrivo di Wade, quando la posizione dal gomito è diventata sempre occupata dal figliol prodigo e quando il terzo non-tiratore a roster ha praticamente ammazzato tutte le possibili lineup con Whiteside e Adebayo assieme. Se gli Heat dovessero giocare una serie equilibrata al primo turno, non sorprendetevi se Spoelstra si inventerà qualcosa di assolutamente inusuale per Bam - e se questo poi dovesse effettivamente eseguirla correttamente.