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NBA, James Harden è sicuro: "Nessuno ha creato quanto me nella storia della NBA"

NBA

La stella degli Houston Rockets si è raccontato in una lunga intervista su GQ, parlando dei suoi obiettivi e delle sue difficoltà dentro e fuori dal campo, mettendosi in testa il ritorno alle Finals dopo sei anni di assenza. "Ci siamo andati vicini, ma non avevamo il talento. Quest'anno la storia è diversa"

In questo momento è difficile trovare una persona al mondo che se la stia godendo più di James Harden. Aspettando il più che probabile premio di MVP a fine stagione, la stella degli Houston Rockets ha bagnato l’esordio ai playoff segnandone 44 in faccia ai Minnesota Timberwolves, caricandosi sulle spalle tutti i compagni in una brutta serata al tiro per spingere i suoi alla vittoria. Con la consapevolezza che chiunque vorrà vincere il titolo dovrà obbligatoriamente passare almeno una volta al Toyota Center, dove i Rockets vantano il miglior record della NBA insieme a quello dei Toronto Raptors, James Harden ha trovato il tempo di confessarsi in una lunga cover story sulla versione statunitense di GQ, mostrando in un colpo solo i due lati del suo carattere. Da una parte la concentrazione  totale sulla stagione; dall’altra la voglia comunque di divertirsi nel farlo, sottoponendosi a uno shooting fotografico decisamente… come dire… colorato. “La maggior parte della gente non si metterebbe dei pantaloncini rosa col glitter” ha raccontato durante l’intervista. “Se metti su Instagram una roba del genere posso già sentire la gente dire ‘ma che diavolo si è messo addosso?’. La maggior parte delle persone non lo indosserebbe, perché non vogliono quel genere di attenzione su di sé”. Harden, invece, nel bene e nel male vuole sempre gli occhi addosso, e anche le sue dichiarazioni non hanno lasciato indifferenti: “Non penso che ci sia un giocatore che abbia dovuto creare tanto quanto me negli ultimi tre anni” ha dichiarato senza tirarsi indietro. “Anzi, non so se ci sia un giocatore del genere in tutta la storia della NBA”.

Obiettivo tornare alle Finals, con il rimpianto di OKC

Una frase forte, ma quando giochi al livello in cui ha giocato la stella dei Rockets in questa stagione puoi permetterti un po’ tutto, in campo e fuori. Con un unico obiettivo: quello di battere i Golden State Warriors e andare a vincere il titolo NBA: “Non è una cosa che succede da un giorno all’altro. Più lavori, più capisci qual è il modo giusto per diventare grande. Continui ad adattare e ad aggiustare il tuo gioco. Il nostro obiettivo è essere i migliori: non i migliori solo per un momento, ma i migliori in assoluto. È una questione di longevità”. Se Harden riuscisse a tornare alle Finali, sarebbe la sua seconda volta a distanza di sei lunghissimi anni da quelle disputate con gli Oklahoma City Thunder al fianco di Kevin Durant e Russell Westbrook, due che il titolo di MVP lo hanno già messo in bacheca. Il ricordo di quella squadra, però, non ha ancora abbandonato la testa di Harden: “Era il puzzle perfetto: come si può rinunciare a una cosa del genere? Come si fa a lasciarlo andare?”. Eppure così sono andate le cose, e ora Harden cercherà di tornare alle Finals per la prima volta dal 2012: “Da quel momento in poi ho sempre cercato di tornarci, tornarci e tornarci: ci siamo arrivati vicini, ma non avevamo abbastanza talento. Fino a oggi. Oggi la storia è diversa”.

L’anno peggiore della sua vita e i cambiamenti necessari

Per arrivare ad avere la squadra che ha oggi e una concreta chance di giocarsi il titolo, però, Harden ha anche dovuto affrontare dei periodi decisamente complicati. Dopo aver portato i Rockets fino alle finali di conference del 2015 (ma osservando dalla panchina la rimonta decisiva in Gara-6 del secondo turno contro i Clippers di Chris Paul), il Barba ha vissuto una stagione drammatica nel 2015-16, centrando i playoff solo nel finale con l’ottavo miglior record a Ovest e venendo eliminato subito da Golden State. “Quell’anno nulla è andato bene, davvero nulla. Sapevo che sarebbe stato un disastro: non abbiamo mai trovato il nostro ritmo né una chimica di squadra. Quella è stata la prima volta in cui ho sentito che non avrei potuto controllarlo, e si vedeva. Non riuscivo a capire cosa stava succedendo. Mi sono chiesto: è per colpa mia? Ogni volta che le cose non vanno per il verso giusto, mi chiedo sempre ‘Ok, cosa diavolo sto facendo che non va bene?’. E da quel punto in poi cerco di rimettermi in riga”. Tra discutibili scelte fuori dal campo (come ad esempio iniziare a frequentare Khloé Kardashian, oltre a parecchi night club in giro per gli Stati Uniti) e le ripercussioni dentro al campo (presentandosi decisamente sovrappeso per il training camp), quella stagione ha rappresentato un punto di svolta per Harden, che dalla stagione successiva in poi ha cominciato a giocare a livelli a MVP grazie anche alla fiducia riposta in Mike D’Antoni. Anche fuori dal campo, però, Harden ha cominciato a fare più attenzione a chi frequenta, dando maggiormente ascolto alla sua presentissima madre (“È il capo delle mamme dei giocatori, si ritrovano sempre per sparlare di noi” ha detto ridendo) e scegliendo accuratamente le sue compagnie. L’aneddoto raccontato a riguardo, in particolare, è gustosissimo: “Il cibo continua a impigliarsi nella mia barba, succede sempre” ha confessato il “Barba”. “Se sono con persone che non conosco, non mi metto nemmeno a mangiare con loro. Tipo se sono a un appuntamento al buio [sì, Harden fa degli appuntamenti al buio, “cene e robe del genere”, ndr], aspetto che ci siano persone con cui sono a mio agio, perché almeno loro mi dicono se ho qualcosa della barba. Succede se vuoi essere bello quanto voglio esserlo io”. Bello e vincente: la corsa di James Harden verso il primo titolo NBA della sua carriera continua stanotte in Gara-2 contro i Minnesota Timberwolves.