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NBA Playoff, Miami-Philadelphia, verso gara-3: Joel Embiid tornerà in campo?

NBA

L’All-Star dei Sixers è pienamente recuperato, ma prima di farlo rientrare a Philadelphia vanno con i piedi di piombo. Nella doppia trasferta a Miami però Ben Simmons e compagni sono chiamati a vincere almeno una gara, per questo Embiid farebbe davvero comodo

Se la decisione dipendesse da lui, sarebbe già tornato da un pezzo sul parquet. Ma con un talento cristallino come il suo – nel pieno significato del termine – conviene andarci con i piedi di piombo. E così secondo l’ultima comunicazione rilasciata dallo staff dei Sixers in vista della partita di questa notte (su Sky Sport in diretta con il commento live in italiano a partire dell’una), la presenza di Joel Embiid è data come in dubbio; un trucco per tenersi aperta la possibilità fino all’ultimo momento di decidere se sfruttarlo o meno. Il lungo camerunense ha già messo in chiaro via Instagram al termine di gara-2 quali sono le sue intenzioni: “Mi sono scocciato di essere trattato come un bambino”, ha scritto in una storia sui social che ha fatto storcere non poco il muso alla dirigenza di Philadelphia. Insubordinazione simile a quella che a inizio stagione lo portò (sempre con i suoi account, habitat naturale del personaggio che si è creato) a definire come un “c**zata” il fatto che i Sixers contingentassero i suoi minuti. Coach Brown nelle sue dichiarazioni vuole vedere soprattutto il lato positivo, con buona pace di chi va a caccia di polemiche: “La sua è voglia di giocare, è quella a spingerlo a volte anche oltre. Vuole tornare protagonista, in mezzo ai tifosi e la sua frustrazione va rispettata. I medici però dicono un’altra cosa, almeno per ora, e so che le sue parole sono state motivate dalle ragioni che così spesso ripete anche nei colloqui che facciamo in allenamento. È la sua competitività a fargli scrivere d’istinto cose del genere”. I Sixers hanno dimostrato di poterne fare a meno, ma non bisogna fare confusione: avere Embiid in squadra fa sempre comodo, come sottolinea Dario Saric: “Joel è uno dei titolari dell’ultimo All-Star Game, stiamo parlando di una superstar. È inevitabile che un giocatore del generi manchi a qualsiasi squadra, in qualsiasi fase del gioco. Non è una questione di pressione o meno su Ben [Simmons], su come la difesa si comporta con lui. Se non hai Embiid, sentirai sempre la sua assenza. Da parte sua c’è una grande voglia di tornare a giocare, sta lì a ripetere di continuo ‘Voglio giocare, voglio giocare’. Mentre io continuo a ripetere: ‘Devi aspettare soltanto un’altra partita, una gara e poi potrai prenderli a calci nel sedere’. Non vedo l’ora di rivederlo sul parquet perché tutti sappiamo di essere una squadra migliore con lui sul parquet”.

L’eventuale scontro Embiid-Olynyk: da lì passa buona della serie

Philadelphia in gara-2 ha perso per la prima volta da quando Embiid è stato costretto a fermarsi, ma a leggere le tendenza della sfida è chiaro che i Sixers hanno fatto le scelte giuste sul parquet. Una sconfitta figlia del 7/36 dall’arco (19%) raccolto da Philadelphia con conclusioni che spesso e volentieri vanno dentro, unito al 7/9 dal midrange su tiri contestati messo a segno da Dwyane Wade. Quello che la difesa di Philadelphia continuerà a concedere, insomma. A pensare invece in maniera cruciale è l’impatto di Kelly Olynyk, che resta la chiave nell’attacco degli Heat. Nonostante il box score di gara-2 fosse meno gonfio di quello della prima sfida, il suo contributo è rimasto allo stesso modo considerevole. Il miglioramento dell’attacco di Miami con l’ex giocatore dei Celtics sul parquet è impressionante: nella partita vinta a Philadelphia, nei 33 minuti con lui sul parquet, gli Heat viaggiano a 123.9 punti su 100 possessi, contro i 93.2 nei restanti 15 in cui è rimasto a guardare i compagni dalla panchina. Un impatto dovuto alla capacità di allargare il campo, ovviamente, anche per il solo fatto di portare fuori dal pitturato il lungo dei Sixers, rendendo impossibile la rotazione per andare in aiuto dei compagni battuti dal palleggio. Olynyk inoltre ha dimostrato contro giocatori come Amir Johnson e Richaun Holmes di poter mettere palla a terra e attaccarli all’occorrenza in penetrazione; una caratteristica che la difesa dei Sixers pagherebbe anche con il rientro di Embiid. Il lungo camerunense è un deterrente non da poco nel pitturato, la cui sola presenza rende molto più complesso per gli avversari attaccare il ferro. Olynyk però lo costringerebbe a vagare per il parquet lontano dal canestro, facendogli perdere efficacia. Il vero modo dunque per Embiid per cambiare questo trend è quello di mettere alle corde l’avversario in difesa, facendogli pagare in post e in avvicinamento la differenza di stazza. Qualità di cui non dispone nessuno tra i tre lunghi utilizzati in queste prime due gare da coach Brown. Tutto questo poi senza considerare che un rientro di Embiid ridarebbe senso alla presenza di Whiteside sul parquet (come raccontato già dopo gara-1). Quell'approfondimento si intitolava “L’assenza di Embiid è un problema… per Miami”: a Joel adesso spetta non solo riprendersi il parquet, ma smentire anche quelle sensazioni.