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NBA, Klay Thompson distrugge i Rockets: “Sono nato per partite come questa”

NBA

Il tiratore di Golden State manda a segno 35 punti con 13/23 dal campo e 9/14 dall'arco: "È una macchina", afferma il suo allenatore Steve Kerr, ma per Draymond Green "la chiave di tutto è stata la sua difesa"

“È una macchina”, dice di lui il suo allenatore, Steve Kerr, e forse non possono esserci parole migliori per descrivere Klay Thompson al suo meglio, la versione vista cioè in campo nella delicata gara-6 contro Houston (con gli Warriors a fronteggiare una possibile eliminazione dai playoff): “Sembra esaltarsi proprio in situazioni come queste”, aggiunge infatti Kerr. Che non lo dice a caso: meglio della serata da 35 punti con 9/14 da tre punti mandata a libri da Thompson contro i Rockets, viene alla mente soltanto la sua gara da 41 con 11/18 dall’arco ai playoff del 2016 contro gli Oklahoma City Thunder. Anche allora si trattava di una gara-6 senza domani (Golden State era sotto prima 3-1 e poi 3-2) ma Kevin Durant al tempo era avversario e non compagno dello stesso Thompson (“Felice di essere dalla sua parte, questa volta: perché so che quando gioca così non c’è niente da fare, contro di lui”). “Non so se si può dire che sia nato per gare come questa, perché in realtà ho lavorato durissimo per arrivare a questo punto. Però in fondo credo di sì, penso si possa dire”, la conclusione a cui arriva, con il sorriso stampato in viso, il n°11 di Golden State. “Tutto succede per una ragione e a essere sinceri partite come queste mi ripagano di tutto. Stasera volevo giocare con tutta la passione che avevo dentro, forse sono stato anche più vocale di quanto sia normalmente (“Non l’ho mai sentito parlare così tanto”, conferma uno che se ne intende, Draymond Green). Quando hai le spalle al muro e il tuo tiro non va dentro, puoi sempre metterci passione e impegno. E quando faccio così, di solito finiscono per funzionare meglio tutte le aree del mio gioco”. Tanto è vero che, in aggiunta ai 35 punti e alla mano caldissima dall’arco, Thompson ha mandato a referto anche 6 rimbalzi e 4 recuperi, il suo massimo in carriera per una gara di playoff. Attacco, quindi, ma anche difesa – per Draymond Green addirittura l’aspetto più importante della prestazione di Thompson: “Ha cambiato la partita, è stato aggressivo sulla palla e questo ci ha permesso poi di scatenarci in attacco. È ironico come funziona, a volte: giochi forte in difesa, scateni la transizione, ottiene canestri facili e di colpo la diga degli avversari crolla e finalmente il nostro attacco funziona come sa. Lo ripeto: le cose più importanti che ha fatto Klay stasera le ha fatte in difesa”. “Dovevamo contrastargli meglio il tiro da tre punti – conferma lui – perché ne avevano già messi 11 all’intervallo. Diamo il meglio di noi e ci divertiamo di più quando spingiamo sull’acceleratore, fermiamo gli avversari in difesa e facciamo le giocate di cui siamo capaci. Siamo troppo forti per giocare da soli, ci ripete sempre coach Kerr: dobbiamo fidarci gli uni degli altri, perché di solito funziona”. E gara-6 non ha fatto eccezione.

Fiducia in sé e passione per il gico: la ricetta vincente

Anche in attacco però, lui e Steph Curry (29 punti alla sirena) non sono andati per nulla male. Nel secondo tempo gli “Splash Brothers” hanno collezionato un totale di 37 punti con 13 canestri che hanno surclassato l’intero roster di Houston, capace di mettere a tabellone soltanto 25 punti, trovando il canestro solo 10 volte (con il 28% dal campo, contro il 59% sfoggiato dalla coppia degli Warriors). Ancora più impietoso il confronto se si guarda al tiro da tre punti: 11/15 il totale della seconda frazione di gioco per Curry e Thompson, 4/17 quello di tutti i Rockets negli ultimi 24 minuti di gara. “Prima dell’ultimo quarto sapevo che si sentiva caldissimo, sentivo che aveva dentro il mio stesso fuoco, la stessa urgenza di battere i Rockets e guadagnarci gara-7. Ma gli ho detto che avremmo dovuto giocare con intelligenza, gli ho chiesto di aspettare che l’attacco arrivasse a lui, senza forzare tiri inutilmente o cercando la giugolare dell’incontro, ma giocando con saggezza per impedire a Houston di tornare in partita”. Missione compiuta, come testimonia un quarto periodo chiuso 31-9. “È come se Klay fosse insensibile a tutto quello che c’è attorno a lui, all’ambiente, alle pressioni. È semplicemente felice di giocare a pallacanestro – racconta ancora l’altro “Splash Brohter”, Steph Curry – che sia la seconda partita di stagione regolare o gara-6 delle finali della Western Conference. Ha una fiducia incrollabile in sé e in quello che sa fare, tanto in attacco che in difesa. Non ha ancora incontrato un tiro che non gli piace prendersi e quando mischi in un’unica ricetta tutti questi ingredienti il risultato non può che essere un ottimo piatto”. Gustato fino in fondo anche dal proprietario degli Warriors Joe Lacob, che nel post-partita si è platealmente inginocchiato davanti a Thompson per rendere omaggio alla sua grandissima prestazione: “Però gli ho detto di dare un cinque a mio figlio Kent”, involontariamente ignorato dal giocatore sulla strada per gli spogliatoi. Non è sempre stato così facile però per Thompson, ed è la stessa guardia agli ordini di coach Kerr a ricordarsi momenti più difficili e frustranti: “In passato ero molto più duro con me stesso, soprattutto all’inizio della mia carriera”, racconta. “Dopo una sconfitta contro i Nuggets mi ricordo di essere andato a casa ancora vestito, canotta e calzoncini, talmente ero infuriato. Ma con l’esperienza ho imparato che se in campo do tutto e gioco con passione posso accettare meglio qualsiasi tipo di risultato”. Quando si vince, però, è sicuramente meglio.