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NBA, qui Warriors: quel time-out chiave in gara-7 e un'ossessione chiamata LeBron James

NBA

Mauro Bevacqua

La grandezza del loro avversario di sempre - LeBron James - occupa i pensieri di tutti i giocatori degli Warriors prima del via delle finali NBA 2018, ma la memoria va anche a un momento davvero speciale della gara-7 vinta in rimonta a Houston. Senza il quale, forse, Golden State ora non sarebbe al cospetto del "Re"

GOLDEN STATE-CLEVELAND GARA-1 IN DIRETTA STREAMING

OAKLAND, CALIFORNIA — Oakland si accende, le squadre sono arrivate in città e la Oracle Arena ospita la prima sessione di incontri con i giornalisti, alla vigilia di gara-1 [in diretta su Sky Sport 2 dalle ore 3 ed eccezionalmente in streaming aperto a tutti anche sul sito skysport.it]. Le finali NBA — la quarta in fila per Golden State — sta per iniziare ma in casa Warriors si parla ancora tanto della gara-7 vinta a Houston e in particolare di un time-out nel secondo quarto, a 4:53 dall’intervallo, che ha letteralmente cambiato la partita, chiamato da Steve Kerr dopo una palla persa di Draymond Green e una schiacciata subita da parte di James Harden per il +15 Rockets, sul 48-33. “La sensazione era che la nostra stagione si sarebbe decisa lì: o saremmo stati capaci di reagire, o saremmo andati a picco”, racconta Steph Curry, che non esita a definire quell’attimo come il singolo momento in cui “la nostra squadra avrebbe potuto frantumarsi e finire a pezzi”. “Eravamo a pezzi — conferma coach Kerr — continuavamo a perdere palloni su palloni. è stato un time-out caotico, perché eravamo tutti molto frustrati in quel momento”. Cos’è successo realmente in quel time-out lo raccontano i protagonisti stessi, a partire da Steph Curry: “Ci siamo liberati di un po’ di quell’ansia che ci stava paralizzando. Non mi ricordo esattamente cos’abbia detto ciascuno di noi: sblocchiamoci — è stato il mio invito — giochiamo come sappiamo, restando unito, da vero gruppo e andiamo a vincere questa partita. So che sembra molto una cosa da film Disney ma era quello di cui avevamo bisogno: abbiamo voltato pagina e ci siamo concentrati su come portare a casa la vittoria”. “Nessuno ha preso nessun tipo di commento in maniera personale. Di solito quando capitano momenti di sfogo come questi — racconta Kevin Durant — la cosa più semplice è dare la colpa a qualcun altro e uscire dal time-out ancora più divisi di quanto non lo si fosse già prima. Invece no: noi siamo tornati in campo uniti, avremmo potuto andare avanti a giocare in maniera individualistica e invece lo abbiamo fatto come se fossimo una cosa sola. è stato un momento di un’importanza enorme, non tanto e non solo per quella gara ma anche in futuro perché ora sappiamo di poter superare qualsiasi momento se siamo in grado di comunicare tra noi in una certa maniera, e mettere al primo posto l’unico obiettivo che conta: vincere”. “Sappiamo di cosa siamo capaci quando giochiamo assieme — aggiunge Draymond Green — e questo è proprio quello che ci siamo ripetuti: non molliamo, restiamo uniti, giochiamo assieme. Il primo è stato Steph [Curry], poi Klay [Thompson], quindi è arrivato anche Andre [Iguodala] e per ultimo anche Kevin [Durant] ha iniziato a urlare. Una volta che ci siamo calmati, abbiamo realizzato che ognuno di noi stava dicendo la stessa cosa: siamo tornati in campo e abbiamo iniziato la rimonta”. è di nuovo Curry ha chiudere il libro dei ricordi di gara-7: “è stato un momento speciale — dice — uno di quelli che se nelle prossime due settimane tutto andrà bene finiremo per ricordarci come un esempio dell’importanza di giocare di squadra e restare sempre uniti come gruppo”.

L'ammirazione verso l'avversario più duro: LeBron James

Sconfitta Houston, vinta gara-7, è già tempo di concentrarsi sulla prima gara delle finali NBA e sull’avversario di sempre, i Cleveland Cavaliers di un certo LeBron James. “Giocarci contro è un onore — dice Klay Thompson —perché è uno di quei giocatori che definisce una generazione. Ogni sera può mettere a segno una tripla doppia, è micidiale nei momenti decisivi, sembra non sentire la fatica… Lo rispetto tantissimo, così come rispetto il fatto che sia alla sua ottava finale consecutiva: è la mia quarta, non riesco neppure a immaginare di poter raddoppiare questo traguardo. Lui invece l’ha fatto, una prestazione alla Bill Russell, una cosa impensabile nella pallacanestro moderna”. “Ha giocato in maniera fantastica per tutta la stagione regolare — aggiunge l’altro “Splash Brother”, Steph Curry — e nei playoff ancora meglio, trascinando la sua squadra fin qui. Tutto inizia con lui a Cleveland, sappiamo benissimo quanto è forte e tutto quello che fa e i mille modi in cui è capace di avere impatto su una partita, in maniere che spesso non emergono neppure dalle statistiche — anche se in realtà poi emergono, perché i suoi numeri sono strabilianti. LeBron è ‘Mr. Everything’ per i Cavs, l’uomo che in campo fa tutto, ma c’è addirittura di più: ad esempio la fiducia che sa dare a tutti i suoi compagni”. E oggi è forse al punto più alto della parabola della sua carriera, sicuramente migliorato rispetto al passato: “Se si pensa solo a cinque anni fa, quando giocava a Miami ed era in finale contro San Antonio. Gli Spurs passavano continuamente sotto a ogni blocco sfidandolo al tiro da fuori. Oggi tira cadendo all’indietro da dieci metri e con questo tipo di arma decide le partite: la fiducia che ha nel suo tiro è forse la differenza maggiore tra il LeBron attuale e quello del passato. Che un giocatore giustamente già considerato tra i più grandi di sempre possa migliorare ancora così tanto così avanti nella sua carriera è la prova di un’etica del lavoro e di una volontà di fare sempre meglio assolutamente straordinarie, e la sua crescita nel tiro da fuori ne è la dimostrazione più lampante”. “LeBron è uno di quei giocatori con cui ti vuoi confrontare — ammette Kevin Durant, che con il n°23 dei Cavs in passato si allenava anche assieme durante l’estate — è un’ispirazione continua per tutti noi. Se vuoi essere come lui, sai che come lui devi lavorare e provare a migliorarti ogni giorno: tanti giocatori non hanno la forza mentale per farcela”. Forza mentale e intelligenza, un’altra caratteristica del “Prescelto” su cui vogliono mettere l’accento sia un veterano come David West (lui pure giocatore di grande IQ) che Draymond Green. “Non è tanto il suo strapotere fisico quanto la sua intelligenza in campo a fare la differenza”, dice West. “Ha un’abilità speciale nel controllare la partita, nell’imporre il suo gioco pur sapendo che le difese avversarie sono tutte pensate per fermarlo. La sua capacità di pensare pallacanestro è probabilmente al livello dei più grandi di sempre”. “Giocatore super intelligente — conferma Green — uno dei più intelligenti della lega, forse dell’intera storia della NBA. Credo sia questo che lo renda davvero speciale — combinato ovviamente alla sua struttura fisica e alla sua etica del lavoro: LeBron capisce davvero il gioco, ed è questo che lo ha portato ad avere il successo che ha avuto”. Poi, Draymond Green being Draymond Green, aggiunge: “Io e lui siamo rimasti tra i pochissimi giocatori che pensano pallacanestro a questo livello, nella NBA di oggi. Non ce ne sono molti come noi. Ma forse alla fine non importa neppure…”.