Please select your default edition
Your default site has been set

NBA Finals: il contributo di McGee e Livingston: anche “gli altri” sono decisivi

NBA

I (tanti) punti a referto e l’efficienza di JaVale McGee e Shaun Livingston hanno permesso a Golden State di avere alternative ulteriori (in attacco, ma non solo) rispetto ai quattro All-Star: un privilegio enorme, quello che spesso fa la differenza in favore degli Warriors

I canestri da tre punti di Steph Curry sono l’immagine di copertina del successo degli Warriors in gara-2, una seria ipoteca sul secondo titolo NBA consecutivo di Golden State. Non bastano però quelli - assieme ai ventelli di Kevin Durant e Klay Thompson – a spiegare il dominio e la profondità di una squadra che anche questa volta non sembra avere rivali. Il vantaggio competitivo degli Warriors infatti è garantito anche da un supporting cast di primissimo livello, intaccato soltanto in parte dall’assenza di Andre Iguodala. A balzare subito all’occhio dopo gara-2 sono soprattutto i canestri di JaVale McGee e Shaun Livingston, chirurgici nel loro utilizzo e nella loro resa: 11/11 totale raccolto dal campo; 22 punti dal peso specifico enorme che hanno fatto respirare le punte di diamante dei campioni in carica. Avere alternative credibili in attacco fa tutta la differenza del mondo (chiedete a LeBron James, a cui non basta fare 51 punti per portare a casa il successo). E così un giocatore come McGee, per cui era materialmente impossibile trovare un ruolo e un’efficacia sul parquet nella serie contro Houston, ritorna protagonista e addirittura titolare, facendo saltare come un tappo di champagne la difesa dei Cavaliers. Due partite, 24 minuti totali sul parquet e 16 punti con nove tiri. Il lungo degli Warriors diventa così un lusso offensivo che coach Kerr può permettersi, anche a costo di rischiare qualche volta lo sfavorevole accoppiamento difensivo con James o esporsi con più facilità a commettere fallo (una delle tante pecche a protezione del ferro di McGee). Basta guardare alle prime due azioni di gara-2 per rendersene conto e comprendere quanto a fondo sia pesato: nei primi secondi basta accennare un blocco sulla palla e un rapido roll verso il ferro per mandare in crisi il cambio previsto dal piano partita dei Cavaliers. J.R. Smith resta dietro, McGee ha un’autostrada verso il ferro e James non ha voglia di spendere energie nel fare una rotazione aggiuntiva per rendere più complessa la conclusione. La seconda se possibile è ancora più drammatica da accettare per la difesa di Cleveland: Durant mette palla a terra, batte dal palleggio James, Smith si stacca e il passaggio verso l’area è il più comodo di tutti. È passato meno di un minuto, McGee ha già schiacciato due volte e i Cavaliers devono rivedere da cima a fondo quanto preparato nei due giorni precedenti.

Livingston, il tassello decisivo in uscita dalla panchina

A guidare la panchina degli Warriors invece ci ha pensato Shaun Livingston, dal grande impatto anche in queste Finals (come già successo negli anni scorsi) ogni volta ha messo piede in campo nei due episodi. Livingston deve ancora sbagliare un tiro in questa serie, avendo messi a segno otto punti con quattro conclusioni in gara-1, seguiti poi dai dieci punti nella sfida successiva. È lui la chiave a partita in corso, il rincalzo più produttivo soprattutto quando si gioca alla Oracle Arena. I suoi sono bersagli ben più difficili di quelli di McGee, frutto di un innato talento nell’attaccare spalle a canestro e nella resa dal midrange contro cui la difesa dei Cavaliers non ha ancora trovato un antidoto. I 7.6 milioni di dollari che gli Warriors versano nelle sue tasche sono spesi (quasi) interamente per questo, vista l’utilità e lo spazio che Livingston riesce a ritagliarsi in momenti chiave della partita, quando Durant o Curry tirano il fiato. "Sono un gruppo ben assortito di tiratori e realizzatori letali, senza distinzione. È una squadra che parte dai quattro All-Star, ma non termina con loro, anzi - sottolinea James -. Tutti sanno molto bene cosa fare, come farci male e punire i nostri errori senza mai perdere un colpo". Questione di talento, questione di esperienza: "È alla sue quarte Finals in fila, ormai è a suo agio su un palcoscenico del genere. Ha imparato a essere solido, a prendersi quello che la difesa concede". In casa Warriors infatti tutto sembra la cosa più naturale del mondo: "Da sempre sono un tipo calmo, che riesce a controllare gli istinti, a tranquillizare gli animi". Beh, più facile di così?