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NBA, il piccolo-grande uomo Nate Robinson vuole tornare nella NBA, a 34 anni

NBA

Dal "basso" dei suoi 170 centimetri (o poco più) il piccolo-grande uomo da Seattle ha vinto tre volte la gara delle schiacciate e si è preso il lusso di stoppare Yao Ming. Dopo un'annata in Isarele e una in Venezuela, giura di essere pronto per giocare di nuovo "in the league"

Impossibile dimenticarsi di Nate Robinson. Undici anni nella NBA, dal 2005 al 2016, ha lasciato in eredità tre vittorie nella gara delle schiacciate (2006, 2009 e 2010), tre gare con almeno 40 punti (tutte in maglia Knicks, contro Atlanta, Indiana e Portland, il suo massimo in carriera a quota 45) e una stoppata indimenticabile su Yao Ming (lui, più o meno 170 centimetri, contro i 228 del gigante cinese). Poi anche imprese nei playoff e follie in campo, quelle che gli sono valse critiche anche aspre da tanti allenatori NBA. “Chilo per chilo, centimetro per centimetro, è uno dei migliori atleti che abbia mai visto”, ammette però coach Doc Rivers, che lo ha avuto a Boston. E se stoppare Yao Ming può sembrare un’impresa fuori dalla realtà per uno come lui, Robinson ci ha abituati a rendere queste imprese realtà, e ora ha un nuovo folle obiettivo: tornare nella NBA a 34 anni, dopo aver giocato in Israele e in Venezuela le ultime due stagioni. “Giocavo 19 minuti a sera e segnavo 18 punti di media. Ditemi chi altri riesce a collezionare cifre del genere su un campo da basket. Non c’è nessuno oggi nell’intera NBA che esce dalla panchina e con quel minutaggio segna questi punti. Tutti quelli che arrivano a queste cifre sono titolari: Kemba Walker, John Wall, gente con cui ho dimostrato di saper stare in campo. Chris Paul anche, Steph Curry, Kyrie Irving, Isiah Thomas, anche”. Per questo motivo oggi Robinson si allena ogni mattina al campus di Seattle University insieme al suo coach personale, Chris Hyppa. “Tutto quello che mi serve è una chance”, dice lui. E allora in estate sarà prima nei roster della seconda stagione dei BIG 3 e poi si farà vedere alla Drew League di Los Angeles, il torneo di strada (anche se giocato in palestra) oggi più famoso di tutta America, dove tantissime superstar NBA (da James Harden a DeMar DeRozan) sono letteralmente di casa. L’obiettivo? Ottenere un invito a un training camp NBA: “Non penso che un suo ritorno sia fuori questione”, dice Alvin Gentry.

Quanti Nate Robinson ci sono?

“Sono stato messo in croce per tanti comportamenti durante la mia carriera: non hanno mai capito chi sono realmente, ma accetto la mia condanna e riconosco di essere stato immaturo”, dice oggi. Lui la spiega così: “Sono un gemelli e i gemelli sono per definizione doppi. Dentro di me convivono due personalità diverse, la buona e la cattiva”. Anche se Robinson è il primo a far notare come, nella NBA di oggi, i concetti di “buono” o “cattivo” sembrano cambiati assai rispetto ai suoi tempi: “Oggi i giocatori sono celebrati per cose per cui in passato sarebbero stati criticati”, dice. “Pensato a Lonzo Ball che rappa e balla, oppure a Boban Marjanovic che va in giro in go-kart per lo Staples Centere. Oppure tutti i giocatori che si vantano sui social di giocare tutta notte a Fortnite, passatempo preferito dallo stesso Robinson ai suoi tempi (restava in piedi a giocare a Madden fino al 2 del mattino): “Ma chiedete a qualsiasi mio compagno o allenatore: ero mai in ritardo all’allenamento la mattina dopo? Ero o non ero sempre pronto a giocare?”. Vorrebbe esserlo ancora, magari per una squadra NBA, dopo aver avuto le ultime esperienze di basket professionistico in America con la maglia dei Delaware 87ers della G League. Non è facile che qualcuno punti ancora su di lui, a 34 anni, ma chi non lo fa è conscio di correre un gran rischio: perché Nate “The Great” ha abituato a stupire tutti. E un ritorno sui parquet NBA potrebbe essere la più grande delle sorprese.