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NBA, il debutto di LeBron James con la maglia dei Los Angeles Lakers

NBA

Sono bastati 15 minuti in amichevole a San Diego contro i Nuggets per far capire al n°23 dei giallo-viola quanta sarà l'attenzione attorno a lui in questa stagione: l'attesa durante l'ingresso in campo, per la presentazione e per il primo canestro. Il racconto di tutto quello che è successo nella gara persa contro Denver

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Nove punti, tre rimbalzi e tre assist in 15 minuti di gioco nella prima amichevole di prestagione. Quanto di più anonimo e inconsistente si possa immaginare, se non fosse che queste sono le cifre messe a referto da LeBron James nella sua prima gara ufficiale in maglia giallo-viola. Un’evento epocale, per una volta a prescindere dalla partita. Sentire dagli altoparlanti la presentazione del n°23 fa già un certo effetto, così come vederlo a bordocampo mettersi il talco sulle mani prima della palla a due. Un gesto diventato rito pagano per anni a Cleveland. LeBron si avvicina al tavolo, alza lo sguardo verso chi gli sta di fronte, affonda le mani nella polvere bianca mentre fa una smorfia e poi butta un’occhiata verso l’alto, senza però lanciare una nuvola bianca in aria. Sorride, sa che quelli erano altri tempi e non avrebbe senso scimmiottare il sé stesso di dieci anni fa. In campo per il riscaldamento è entrato per ultimo: maglia nera con maniche viola, auricolari nelle orecchie e telecamera al seguito. È lui a chiudere la fila dei giocatori Lakers, così come quando deve scendere dal bus nel parcheggio dell’arena a San Diego. Tutte le luci e gli obiettivi sono puntati su di lui, che tira su il cappuccio, abbassa la visiera del cappellino bianco e si dirige verso lo spogliatoio. Poi finalmente le squadre scendono in campo, l’esordio da titolare in quintetto con Rondo-Caldwell-Pope-Ingram-McGee. Il primo highlight della serata arriva dopo un paio di minuti: Millsap (sì, c’erano anche i Nuggets sul parquet) viene portato lontano da canestro da James, che lo costringe a piegarsi sulle ginocchia lungo la linea da tre punti. LeBron vede il taglio sotto canestro di Ingram, guarda verso la sua panchina e lascia andare un perfetto passaggio no-look schiacciato a terra. Il pubblico di San Diego non fa neanche in tempo ad accorgersene che il pallone è già finito in fondo alla retina.

Poco più tardi arriva anche il primo canestro: mattonata dall’arco di Caldwell-Pope, che mette a dura prova la tenuta del ferro. Il rimbalzo è anomalo e Rajon Rondo – da sempre esperto in materia – è il più veloce ad avventarsi su quella palla: scarico “a un tocco” per James che arriva a rimorchio in punta, mette i piedi a posto e lascia partire la conclusione da oltre i nove. Solo rete, scrollandosi di dosso anche il fiato fastidioso di chi attendeva questo momento. Sempre nel primo quarto poi arrivano un altro assist per Ingram (è chiaro che il ragazzo gli stia particolarmente a cuore), mentre il terzo cioccolatino è un’apertura a tutto-campo dopo aver catturato il rimbalzo che lancia Josh Hart a canestro. Questi i flash di una partita chiusa dopo 15 minuti di impiego, tutti nella prima metà di gara per poi far spazio a Kyle Kuzma e seguire da bordocampo i suoi nuovi giovani compagni.

Una gara fatta anche di gesti, di smorfie e di consigli. Come prima dell’inizio del quarto quarto ad esempio, quando lo stesso James va verso il centro del campo per dare degli incoraggiamenti a Ingram e per indicare cosa fare dopo che Caldwell-Pope lo stava scortando verso il tavolo degli arbitri. Poco dopo infatti sarebbe toccato a lui portare palla, visto che James e Rondo sono rimasti fuori a guardare l’ultima frazione di gioco, esplorando una delle tantissime opzioni a disposizione di una squadra che vuole fare della duttilità uno dei suoi punti di forza. A trascinare tutti sulle sue spalle tanto ci penserà sempre LeBron: più di 300 tifosi sono rimasti assiepati a lungo fuori dalla palestra d’allenamento a Temecula, a un’ora di macchina da San Diego, mentre in spogliatoio una nuvola di giornalisti e telecamere ha accompagnato ogni suo movimento: “Scusate, potete uscire dal nostro spogliatoio per piacere”, il laconico commento pochi minuti prima della palla a due di un match che alla fine i Lakers non riescono a vincere (sì, al risultato non è interessato davvero nessuno). A caccia di un attimo di respiro che a Los Angeles difficilmente gli verrà concesso.